Premessa. La Commissione ha inviato specifiche delegazioni nelle aree interessate dalla presenza mafiosa al fine di indagare le strategie delle organizzazioni criminali, di comprendere il tasso di condizionamento nell’ambito politico, amministrativo e imprenditoriale, acquisendo elementi di valutazione utili per la formulazione di risposte istituzionali dinanzi al diffondersi di tale criminalità. Nell’intento di acquisire una rappresentazione completa del panorama criminale italiano, sono state visitate sia le province storicamente interessate dalla presenza mafiosa, sia quei territori che da anni sono caratterizzati da insediamenti e forme autoctone di criminalità mafiosa.

 

SICILIA

  • Palermo

Nonostante gli importanti successi investigativi e giudiziari che hanno colpito cosa nostra, detta organizzazione continua ad esprimere particolare vitalità in tale territorio, sia attraverso dinamiche di potere esercitate mediante estorsioni, imposizioni di beni e servizi, sia attraverso forme di condizionamento delle amministrazioni locali. Per quanto concerne il contesto socio economico, sussiste una realtà economica estremamente parcellizzata, connotata da disoccupazione giovanile (50%) e con reddito pro capite inferiore alla media nazionale. Si tratta di un tessuto economico in crisi e frazionato in cui operano principalmente aziende medio-piccole, tutte condizioni ideali per la mafia per penetrare il tessuto economico provinciale. Quest’ultima, fornendo capitali liquidi di immediata utilizzabilità, crea un network mafioso e determina un’economia parallela che altera la concorrenza sul mercato legale. In ordine alla sicurezza pubblica, si registra un aumento degli omicidi nel 2019 e un affievolimento dei reati predatori. Quest’ultimo attesta la strategia che cosa nostra palermitana ha adottato da tempo: preferire gli affari allo scontro violento con Stato e istituzioni.

Gli obiettivi sono: l’infiltrazione del tessuto economico e sociale; la corruzione dei funzionari pubblici; e massimizzazione dei proventi illeciti. Il capoluogo risulta suddiviso in 8 mandamenti composti da 33 famiglie; la provincia, invece, è suddivisa in 7 mandamenti, composti da 49 famiglie. Nella provincia di Palermo coesistono due volti della stessa mafia: da un lato, una mafia tradizionale che intende perpetuare la storica struttura di cosa nostra, che avverte l’esigenza di ricostituire gli organi di vertice per ripristinare le vecchie funzioni di regolazione interna dei rapporti e delle questioni; dall’altro una mafia imprenditrice incentrata sul mondo dell’imprenditoria e della penetrazione della PA. Le indagini svolte hanno rivelato intense attività di riciclaggio nella ristorazione e nell’attività alberghiera. In particolare, la mafia imprenditrice si rivolge al mondo dell’imprenditoria offrendo la convenienza dei propri servizi, corrompe i funzionari e la componente elettiva degli enti locali per alterarne a proprio vantaggio i processi decisionali e mira a business innovativi e redditizi come il gaming online. Non manca il ricorso alle pratiche estorsive, oggi declinate con modalità più soft, senza ricorrere alla violenza.

Viene, altresì, riscoperto l’interesse di cosa nostra per il traffico e spaccio di stupefacenti, una delle principali fonti di guadagno, anche alla luce del venir meno di denaro pubblico da destinare agli appalti e in cui infiltrarsi. Per l’approvvigionamento degli stupefacenti cosa nostra continua a rivolgersi a ‘ndrangheta e camorra, con tentativi di gestione diretta del traffico anche dal Sudamerica. Un ulteriore settore di interesse è quello dei prodotti petroliferi in cui sussiste reinvestimento dei proventi illeciti, nonché frodi e ingenti guadagni lungo la catena della distribuzione. Per quanto concerne le mafie straniere che operano a Palermo, quella nigeriana è particolarmente radicata nel quartiere Ballarò e, rivolgendosi ai propri connazionali, gestisce case di prostituzione e provvede allo spaccio di droga nei quartieri storici di Palermo.

In merito, invece, alle infiltrazioni nella PA, si riscontrano accessi ispettivi nei comuni di Corleone, Palazzo Adriano, San Cipirello, Borgetto e Mezzojuso, poi sciolti per mafia, come il comune di Torretta. Gli accessi ispettivi hanno dimostrato una vicinanza degli amministratori e di alcuni dipendenti, ostentata anche sui social, con soggetti inseriti in ambienti mafiosi, e la permeabilità delle amministrazioni grazie alla compiacenza di amministratori comunali eletti con l’appoggio di boss mafiosi. Nei piccoli comuni i settori dei rifiuti e dei servizi sociali sono la principale fonte di cospicui introiti per le imprese, diverse colpite da provvedimenti interdittive antimafia. Il prefetto di Palermo ha riferito come, sfruttando le criticità che interessano il settore dei rifiuti derivanti dalle carenze strutturali e dall’incertezza normativa, le amministrazioni comunali poi sciolte garantivano a società private, ricollegabili ad esponenti delle consorterie mafiose, lo svolgimento di tale servizio. Attraverso l’espletamento, in un ristretto arco temporale, di diverse procedure negoziate e numerose proroghe, si è assistito a una frammentazione degli affidamenti inerenti a tale servizio, cui eseguito l’affidamento dello stesso per rilevanti importi a favore sempre delle stesse imprese aggiudicatarie o affidatarie.

