I mafiosi si raccontano sul web: Marcello Ravveduto presenta “Le mafie nell’era digitale” su #Contagiamocidicultura

Cosa accade quando le piattaforme social si trasformano in una scintillante pagina bianca da riempire con i racconti dei mafiosi? L’ambiente digitale ha trasformato per sempre lo spazio sociale, modellandolo anche sulla prospettiva dei guappi al servizio delle organizzazioni criminali, che sui social si raccontano e influenzano l’immaginario collettivo. Dall’omertà all’ostentazione più spudorata, oggi le mafie hanno occupato un nuovo spazio pubblico, rischiando di rimescolare le carte di un racconto sempre più fluido e scivoloso.

In questa nuova puntata di #CONTAGIAMOCIDICULTURA proveremo a capire come la tecnologia digitale abbia fornito ai clan ulteriore terreno di agibilità sociale, che si gioca su una nuova percezione pubblica. Il cyber spazio offre ai mafiosi la possibilità di costruire una narrazione più attraente di sé.

Lo facciamo con Marcello Ravveduto, scrittore e docente di Digital Public History all’Università di Salerno e curatore del rapporto «Le mafie nell’era digitale» (Franco Angeli, 2023).

«L’utilizzo dei social network ha paradossalmente reso “trasparente”, per chi è in grado di riconoscerlo, il contesto mafioso (…) – scrive Marcello Ravveduto -. L’utente vive in presa diretta lo spettacolo della mafia. In senso psicologico, l’immediatezza restituisce a chi guarda la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di autentico; allo stesso tempo, chi produce la rappresentazione parte dell’esigenza di presentare un’immagine credibile dell’identità personale».

In sostanza, ricorda l’autore, le mafie hanno potuto costruire un’autentica estetica del potere disponibile a tutti, spendibile in presa diretta, ammirabile e replicabile in contesti sociali e culturali apparentemente molto distanti tra loro. Attraverso l’esibizione del lusso, di un certo tipo di look, di un atteggiamento spavaldo ma inclusivo, si costruiscono una serie di racconti legati alla ricchezza e al benessere della mafia.

Dall’altro lato c’è il carcere, come pilastro fondamentale di una narrazione che vuole mafiosi e gaglioffi vittime del sistema e costretti alla carcerazione. A fare da sfondo del vittimismo dei boss, un’ampia retorica della commemorazione. «Molto spesso – ricorda Ravveduto – questi boss, questi criminali vengono ricordati come degli eroi, come delle celebrità, come degli attori morti prematuramente». Questi racconti ci dicono quanto il digitale sia diventato uno strumento comunicativo del presente.

 

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