IN PUGLIA IL PRIMO MAXIPROCESSO DELLA STORIA: ENZO CICONTE RACCONTA IL SUO “CARTE, COLTELLO PICCIOLO E CAROSELLO” SU #CONTAGIAMOCIDICULTURA

Sono “179 imputati dai 15 ai 48 anni accusati di rapina, furto, lesione volontaria, porto d’armi abusivo, oltraggio a pubblico ufficiale e, soprattutto, di associazione a delinquere; 900 testimoni; 20 avvocati; 200 carabinieri e una compagnia di soldati, agenti e funzionari di Pubblica Sicurezza”. Era il 1981, a Bari. E si celebrava il primo maxiprocesso della storia.

È la premessa del racconto di questa nuova puntata di #CONTAGIAMOCIDICULTURA, la rubrica di Avviso Pubblico che raccoglie alcune tra le letture più significative del fenomeno mafioso. Questa volta proviamo a capire le origini della criminalità organizzata in Puglia.

Lo facciamo con “Carte, coltello picciolo e carosello” (Manni Editori, 2023), l’ultimo libro di Enzo Ciconte, docente di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia e per molti anni consulente della Commissione parlamentare Antimafia.

Alla fine dell’Ottocento a Bari e Taranto si sono svolti i primi due grandi processi per mafia: il 4 aprile 1891 a Bari e il 15 gennaio 1893 a Taranto. Non esistevano aule di tribunale così capienti da celebrare i dibattimenti. Così viene affittato uno stabilimento industriale a Bari e vengono costruite due gabbie per gli incriminati. Per Taranto viene usata una chiesa sconsacrata e le stesse due gabbie del primo processo.

I dibattimenti si risolvono relativamente in poco tempo, con molte sentenze di condanna che confermano l’impianto accusatorio. «Nel corso degli anni – racconta Ciconte si era formata dentro e fuori dalle carceri una organizzazione criminale, a cui non si sapeva ancora dare un nome. Da qui l’espressione “mala vita”». Per quasi tutte le 70 testate giornalistiche che seguono i dibattimenti, non vi è alcuna prova di un’associazione a delinquere. Si scatena quindi un dibattito acceso nell’opinione pubblica. E per la prima volta si discute della funzione dei giornali come elementi di prova per i pubblici ministeri e di polemica per i legali difensori.

«Se non si conoscesse l’anno di celebrazione di questi processi – spiega ancora l’autore – potremmo essere indotti a credere che stia succedendo adesso. Infatti, c’è tutta la tematica sui pubblici ministeri, sugli avvocati, sulle prove e addirittura sulla criminalizzazione dei territori. Bari e Taranto si ribellano perché vedono nel racconto dei processi un modo per criminalizzare le proprie città. Nel libro si parla di Bari e Taranto, ma si parla dell’Italia di ieri e di oggi».

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