LA BUONA POLITICA NON TEME PATTI CON I CITTADINI

SONO PASSATI DIECI ANNI DALLA PRESENTAZIONE DELLA CARTA DI AVVISO PUBBLICO CHE INDICA CONCRETAMENTE COME UN BUON AMMINISTRATORE POSSA DECLINARE NELLA QUOTIDIANITÀ I PRINCIPI DI TRASPARENZA, IMPARZIALITÀ, DISCIPLINA E ONORE PREVISTI DAGLI ARTICOLI 54 E 97 DELLA COSTITUZIONE. COSA HA SIGNIFICATO ELABORARLA E PROMUOVERLA NEL 2012? COSA RAPPRESENTA OGGI RATIFICARE E RILANCIARE IL CODICE ETICO CHE LEGA AMMINISTRATORI E CITTADINI? RISPONDE CHI HA CONTRIBUITO A SCRIVERNE I CONTENUTI E NE SOSTIENE LA FONDAMENTALE DIFFUSIONE.
IL CONTRIBUTO DI ALBERTO VANNUCCI*

Dopo dieci anni, la Carta è tornata a casa. Si potrebbe dire perché a Pisa si tennero gli incontri di elaborazione del documento. È bene rievocare le ragioni che portarono Avviso Pubblico e il suo allora Presidente, Andrea Campinoti a “investire” in uno strumento certo non popolare in Italia. Come ogni codice di condotta, infatti, esso rappresenta essenzialmente una sorta di soft law, una “legge morbida”, apparente ossimoro, volta a persuadere, incoraggiare, convincere dell’auspicabilità di certe condotte, piuttosto che a vincolare coattivamente prospettando sanzioni, secondo il tradizionale principio della “dura lex sed lex”.

Il panorama all’epoca era desolante: la proposta dell’allora Ministro della pubblica amministrazione Sabino Cassese di approvare un codice di condotta per i parlamentari, avanzata nei primi anni Novanta, era caduta nel vuoto. Soltanto i dipendenti pubblici erano formalmente soggetti a un codice di comportamento, di fatto sconosciuto e ignorato dai più.

L’elaborazione

In quegli anni l’opinione pubblica italiana era attraversata dall’ennesima ondata di discredito contro la classe politica per gli scandali conseguenti a diverse vicende giudiziarie che colpivano anche amministratori locali. Un sondaggio della Doxa mostrò che per l’85% della popolazione la corruzione era diffusa come o più che negli anni di “mani pulite”. Di qui l’intuizione dell’Associazione: lanciare un segnale che marcasse una differenza, consentire ai politici locali di assumere un impegno serio e credibile nei confronti dei propri cittadini sul versante della trasparenza e dell’integrità delle proprie condotte.

Ricorda Campinoti: “ricevemmo un forte input da molti amministratori locali di raccogliere in un singolo documento tutti quegli impegni che, al di là di quanto fissato dalla legge, andasse a definire i contenuti del loro impegno quotidiano contro mafie, corruzione, cattiva amministrazione.” Significativamente, il percorso di definizione dei contenuti raccolse istanze e proposte provenienti dagli amministratori aderenti all’Associazione, e sintetizzati dal gruppo di esperti.

L’elaborazione di un rigoroso codice di condotta per i politici locali aveva l’intento di fornire un duplice contributo all’affermazione di un modello condivisibile di “buona politica”. In primo luogo, stabiliva l’assunzione di un impegno concreto di responsabilità per “alzare l’asticella” di integrità, imparzialità e trasparenza nei contatti con cittadini, dipendenti pubblici, imprenditori, professionisti, giornalisti, aumentando l’auspicata accountability (termine che nella lingua italiana non ha un equivalente), ossia la capacità di “rendere conto” delle modalità di esercizio di un potere pubblico. Inoltre, la Carta voleva fornire uno strumento di ri-legittimazione dei ruoli di governo locale, rianimando il legame di fiducia che in un sistema politico ben funzionante dovrebbe unire i cittadini ai propri rappresentanti.

La tempistica

Il 1 marzo 2012 la Carta di Avviso Pubblico venne dunque presentata presso la Camera dei Deputati. Nella sua versione attuale sarebbe stata rivista in occasione di Contromafie, nel 2014. La tempistica non è irrilevante per rimarcare il valore (e la preveggenza) del documento: soltanto nell’autunno di quell’anno sarebbe infatti stata approvata la legge 190/2012 che avrebbe incorporato, ma applicandole essenzialmente ai soli dipendenti pubblici, diverse prescrizioni già presenti nella Carta.