Per quanto riguarda le infiltrazioni nell’economia e l’azione di contrasto, l’azione di prevenzione amministrativa antimafia poste in essere dalla prefettura di Palermo, attraverso la documentazione antimafia e le informazioni antimafia, ha come obiettivo le aziende e le imprese i cui titolari sono prestanome di soggetti appartenenti ad associazioni mafiose. Dalla prassi sono emerse due modalità attraverso le quali è stata resa possibile l’operatività di imprese appartenenti e contigue a clan mafiosi senza che emergesse la riconducibilità o il condizionamento delle stesse da parte della criminalità organizzata. La prima è costituita dall’intestazione a dipendenti o stretti congiunti di imprenditori, già destinatari di provvedimenti di confisca, di imprese che operano sul mercato in concorrenza con la ditta confiscata, delle quali è stata determinata la decozione o il calo dei profitti, rendendole facili prede della criminalità organizzata. La seconda, invece, è costituita dalla frequente omissione della richiesta di comunicazioni o informazioni antimafia da parte degli enti tenuti per legge a richiederle. Quali settori di influenza di cosa nostra sono stati indicati dal prefetto quello delle slot-machine e del gioco d’azzardo, quello degli stabilimenti balneari su aree demaniali, quello della grande distribuzione di merci e carburanti, quello dell’energia rinnovabile, dei rifiuti e dei contributi in agricoltura, oltre all’interesse per i settori più tradizionali quali l’edilizia, gli appalti, i trasporti.

Nell’ambito dei beni confiscati e dell’attività della prefettura emerge che, al fine di effettuare lo sgombero degli immobili sequestrati o confiscati e occupati sine titulo, è stato costituito il Nucleo Territoriale di Supporto per la pianificazione di interventi interforze. L’attività è stata indirizzata allo sgombero dei cespiti occupati da esponenti di spicco di cosa nostra, da loro familiari o da soggetti riconducibili a detta organizzazione. Per quanto concerne le audizioni dell’Autorità giudiziaria, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dott. Francesco Lo Voi, ha innanzitutto trattato il tema del c.d. ergastolo ostativo e dei benefici penitenziari e ha fatto poi riferimento al tema della (a suo avviso) impropria applicazione dell’istituto della continuazione disciplinato dall’art. 81 del codice penale, che comporterebbe effetti negativi sotto il profilo della deterrenza, particolarmente gravi per i condannati per associazione mafiosa. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo dottor Roberto Scarpinato ha compiuto una disamina dello stato di cosa nostra confermando la coesistenza di una mafia classica e una mafia “mercatista” che gestisce enormi flussi di denaro provenienti da traffici internazionali che producono liquidità poi immessa nell’economia.

Tale mafia, pur condividendo con quella tradizionale gli obiettivi, ne disconosce i metodi mafiosi, sottraendosi al paradigma dell’art. 416-bis c.p. e della Legge Anselmi. Lo stesso fa, altresì, riferimento a una “nuova soggettività criminale, composta da soggetti che vengono da mondi diversi: c’è il politico, c’è l’affarista, c’è il finanziere, c’è il colletto bianco della mafia” che porta con se una elitizzazione del crimine, come nella società civile: ricchezza e potere si concentrano nei piani alti della piramide sociale. L’auspicio del dott. Scarpinato è di una nuova azione di contrasto alle componenti più evolute della mafia, diventata silente e mercatista, che non si dedica alle attività violente e ad alto rischio penale, ma ai reati tipici dei colletti bianchi, cioè corruzione, evasione fiscale, criminalità finanziaria. In ordine all’audizione dei rappresentanti di associazioni “antimafia”, sono stati auditi: il presidente dell’associazione e centro di accoglienza “Padre Nostro”; i rappresentanti dell’associazione “Libera”; e i rappresentanti dell’associazione “Addiopizzo”.

  • Trapani

Nella provincia di Trapani cosa nostra è strutturata secondo un modello organizzativo unitario, verticistico e gerarchico ed è diretta da Matteo Messina Denaro che governa su 17 famiglie riunite in 4 mandamenti. Sebbene tale provincia esprima potenzialità di sviluppo, i fattori che facilitano la penetrazione della criminalità organizzata sono: un basso reddito pro capite; un elevato numero di giovani sfruttati come adepti; e un forte ricorso alla spesa sociale. Trapani e la sua provincia sono fortemente caratterizzate dalla presenza costante di cosa nostra che la condiziona dal punto di vista socio-economico. Tale consorteria criminale risulta oggi fortemente radicata grazie al muro di omertà e complicità, nonché al legame instaurato con la “borghesia” trapanese, la politica locale e la massoneria (18 sono le logge massoniche ufficiali), circostanze che l’hanno resa impermeabile a ogni tentativo di intervento. Il Prefetto ha sottolineato come la mafia trapanese rifugga da manifestazioni eclatanti, omicidi e violenze, preferendo mantenere un basso profilo che eviti di attirare le attenzioni investigative. Oltre a ciò, essa gode di vocazione imprenditoriale che le consente di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale e della politica. In questo senso, la crisi economica ha consolidato ulteriormente il potere di infiltrazione e condizionamento mafioso. Il controllo del territorio avviene mediante le estorsioni (soprattutto incendi di esercizi commerciali), ed è costante l’interesse per il traffico di stupefacenti, favorito dalla vicinanza al Nordafrica. Tra i numerosi interessi di cosa nostra trapanese emergono: gli ambiti innovativi e remunerativi dell’economia legale (per investire proventi illeciti), il settore dei rifiuti speciali, delle scommesse e dei giochi online e delle energie rinnovabili. In merito a queste ultime, alcune indagini hanno consentito di svelare il business della compravendita di concessioni di impianti fotovoltaici, eolici e di biometano anche grazie all’apporto di professionisti e imprenditori che agiscono nell’interesse dell’organizzazione criminale.

