PRESUNZIONE DI INNOCENZA: LA STAMPA TRA PENNE E TOGHE. IL CONTRIBUTO DI MARIO PORTANOVA

Cosa è cambiato a sei mesi dall’entrata in vigore, nell’ambito della riforma Cartabia, del decreto legislativo 188 con cui l’Italia ha recepito la Direttiva europea (2016/343) sul rafforzamento della presunzione di innocenza per gli indagati in procedimenti penali? Lo spiega, con esempi tratti dalla quotidianità professionale, chi nella sua borsa di giornalista porta come primo attrezzo del mestiere la capacità di comprendere la rilevanza pubblica delle indagini.
MARIO PORTANOVA*

Dovete sapere che a Palermo la Polizia di Stato ha arrestato D. L. G, N. S., V. A. e D. F. M. Il primo è accusato di essere il capo di un clan di Cosa nostra attivo nel quartiere Brancaccio e con propaggini in Calabria e in Liguria. Il secondo e il terzo, di essere i suoi vice. Il quarto di dirigere le estorsioni e il traffico di droga. Altra notizia interessante, questa volta dal Nord: la Guardia di finanza ha arrestato cinque persone per corruzione, perché a quanto risulta dalle indagini facevano parte di un sistema di mazzette sulle protesi odontoiatriche che andava avanti indisturbato dagli anni Novanta, “perpetrato da un’azienda leader nel settore dell’odontotecnica”, “con la compiacenza di medici operanti presso molteplici Aziende Ospedaliere pubbliche lombarde”.

Già, ma chi sono gli arrestati? Qual è l’azienda “leader del settore” accusata di pagare tangenti? Chi sono i presunti “medici compiacenti”? Quali sono i “molteplici” ospedali (pubblici) lombardi coinvolti? Andando al caso precedente, chi è finito in cella con l’accusa di essere un boss mafioso dello storico mandamento dei Graviano?

I brani sopra riportati sono tratti da recenti comunicati stampa della Polizia e della Guardia di Finanza. I testi inviati ai media non contengono alcuna risposta a queste domande. La prosa reticente è dettata da una normativa entrata in vigore il 14 dicembre 2021 nell’ambito della riforma Cartabia. Si tratta del decreto legislativo 188 con cui l’Italia ha recepito una Direttiva europea (2016/343) sul rafforzamento della presunzione di innocenza per gli indagati in procedimenti penali.

In un primo tempo, nel 2017, il governo italiano (in carica Gentiloni) aveva chiuso la partita affermando di non dover recepire nulla, dato che la presunzione d’innocenza fino al giudizio definitivo è ben scolpita in Costituzione. Ma negli anni successivi alcune forze politiche hanno spostato l’attenzione sul “processo mediatico”, e la direttiva è stata recepita in una norma che limita fortemente la diffusione all’esterno di notizie su persone coinvolte in indagini penali.

Se a decidere sono i Procuratori

Per quel che ci interessa qui, la norma prevede (articolo 2) il “divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Le Procure possono organizzare conferenze stampa solo per fatti “di particolare rilevanza pubblica”, e comunque nessuna notizia può essere diffusa se non attraverso comunicati stampa approvati dai Procuratori capo” (articolo 3). C’è persino un comma (3 ter) che vieta agli inquirenti di battezzare le operazioni con “denominazioni lesive della presunzione di innocenza”. Difficilmente, dunque, leggeremo ancora di inchieste tipo “Mani pulite”, “Mondo di mezzo”, “P4”, “Mensa dei poveri”, “Angeli e demoni”.

Problema: davvero è il mestiere di un Procuratore capo valutare la “rilevanza pubblica” delle indagini e delle singole informazioni? Caso mai è il primo attrezzo nella borsa di un giornalista. Il rilievo pubblico è – o dovrebbe essere, ma questo è un altro discorso – il primo criterio perché un fatto diventi notizia. Torniamo ai nostri esempi iniziali. Ha rilevanza pubblica un’indagine per corruzione che coinvolge una serie di ospedali del sistema sanitario regionale e una “azienda leader”? O il nome di una persona che le indagini individuano come boss mafioso di un quartiere?

Un cittadino, un sindaco, un consigliere regionale, non hanno un interesse forte (e pubblico) nel venire a sapere i nomi di persone indagate per simili reati, ed eventualmente verificare eventuali loro contatti con la pubblica amministrazione, senza che la presunzione di innocenza del singolo sia intaccata? Nella discussione sulla nuova legge sono emerse visioni piuttosto ristrette dell’interesse pubblico, casi limite dove la conferenza stampa si fa per allertare la comunità locale su un serial killer in fuga, o su un’imminente catastrofe. E poi: chi decide quando la cronaca giudiziaria diventa “processo mediatico”? Tanto per fare un esempio noto a tutti, i resoconti delle “cene eleganti” dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, poi assolto definitivamente dalle accuse penali, erano un processo mediatico o un doveroso resoconto dello stile di vita dell’uomo che guidava il Paese?

Le variabili incontrollabili e perverse

Però i nomi degli indagati sui giornali continuiamo a leggerli (compresi quelli dei nostri esempi). Com’è possibile? Perché gli atti di un procedimento penale, una volta depositati a disposizione delle parti, non sono coperti da alcun segreto, e i giornalisti conservano il diritto di ottenerli e di fare cronaca giudiziaria. E se sarà più complicato ottenerle dai magistrati inquirenti nelle Procure guidate da capi più rigidi, il giornalista dovrà rivolgersi ad altre parti del processo, con i rischi evocati da uno dei più autorevoli cronisti giudiziari italiani, Luigi Ferrarella del Corriere della Sera, secondo il quale le nuove norme hanno “l’effetto di favorire proprio quei legami incestuosi che si proclama di voler spezzare tra fonti inquinanti (tutte per definizione mai disinteressate all’indiscrezione che veicolano) e giornalisti ‘cani da salotto’ del padrone (anziché ‘cani da guardia’ della democrazia)””.

La possibilità di essere informati sui casi di mafia e corruzione, per i cittadini come per chi ha responsabilità nella politica e nell’amministrazione locale, rischia così di dipendere da variabili incontrollabili e perverse. Dagli interessi particolari delle fonti degli atti giudiziari. E da quanto un giornale – magari un giornale locale – vorrà e potrà “investire” nell’approfondimento di una certa vicenda giudiziaria. Già si trovano in rete articoli su resoconti di malaffare locale raccontati con le iniziali da una testata e con i nomi per esteso da un’altra.

Intanto sorgono vertenze fra penne e toghe. Il 26 maggio la Procura di Torino ha emanato una direttiva particolarmente restrittiva sull’attuazione delle nuove norme per magistrati e corpi investigativi. L’Ordine dei giornalisti di Torino è insorto denunciando una “compromissione del diritto di cronaca” ed “eccessi interpretativi” della legge.

Sei mesi dopo l’entrata in vigore, la norma sulla presunzione d’innocenza sembra scontentare tutti. Da un lato i nomi di molti indagati sui media ci finiscono comunque. Dall’altro il lavoro dei giornalisti subisce distorsioni e condizionamenti indebiti.

* Giornalista de ilfattoquotidiano.it dal 2011, coordina il mensile FqMillenniuM. Ha collaborato con le trasmissioni Blunotte e Presadiretta di Raitre

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