In particolare: i vincoli all’accettazione di regali, la piena trasparenza dei finanziamenti politici e della condizione patrimoniale, l’obbligo di dimissioni in caso di rinvio a giudizio per gravi reati contro la pubblica amministrazione, la regolazione dei potenziali conflitti di interesse e dei meccanismi di “revolving doors” (ossia le “porte girevoli” tra incarichi pubblici e ruoli privati).

I 23 articoli

Per cogliere la natura “rivoluzionaria” del documento basta scorrere i contenuti dei suoi 23 articoli, che coprono anche tematiche come il divieto di pratiche clientelari e di sovrapposizione di mandati, il divieto di pressioni indebite a concessionari o appaltatori, nonché ai dipendenti pubblici, la trasparenza sulle appartenenze associative, l’apertura al dibattito democratico, impegnandosi ad “evitare toni e linguaggi contenenti messaggi offensivi, discriminatori, intimidatori e prevaricanti”, l’impegno ad utilizzare criteri meritocratici e procedure aperte nei processi di selezione del personale, nonché a rispondere alle richieste dei media.

Oltre che nei contenuti innovativi, la principale sfida affrontata dalla Carta risiede nello scongiurare il rischio di sottoscrizioni svilite a mera operazione cosmetica, secondo un approccio di ethics-washing, altro termine intraducibile che descrive la pratica di alcune organizzazioni pubbliche e private di farsi pubblicamente promotori di valori etici a soli fini di comunicazione e reputazione, senza applicarli nella loro pratica corrente. L’art. 22 della Carta vincola gli aderenti non soltanto a rispettarne le disposizioni, ma anche a vigilare e intervenire nelle condotte degli altri sottoscrittori come componente essenziale del loro impegno.

Accanto a loro, tutti i “portatori di interessi” e gli altri esponenti politici, in particolare quelli di minoranza, sono chiamati a svolgere una funzione di “cani da guardia” del rispetto delle disposizioni del codice, intervenendo per alimentare il dibattito pubblico e il confronto democratico, e quindi applicando ove ne ricorrano le condizioni le “sanzioni politiche” previste: avvertimento formale, censura pubblica, revoca del mandato fiduciario. L’ambizione è quella di alimentare un circuito virtuoso che, grazie all’impegno assunto dai rappresentanti politici, rinsaldi tutti i presidi di qualità democratica derivanti dalla partecipazione civica e dall’impegno comunitario.

Un bilancio

Valutare gli effetti prodotti dalla Carta a dieci anni dalla sua presentazione pubblica fornisce un quadro in chiaroscuro. Di certo, il suo impatto è in parte quantificabile: almeno 30 consigli di comuni e province e 22 amministratori hanno sottoscritto la versione “Carta di Pisa”; almeno 41 consigli, 238 rappresentanti e 185 candidati l’hanno adottata nella versione “Carta di Avviso Pubblico”. Questi sono i dati censiti sul sito dell’Associazione, che però si basano sulle comunicazioni volontarie dei sottoscrittori, perciò presumibilmente ne sottostimano il numero effettivo.

Si tratta di un ammontare certamente contenuto, in parte da imputare a una conoscenza ancora circoscritta della sua esistenza, ma anche alla valenza molto “esigente” di alcune sue disposizioni.  Eppure ad oggi la Carta ottiene oltre 20mila richiami ad una ricerca online, da cui emerge come la sua approvazione sia stato oggetto di discussione in diversi enti locali anche nell’ultimo mese.

È dunque uno strumento ancora “vivo” e incisivo, la cui vitalità è evidente paradossalmente persino nei casi, non infrequenti, in cui la sua adozione è stata proposta all’interno di consigli o giunte locali, ma “congelata” a tempo indeterminato, oppure respinta, dopo dibattiti spesso accesi sul senso degli impegni previsti dalla Carta. Questo processo ha comunque comportato un coinvolgimento attivo di cittadini, associazioni, mezzi di comunicazione, la cui partecipazione a una discussione sul senso e ai valori sottesi all’impegno politico è precisamente una delle finalità del codice di condotta.

Nella consapevolezza dei suoi limiti, ma anche delle sue potenzialità, si può prospettare uno sviluppo ulteriore della Carta, a dieci anni dalla sua prima presentazione pubblica. Proiettare quei valori, oggi più che mai attuali nel nuovo contesto politico-amministrativo, limandone i contenuti in modo da semplificare le disposizioni, e favorire così una rinnovata e più ampia adozione. Non sono certo venute meno le ragioni della sua originaria formulazione, ossia l’intento di riallacciare il tessuto troppo spesso sfilacciato di fiducia e responsabilità tra amministratori politici e cittadini.

*Professore di Scienza Politica nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, membro del comitato scientifico di Avviso Pubblico

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