Ciò che conta è il potere economico nei rapporti con le imprese e con le pubbliche amministrazioni, dove si predilige la corruzione alla violenza e all’intimidazione. Tale approccio consente all’associazione mafiosa di collocare soggetti nei gangli della vita amministrativa ed istituzionale, soprattutto a livello locale, per potere condizionare lo sviluppo e l’azione degli enti pubblici, orientandoli verso il soddisfacimento degli interessi della famiglia mafiosa di riferimento. Spesso sono gli stessi rappresentanti della politica locale a offrirsi ai mafiosi arrivando ad affidare a loro la propria campagna elettorale. Il Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, ha sottolineato inoltre il carattere elitario della mafia trapanese, composta da uomini selezionati con attenzione: ciò determina la mancanza di collaborazioni con la giustizia. La medesima connotazione è derivata da quanto riferito dal Comandante della Guardia di Finanza che ha confermato il clima di omertà del territorio e la carenza di segnalazioni di operazioni sospette da parte di intermediari finanziari e professionisti.

In merito all’azione di prevenzione per il contrasto alla criminalità organizzata – oltre alle attività inerenti al rilascio delle informative antimafia – il Prefetto ha riferito di avere intrapreso molteplici iniziative per prevenire l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, sia attraverso il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica sia attraverso la sottoscrizione di protocolli di legalità e patti per la riqualificazione di aree degradate, con particolare riguardo alla installazione di sistemi di videosorveglianza. Ha inoltre segnalato come siano di prossima sottoscrizione il protocollo di legalità con Rete Ferroviaria Italiana, in vista della realizzazione dei lavori di elettrificazione della tratta Palermo-Trapani, nonché con l’autorità di sistema portuale del mare di Sicilia occidentale, in vista della esecuzione di infrastrutture strategiche nel porto di Trapani. Il Prefetto ha, altresì, evidenziato l’iniziativa assunta per sensibilizzare gli amministratori locali al fine di indurli a segnalare e denunciare gli episodi intimidatori ricevuti. A tale ultimo riguardo il lo stesso ha riferito come nel periodo più recente non vi siano stati episodi di scioglimento di enti locali (l’ultimo comune sciolto ex art. 143 Tuel è quello di Castelvetrano) e come non vi siano segnali che inducano a ritenere necessario l’accesso in alcun ente. In proposito il Questore, ha precisato che recenti indagini che hanno coinvolto esponenti delle amministrazioni locali di Calatafimi Segesta, Paceco e Castellammare del Golfo in molti casi non hanno condotto allo scioglimento dell’ente solo per le dimissioni degli amministratori. Il Prefetto ed altri auditi hanno sottolineato, infine, l’importante azione del Tribunale di Trapani, sezione misure di prevenzione, per contrastare il fenomeno mafioso, attraverso l’aggressione dei patrimoni conseguiti illecitamente.

Per quanto concerne il territorio di Marsala, cosa nostra marsalese ha mantenuto un forte controllo del territorio, realizzato sia attraverso il compimento di condotte estorsive, nella gestione di terreni ed immobili, sia attraverso la soluzione di controversie private. È stata così delineata l’immagine di una mafia radicata nel territorio, di una società permeata da questo fenomeno e di attività economiche controllate da cosa nostra. Si è descritto l’interesse nell’eolico, nella distribuzione del calcestruzzo, nella grande distribuzione, nei settori di giochi e scommesse, delle vendite immobiliari e degli appalti. Il reato più diffuso rimane  l’intestazione fittizia di beni finalizzata all’elusione delle misure di prevenzione.
In merito a Trapani, il Procuratore della Repubblica ha evidenziato come tale territorio costituisse una “roccaforte” della mafia corleonese, una terra di latitanza di importanti “uomini d’onore” e il cuore del riciclaggio dei proventi di cosa nostra e, infine, il luogo dove venne applicata per la prima volta la Legge Anselmi in materia di associazione segreta e logge occulte. La centralità del territorio giustifica la complessità dei fenomeni criminali, i quali mostrano capacità di permeare settori nevralgici dei pubblici uffici e dell’economia legale. Le indagini condotte dalla procura di Trapani hanno rivelato l’esistenza di un profondo legame tra la politica, l’imprenditoria e la pubblica amministrazione, a causa della diffusione di fenomeni di natura corruttiva in grado di marginalizzare le imprese sane e competitive. Gli auditi hanno, quindi, fornito alla Commissione informazioni su importanti procedimenti pendenti in quell’ufficio (Artemisia e strage di Alcamo Marina) ed è stata posta l’attenzione su indagini in merito all’impiego di droni per il recapito di cellulari all’interno degli istituti penitenziari.

