Audizioni in Commissione Giustizia sul DDL sequestro dispositivi e sistemi informatici digitali

La II Commissione Giustizia della Camera, nella seduta del del 27 Maggio 2025 (video), ha svolto alcune audizioni tra cui quella del Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Giovanni Melillo, di cui si riporta di seguito una sintesi.

 

Il Procuratore manifesta la serietà delle preoccupazioni sui contenuti del DDL sul sequestro dei dispositivi e dei sistemi informatici digitali.

Il tema è l’efficacia e la sorte delle indagini anche in tema di criminalità mafiosa.

Non è in discussione la necessità di rafforzare le garanzie difensive, anche e soprattutto rispetto a meccanismi di riservatezza sui dati non rilevanti a fini processuali.

Prima preoccupazione manifestata dal Procuratore Melillo:

La pesantezza dell’architettura procedurale (2 sequestri richiesti al giudice, 1 sequestro richiesto al Pm, un terzo sequestro del giudice quando vanno acquisiti contenuti comunicativi o quando i dispositivi siano suscettibili di confisca obbligatoria o facoltativa). Due effetti nocivi di questa architettura:

  • moltiplicazione delle ipotesi di incompatibilità dei giudici, soprattutto negli uffici medio-piccoli;
  • sul piano della cooperazione internazionale, la tempestiva risposta alle domande di assistenza giudiziaria di altre autorità è pesantemente condizionata da queste procedure (anche le nostre domande all’estero saranno condizionate).

Seconda preoccupazione manifestata dal Procuratore Melillo:

I limiti al sistema di utilizzabilità dei dati raccolti, perseguendo un reato, in altri procedimenti diversi da quello per cui si procede: in questi altri procedimenti, infatti, i dati possono essere utilizzati quando consentono l’emersione di altri reati solo se questi sono ricompresi nel ristretto novero di quelli per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Si pone l’obbligo di rispettare una clausola di specialità che il sistema del diritto internazionale ha già rifiutato (es. acquisizione indirizzo IP: una procedura macchinosa renderebbe inutile il tentativo di acquisizione se questo andasse a concludersi oltre i termini di “data retention”, diversi Stato per Stato).

Nello specifico, il richiamo all’art. 270 (contenuto all’art. 1, comma 14 del testo in discussione) riproduce, per i dispositivi/sistemi informatici o telematici/memorie digitali sequestrati, la regola (già prevista per le intercettazioni) secondo cui i risultati possono essere utilizzati

  • per il reato per cui già si procede

oppure

  • in altri procedimenti solo se questi diversi procedimenti riguardano reati per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Questo passaggio sull’arresto obbligatorio in flagranza, significa che la documentazione informatica acquisita non costituirebbe più prova per tutta una serie di reati, tra cui: procacciamento di notizie segrete concernenti la sicurezza dello Stato, peculato (anche se aggravato), malversazione (anche se commessi in relazione a operatività delle organizzazioni mafiose), corruzione (anche in atti giudiziari, salvo ipotesi residuali), rivelazione segreto d’ufficio, manipolazione gare d’appalto, frode in pubbliche forniture, delitti di favoreggiamento, procurata evasione (anche se aggravato dall’agevolazione mafiosa o commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis), alcune forme di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti, riciclaggio di proventi illeciti, delitti commessi al fine di agevolare un’associazione mafiosa o commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis che non hanno soglie edittali che consentano di rientrare nell’elenco di quelli suscettibili di arresto obbligatorio in flagranza.

Considerazioni conclusive del Procuratore Melillo:

La misura del sacrificio investigativo appare tale da imporre una nuova considerazione da parte del legislatore, per l’impatto che avrebbero sulle indagini in materia di criminalità mafiosa.

La riproduzione delle limitazioni già previste in materia di intercettazioni anche ai contenuti digitali è destinata ad ingigantire la portata paralizzante delle investigazioni in materia di criminalità organizzata, quando la realtà ci dice che queste realtà trovano nello spazio virtuale la propria dimensione (criptovalute, metaverso, ecc).

La misura è eccessiva e priva di giustificazione. Siamo in presenza di un pericolo concreto di arretramento nell’argine alla criminalità mafiosa, che nel cyberspace trovano l’ordinario cardine organizzativo fondamentale.

Quand’anche si ritenesse irretrattabile la scelta di porre un argine all’utilizzabilità in altri procedimenti dei dati digitali, questo argine dovrebbe tenere conto di non depotenziare il contrasto alle mafie. Sarebbe necessario ricomprendere tra le eccezioni, oltre ai delitti per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza, anche i delitti attribuiti alle competenze delle DDA e riferiti alla sicurezza cibernetica (vd. comma 10).