Premessa. La Commissione Giustizia della Camera ha deliberato lo svolgimento di una breve indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge AC 3500, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia (frutto del lavoro svolto dalla Commissione antimafia): in tale ambito ha ascoltato il  25 ottobre 2016 alcuni procuratori della Repubblica delle città con un alto tasso di criminalità, mentre nella seduta del 26 ottobre 2016 sono stati ascoltati, assieme al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, il Viceministro dell’Interno (in qualità di presidente della Commissione centrale per la definizione e l’applicazione delle misure speciali di protezione) ed il procuratore nazionale antimafia.

L’adesione alle finalità della nuova disciplina. I soggetti auditi (con l’eccezione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano) hanno espresso un ampio consenso sulle finalità della proposta di legge, volta a disciplinare con una normativa specifica il ruolo del testimone di giustizia, che vive per tale ragione in una situazione di particolare pericolo, e ad assicurare adeguate forme di protezione e concrete misure per il reinserimento, dal punto di vista sia sociale sia lavorativo, cercando di garantire di norma la sua permanenza nel territorio dove ha vissuto e lavorato: ciò appare molto importante, anche dal punto di vista simbolico, soprattutto per le vittime dell’usura e del racket, cui deve essere assicurato ogni supporto utile a permettergli di proseguire in loco la propria attività economica. Potrebbero peraltro essere previste specifiche ulteriori misure per i testimoni che decidono di svolgere anche un ruolo testimoni di legalità, partecipando a manifestazioni, convegni etc.

Gli aspetti meritevoli di approfondimento. Qui di seguito sono sintetizzati gli aspetti critici su cui si è maggiormente concentrato il dibattito.

Molti soggetti auditi hanno sottolineato la necessità di un ulteriore approfondimento dell’art. 2: la positiva intenzione di individuare con precisione la nozione di testimone di giustizia si scontra con un’eccessiva rigidità della definizione, che rischia di impedirne l’applicazione in parecchi casi (ad esempio per coloro che erano inseriti in organizzazioni criminali e che hanno commesso reati collegati; oppure per i destinatari di misure di prevenzione risalente nel tempo per fatti di scarso rilievo).

Rilievi anche sulla previsione del termine massimo tassativo di 6 anni (più uno di proroga) per l’applicazione delle misure di protezione (art.8), mentre sarebbe opportuna una maggiore flessibilità in modo da poter verificare la persistenza della situazione di grave e concreto pericolo del soggetto interessato.

Molte critiche sono state avanzate (con l’eccezione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino) con riguardo al c.d. cosiddetto referente del testimone (art. 14): appare preferibile potenziare adeguatamente la struttura del Servizio centrale di protezione, anche con nuove figure professionali, senza creare una nuova categoria professionale che mantenga i rapporti tra il testimone di giustizia e l’Amministrazione pubblica.

Dubbi anche sul ricorso al verbale illustrativo delle dichiarazioni del collaboratore, sottoposto peraltro a termini molto ristretti, che non appare strumento idoneo per le caratteristiche specifiche della testimonianza in esame che, nella stragrande maggioranza dei casi, riguarda un fatto specifico ovvero un fatto collegato a un fenomeno più ampio, ma che non è nella sua diretta conoscenza.

Forti perplessità anche sul cosiddetto cambio di generalità allargato (art. 21) volto a valorizzare importanti forme di dissociazione da parte, ad esempio, di familiari di soggetti mafiosi che però non siano nelle condizioni di fornire informazioni rilevanti sull’organizzazione: tale disposizione, infatti, potrebbe essere utilizzato strumentalmente per una semplice dissociazione del singolo appartenente all’organizzazione mafiosa in modo da ottenere benefici personali senza che abbia fornito un contributo rilevante alla giustizia, con il rischio di indebolire il sistema complessivo della collaborazione.

Perplessità sono state avanzate con riferimento alla istituzione di un sito web sui programmi di protezione (art. 22), perché c’è il rischio di una divulgazione di informazioni che devono restare assolutamente riservate.

Il Vice ministro agli Interno ha sottolineato infine la necessità di precisare il carattere alternativo dei diversi strumenti previsti dalla legge a supporto del testimone (risorse del fondo antiusura e antiracket, quelle della Commissione centrale e, ancora, quelle del fondo vittime della mafia).