Con riguardo alle associazioni massoniche del trapanese, alcune operazioni promosse dalla magistratura hanno disvelato l’intenzione, da parte di consorterie mafiose, di avvalersi della trama relazionale della loggia massonica per poter favorire disegni criminali. Sono stati auditi i rappresentanti di varie logge del Grande Oriente d’Italia insistenti a Trapani e nella provincia, i quali hanno ribadito la particolare attenzione prestata dalla Massoneria alla onorabilità dei richiedenti mediante requisiti di ingresso rigidi (casellario giudiziario e carichi pendenti), a differenza di quanto avviene, ad esempio, per il Rotary.

Il Comune di Castelvetrano, in particolare, ha assunto negli anni una forte valenza simbolica, storica e sociologica nell’ambito di cosa nostra, essendo luogo di nascita di Matteo Messina Denaro e luogo in cui le relazioni mafiose tra diverse famiglie si sono sviluppate in modo determinante nella storia di cosa nostra. La gestione commissariale del comune di Castelvetrano è iniziata il 9 giugno del 2017 ed ha avuto una durata di 24 mesi. Fin da subito sono state individuate aree di criticità all’interno dell’ente, soprattutto per la posizione di due dipendenti (istruttori tecnici assegnati ai lavori pubblici e allo sportello unico “attività produttive ed edilizia”) che erano coinvolti in procedimenti penali. Nel corso della gestione è stato, poi, necessario avviare molti procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti (sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, nonché richiami verbali, nei confronti di 7 dipendenti comunali). L’attività della Commissione straordinaria non è stata circoscritta soltanto all’aspetto degli abusi nel settore edilizio, ma ha riguardato anche quelli relativi al rilascio illecito o improprio di licenze commerciali. Sotto il profilo della trasparenza delle procedure comunali, la Commissione ha, infine, riferito di avere disposto la cancellazione di 12 imprese destinatarie di provvedimenti interdittivi da parte della Prefettura, ancora iscritte in elenco all’albo di fiducia del Comune benchè riconducibili a soggetti noti per i legami con cosa nostra.

Da ultimo, sono stati auditi i giornalisti Rino Giacalone e Marco Bova, i quali si sono occupati di mafia e delle sue relazioni con la società locale, imprenditoriale e politica. Entrambi hanno sottolineato come il territorio della provincia di Trapani sia caratterizzato da una “mafia borghese” da sempre sostenuta dal tessuto sociale e da settori della massoneria. Già nel 1986, con la scoperta della loggia segreta Iside 2, si evidenziarono le interconnessioni fra mafiosi, professionisti e colletti bianchi di vari settori della PA. Anni dopo, queste connivenze vennero confermate dalle indagini sulla loggia Hiram, che evidenziarono, inoltre, connessioni anche nel nord Italia. Infine, in tempi più recenti, con il processo Artemisia è stata svelata l’esistenza di logge locali dedite a corruttela, clientelismo, influenze politiche e traffici vari, rilevando un ulteriore ampliamento del fenomeno. Hanno ricordato gli auditi che, già in passato, i magistrati Falcone e Borsellino distinguevano la mafia trapanese evidenziando come essa si sviluppasse come mafia economica, delle banche e del riciclaggio, a differenza di quella palermitana, maggiormente caratterizzata dalla violenza. Oggi l’intera struttura sociale sembra proteggere gli interessi delle organizzazioni criminali e le relative connivenze con un sostanziale favoreggiamento.

 

  • Catania

Per quanto concerne il territorio e la situazione socio-economica, la provincia di Catania è la più dinamica della regione ed è caratterizzata da: aziende di piccole dimensioni; un aumento dei prestiti; e da una elevata spesa pubblica, che ha fatto registrare investimenti per oltre 9,4 miliardi di euro (al di fuori del PNRR). Si riscontrano problematiche nel commercio, nel settore agricolo e del trasporto “su gomma”. Principale polo industriale della Sicilia, Catania gode della presenza di grandi industrie, nonché di un importante scalo marittimo. La realtà catanese si caratterizza per una situazione di disagio sociale e di degrado urbano conseguente agli elevati indici di criminalità minorile e di dispersione scolastica. Il panorama della criminalità organizzata della provincia di Catania si presenta particolarmente frammentato e caratterizzato dalla coesistenza di diversi gruppi, soltanto alcuni organici a cosa nostra. Al di là della famiglia Santapaola-Ercolano, che rappresenta la struttura mafiosa più articolata e complessa della Sicilia orientale, esistono numerosi gruppi mafiosi non strutturati in cosa nostra. Le fonti di finanziamento principali delle organizzazioni criminali etnee sono tre: il traffico di stupefacenti, l’estorsione e l’usura. In merito alla prima, sussiste un criterio di spartizione delle città in zone (soprattutto i quartieri maggiormente degradati) tra i gruppi delle diverse organizzazioni mafiose, che spesso ricorrono anche ai minori per l’attività di spaccio. L’approvvigionamento degli stupefacenti proviene dalla Calabria e dalla Campania. Per quanto riguarda le estorsioni, invece, esse costituiscono sia strumento di autofinanziamento dell’organizzazione mafiosa, sia un mezzo di potenza e di predominio delle stesse sul territorio, e sono caratterizzate da un basso numero di denunce.

Infine, in ordine all’usura rileva come venga utilizzata dai gruppi mafiosi per impossessarsi di aziende e attività commerciali, entrando così nell’economia legale, al pari di quanto avviene con le attività di riciclaggio grazie all’apporto fornito dalla “zona grigia” di professionisti e funzionari pubblici. Oltre allo scioglimento dei comuni di Maniace e Calatabiano e all’accesso ispettivo presso i comuni di Castiglione di Sicilia e Palagonia, rilevano gli atti intimidatori nei confronti di amministratori locali o giornalisti. Emerge, altresì, un aumento delle istanze pervenute attraverso la Banca dati nazionale antimafia sia per il rilascio di comunicazioni che di informazioni antimafia, una crescita delle richieste di iscrizione nelle white list e un incremento dei provvedimenti negativi/ostativi. Da ultimo, in merito ai beni immobili confiscati (pari a 1.328) si sta potenziando l’attività di monitoraggio grazie a una task force di esperti soprattutto per gli sgomberi. Per quanto concerne la situazione degli uffici giudiziari, si segnalano diverse difficoltà e criticità, tra cui: carenza di organico amministrativo e giudiziario, nonché di aule dotate di impianto di videoconferenza. Tali criticità si riflettono nei tempi di evasione delle richieste di adozione di misure cautelari per reati di criminalità organizzata e nelle estinzioni dei procedimenti per decorso del termine di prescrizione.

L’audizione del dott. Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i minorenni, ha consentito, invece, di affrontare il tema dei rapporti tra la criminalità organizzata ed il mondo dei giovani e dei minori. Sono molti i ragazzi che, tra i 6 e i 16 anni, eludono l’obbligo formativo (livello di scolarizzazione pari al 21%) andando ad incrementare le fila della criminalità organizzata nello spaccio di stupefacenti (ruoli di vedetta o pusher). A Catania se da un lato esiste un Osservatorio prefettizio sulla situazione minorile, a cui partecipano tutte le istituzioni e il terzo settore, al fine di mappare tutti i quartieri e definire una strategia per ciascuno di essi, dall’altro, per evitare la dispersione scolastica si sono sollecitati i dirigenti scolastici a segnalare i casi di minori che non frequentano la scuola. Nell’illustrare le criticità nell’attività di contrasto alla mafia, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, dott. Zuccaro, ha rappresentato che le organizzazioni mafiose catanesi si caratterizzano per la peculiare vocazione affaristico-imprenditoriale: ciò riguarda non solo le organizzazioni mafiose rientranti in cosa nostra, ma anche gli altri sodalizi mafiosi, stante la mancanza di un monopolio del controllo mafioso. I vari sodalizi mafiosi oggi sono riusciti a fare cartello nel traffico e nello spaccio di stupefacenti, nel gioco d’azzardo e nelle scommesse online. La strategia di contrasto della DDA di Catania consiste nel colpire gli aspetti economici del fenomeno mafioso – mediante aggressione ai patrimoni illeciti e sequestri – per minare la sua capacità di infiltrarsi nell’economia legale, nella società e nella politica. In particolare, le c.d. «messe a posto» dimostrano l’elevato livello di controllo del territorio che cosa nostra ha raggiunto anche grazie alla infiltrazione di amministrazioni comunali che garantiscono informazioni privilegiate sullo stato di avanzamento lavori e dei pagamenti che vengono effettuati alle ditte aggiudicatarie. In aggiunta, molte imprese che si occupano di raccolta di rifiuti nei comuni della provincia di Catania subiscono una ingerenza da parte dei sodalizi mafiosi. Altri settori caratterizzati da evidenti segnali di infiltrazione mafiosa sono quelli che si occupano del trasporto su gomma – che costituisce uno dei più importanti in Sicilia per la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli destinati ai mercati continentali – e quello del gioco online, particolarmente redditizio.

Per quanto concerne i beni confiscati emerge come molti di essi non vengano assegnati e molte imprese siano costrette a chiudere soprattutto per la cattiva gestione da parte dello Stato, a cui si aggiunge l’infedeltà e la mancata specializzazione di alcuni amministratori giudiziari e funzionari dell’ANBSC. Il Procuratore evidenzia la crisi di leadership che sta attraversando cosa nostra a causa dei numerosi arresti dei vertici della famiglia catanese, e ha spiegato come, all’interno dei vari quartieri di Catania, cosa nostra sia organizzata in squadre mentre, nei vari paesi etnei, è divisa in gruppi: quasi tutti i comuni della provincia etnea vedono un gruppo facente capo alla famiglia catanese di cosa nostra. Dopo aver fatto cenno alle province di Siracusa e Ragusa, l’audito conclude evidenziando l’inadeguatezza delle forze di polizia operanti in tali province, cui sta sopperendo l’istituzione delle Sezioni investigative speciali criminalità organizzata (SISCO) a carattere interprovinciale.

La Commissione ha voluto approfondire la sua conoscenza del territorio attraverso l’audizione della cosiddetta “società civile”, nonché del Presidente della Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione dell’Assemblea regionale siciliana, on. Claudio Fava. Dall’audizione dei primi è emersa la grande ritrosia delle vittime di usura ed estorsione alla presentazione di denunce, in ragione di una scarsa informazione e cultura della legalità ma, anche e soprattutto, dalla carenza della tutela, anche economica, spesso tardiva o inappropriata che è loro assicurata dallo Stato. Sono state rappresentate le iniziative adottate per promuovere una opportuna formazione culturale, per far comprendere l’importanza etica della denuncia e, infine, per favorire la condivisione di buone prassi e l’adozione di adeguate e tempestive misure di sostegno per le vittime. L’audizione dei giornalisti dott. Concetto Mannisi, dott. Antonio Condorelli, dott. Natale Bruno e dott. Marco Benanti si è focalizzata sui settori d’interesse della criminalità organizzata catanese, sui contatti che mantiene con le altre organizzazioni criminali e con l’estero, sull’impiego di modi d’azione evoluti, sul problema della dispersione scolastica, sulle difficoltà nella gestione dei beni confiscati e sulla diffusa percezione da parte di pregiudicati di erogazioni pubbliche come il reddito di citta- dinanza. I medesimi temi sono stati ripresi dall’on. Claudio Fava il quale, oltre ad avere rappresentato le gravi criticità emerse sia in merito al funzionamento dell’ANBSC che con riguardo alla condizione di vulnerabilità dei minori, ha delineato la “permeabilità del sistema amministrativo e politico della Regione siciliana alle pratiche corruttive” e il modo in cui questa estrema permeabilità abbia determinato anche la creazione di forme di governo parallelo che hanno accompagnato le scelte strategiche più importanti su alcuni filoni amministrativi di governance determinanti”.

 

  • Messina

La provincia in esame per lungo tempo è stata sottovalutata anche grazie alla compiacenza di vertici della magistratura, tra i quali si ricorda il magistrato Franco Cassata. La complessità del territorio messinese deriva, tra le altre cose, dal fatto di trovarsi al crocevia delle potenti realtà criminali di cosa nostra, palermitana e catanese, e della ‘ndrangheta calabrese. Per quanto concerne la situazione socio-economica, il settore prevalente è quello terziario sebbene la disoccupazione dilaghi e sussita un forte degrado ambientale che risente ancora del terremoto del 1908. In particolare, nelle zone costituite dalle baraccopoli trova spazio la criminalità. Numerose sono le discariche abusive e le micro discariche abusive. In merito alla situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica, la provincia di Messina è caratterizzata da un fenomeno mafioso radicato e dall’operatività di sodalizi mafiosi autoctoni e strutturati, alcuni organici a cosa nostra e altri no. Sono due le variabili fondamentali: da un lato gli arresti delle operazioni di polizia, dall’altro il ritorno post espiazione di pena di capi e gregari.

Tra i settori criminali di maggiore interesse vi è il traffico e il commercio di stupefacenti, il ricorso alle truffe in danno dell’AGEA in merito ai finanziamenti europei all’agricoltura, nonché il settore del gioco e delle scommesse online. Ciò che emerge sono mutamenti strutturali e lo scenario della criminalità organizzata stante la presenza di clan connotati da una spiccata forza intimidatrice e dalla capacità di condizionare il tessuto socio economico e il mondo politico, amministrativo e professionale. Desta preoccupazione il consolidamento dei rapporti con le organizzazioni calabresi in merito al narcotraffico, al settore imprenditoriale e turistico. In seguito all’analisi dei principali clan e famiglie operanti sul territorio, delle principali operazioni di polizia e il tema della corruzione di pubblici ufficiali, la Relazione prosegue affrontando le audizioni dell’Autorità giudiziaria. Ciò che emerge è la carenza di organico, anche alla luce di un continuo turn over dei magistrati ivi assegnati, ma anche la scelta di aprire e far procedere parallelamente i procedimenti penali e quelli di prevenzione riguardanti i soggetti sui quali si investiga cui siano riferibili patrimoni ritenuti possibile obiettivo di aggressione patrimoniale in modo da evitare che un possibile ritardo determini la dismissione e dispersione dei patrimoni. Altresì rileva il ritardo registrato nella evasione delle richieste di applicazione del regime detentivo di cui all’art. 41-bis OP. Da ultimo, rimane ancora poco esplorata la c.d. ‘zona grigia’, cioè il livello più elevato costituito da professionisti, dipendenti pubblici e amministratori la cui complicità rappresenta un elemento imprescindibile per l’operatività delle organizzazioni mafiose.

 

  • Caltanissetta

Anche in questa provincia le famiglie mafiose hanno aderito alla “politica minimalista” voluta dai capi dell’organizzazione che ha imposto di perseguire gli obiettivi criminali agendo “sotto traccia”, con azioni di basso profilo e senza azioni eclatanti e vistose. La precarietà della situazione socio-economica della provincia influenza le condizioni della sicurezza pubblica. In particolare, la situazione economica del territorio agevola l’infiltrazione della criminalità organizzata sia nell’amministrazione pubblica che in tutti i settori produttivi e facilita la conservazione, ma anche l’incremento, del suo potere di controllo, senza che occorra l’impiego di metodi violenti. La provincia si caratterizza per la presenza di quattro mandamenti di cosa nostra ai quali si aggiunge la stidda a Gela e Niscemi. Sul territorio insiste anche un gruppo di nigeriani che opera nel settore degli stupefacenti e che risulta riconducibile all’organizzazione criminale dell’Africa centrale. Esso opera con modalità mafiose, quali l’uso di riti di iniziazione, la previsione di un sostegno economico agli affiliati, il ricorso alla violenza e alla intimidazione con creazione di diffusa omertà. Cosa nostra continua, tuttavia, ad essere l’organizzazione mafiosa di riferimento sul territorio, in grado di condizionare l’economia legale, soprattutto nei settori dell’edilizia, del movimento terra, delle fonti di approvvigionamento dei materiali inerti, dello smaltimento dei rifiuti, delle scommesse e dell’agricoltura. Grazie alla complicità degli amministratori locali, cosa nostra controlla l’economia legale.

L’opera di ristrutturazione in corso all’interno di cosa nostra continua nonostante fattori quali: il contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine; l’aggressione dei patrimoni illeciti; la crisi economica; la maggiore difficoltà di infiltrazione negli appalti e commesso pubbliche alla luce delle spending review; l’azione di prevenzione antimafia; e la resistenza della società civile. L’organizzazione di cosa nostra nissena – facente capo a Giuseppe Madonia nonostante il regime detentivo di cui all’art. 41-bis O.P. – non ha un numero di famiglie elevato e queste sono costituite da un numero ridotto di affiliati. L’odierna strategia criminale tende a rafforzare la capacità di interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali e ad abbandonare il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegiando l’approccio corruttivo ed evitando lo scontro frontale. Non mancano, tuttavia, azioni armate per la risoluzione di diatribe tra gruppi rivali o in concorrenza nelle medesime attività delittuose. Se la parte nord della provincia non fa registrare significativi fenomeni connessi alla delinquenza comune, sebbene sia una delle roccaforti di cosa nostra, la parte sud della provincia lo scenario mafioso presenta maggiore vitalità. Gela, nello specifico, è il più grande centro del nisseno ove la criminalità organizzata opera attraverso inaudita violenza e un massiccio “reclutamento” di giovani e giovanissimi criminali, i quali costituiscono la base di una struttura organizzativa tenuta da una cerchia sempre più ristretta di persone. La stidda è considerata, invece, sotto alcuni profili, un’evoluzione di cosa nostra, e opera in maniera poco visibile, meno strutturata e frammentaria, pur risultando molto radicata sul territorio. Tali peculiarità, la grande elasticità e un’organizzazione di tipo orizzontale, le hanno permesso una diffusione a “macchia di leopardo” rendendola di difficile individuazione. Per quanto riguarda Niscemi, cosa nostra e stidda sono state colpite dalle ultime operazioni di Polizia, che hanno consentito di disarticolarne i vertici. Il Prefetto e i rappresentanti delle Forze dell’ordine hanno riepilogato le principali operazioni effettuate nel territorio.

Nell’ambito degli strumenti finalizzati a contrastare i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel circuito dell’economia locale, particolare rilievo hanno assunto le procedure previste dalla normativa antimafia volte ad intercettare le imprese a rischio e a garantire la trasparenza e la libera concorrenza tra gli operatori del mercato. In merito alle audizioni dell’autorità giudiziaria, il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dott. Salvatore De Luca ha fornito una rappresentazione del modo di operare di cosa nostra e delle sue principali fonti di reddito nel distretto di Caltanissetta: il traffico degli stupefacenti; le estorsioni e la gestione delle scommesse illecite on line. Il Presidente del Tribunale di Caltanissetta, dott. Daniele Marraffa, rispetto al numero e alla qualità dei procedimenti trattati, ha sottolineato la carenza del personale e le significative scoperture. Il Procuratore Asaro ha ribadito, invece, come la città di Gela sia l’unico centro siciliano con tre organizzazioni mafiose (cosa nostra, la stidda e il gruppo Alferi), abbia un numero di abitanti maggiore rispetto a Caltanissetta e racchiuda nel suo circondario anche l’esteso comune di Niscemi. Egli, al pari del Presidente della Corte d’appello di Caltanissetta, dottoressa Maria Grazia Vagliasindi, ha quindi sostenuto l’esigenza di valorizzare la realtà giudiziaria con una rideterminazione della pianta organica dei magistrati e del personale amministrativo. Da ultimo, la Commissione si è concentrata sull’attività della prefettura di Enna, territorio in cui la situazione di crisi favorisce l’assoggettamento della popolazione alle logiche mafiose, stante la diffusione di consorterie sia locali che delle province limitrofe, le quali consentono una più facile infiltrazione nell’economia legale, in particolare dove si verificano flussi di denaro.

Negli anni Novanta si è assistito allo sviluppo, parallelamente a cosa nostra palermitana, di altre forme delinquenziali, alternative ed imitative della mafia tradizionale, individuate con il termine di stidda, sebbene gli stiddari siano rimasti perdenti nei contrasti con cosa nostra ennese, che è rimasta l’unica forma di associazione mafiosa presente a pieno titolo, con propri rappresentanti nella cosiddetta commissione regionale di cosa nostra. Le famiglie ennesi risultano, infatti, collegate a quella di cosa nostra messinese, gelese e catanese. La continua ingerenza delle organizzazioni criminali esterne alla provincia provoca, di conseguenza, una persistente rimodulazione degli assetti e degli equilibri tra le consorterie mafiose. Il fenomeno dell’accaparramento di terreni agricoli, finalizzato all’ottenimento di contributi per il sostegno allo sviluppo concessi dall’Unione Europea, negli ultimi anni ha, invece, acquisito una rilevante dimensione risultando al centro degli interessi di consorterie mafiose e di professionisti compiacenti. Ebbene, fra i reati commessi nel territorio di Enna ascrivibili alla criminalità organizzata vi sono le estorsioni, le infiltrazioni negli appalti, l’accaparramento di fondi pubblici ed i delitti di acquisto, produzione, trasporto e spaccio di sostanze stupefacenti. Fra le iniziative di prevenzione adottate dalla prefettura di Enna per evitare l’infiltrazione nell’amministrazione e nell’economia vi è l’adozione dei protocolli legali siglati con l’ANAS, con l’Assessorato Regionale Agricoltura ed Ente Parchi, con Rete Ferroviarie Italiana, con l’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, basati su una stretta collaborazione con la Prefettura per la richiesta di certificazioni antimafia.

 

CALABRIA

  • Distretto di Catanzaro: Catanzaro e Vibo Valentia

Nel corso delle due missioni svolte nel settembre e dell’ottobre 2020 è stato confermato come siano proprio i tratti caratteristici della ‘ndrangheta, ossia i legami di sangue, i vincoli tradizionalistici e la unitarietà della struttura (che garantisce il rispetto di regole e decisioni), che ne hanno favorito l’espansione al di fuori dei confini nazionali. La riconducibilità di ciascuna locale all’associazione madre e la condivisione con essa della struttura, del modus operandi e delle finalità perseguite, ha reso l’intimidazione non necessaria, non occorrendo che la singola articolazione mafiosa si manifesti ed esplichi con forme eclatanti di violenza, potendo essere percepita anche ove silente, atteso che l’assoggettamento e l’omertà derivano dalla unitarietà e dalla fama dell’organizzazione. Si è altresì evidenziato come gli elementi acquisiti nelle indagini da ultimo condotte in Calabria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, ma anche in altri distretti d’Italia abbiano disvelato il radicamento della predetta associazione criminale in detti territori, quanto stretti siano i rapporti con imprenditori, amministrazioni locali e politici, e come essi non siano quasi mai riconducibili al paradigma intimidazione – assoggettamento, ma risultino connotati da una condivisione di intenti ed obiettivi, perseguiti da entrambe le parti e quasi sempre rispondenti ad interessi di natura economica o di conquista di potere e di acquisizione di consenso.

Viene anche sottolineato come, forte di tale rete di rapporti segreti ed illeciti, la ‘ndrangheta è in grado di condizionare il mondo economico e imprenditoriale, grazie anche all’ausilio di professionisti che la affiancano con condotte di supporto e agevolazione, volte ad individuare forme e modalità sempre nuove di investimento e di riciclaggio degli illeciti profitti. Per quanto concerne Catanzaro, il Prefetto ha innanzitutto evidenziato le difficoltà nel processo di integrazione della comunità Rom, le cui precarie condizioni abitative, l’elevato livello di disoccupazione e il diffuso analfabetismo alimentano fenomeni criminali e, anche attraverso il coinvolgimento di donne e minori, il traffico di stupefacenti, i furti di rame e di automezzi e le estorsioni. Ciò ha agevolato i rapporti con la criminalità organizzata, della quale sono stati all’inizio utile manovalanza per l’esecuzione di attività illecite; più recentemente se ne è registrato un significativo avvicinamento alle famiglie, con la costituzione di alleanze o di apparentamento nelle quali, in qualche caso, gli esponenti della comunità Rom hanno assunto ruolo preminente rispetto a quello dei componenti dell’organizzazione mafiosa. Inoltre, la capacità di intessere relazioni con le istituzioni, con professionisti, burocrati, politici e pubblici amministratori, l’abbandono della violenza o dell’intimidazione, sostituite da metodi corruttivi o collusivi, sono tutte caratteristiche che rendono difficile individuare le pericolose ramificazioni della ‘ndrangheta. L’elevata attenzione alle ingerenze mafiose negli apparati pubblici da parte della Prefettura traspare dai numerosi scioglimenti ex art. 143 del Testo Unico degli enti locali. Un quadro di grande allarme offre in particolare la sanità calabrese che risente della presenza della criminalità organizzata stante il ricorso pressoché generalizzato agli affidamenti diretti dei lavori e dei servizi pubblici, in totale assenza di procedure di gara, in favore di soggetti economici destinatari di interdittive antimafia. A ciò si aggiunga l’abilità della ‘ndrangheta nel governare l’economia calabrese così come dimostrato dal modo in cui ha operato nel settore della sanità, ricorrendo alle professionalità della zona grigia.

La situazione descritta, ha quindi indotto l’Ufficio territoriale del Governo di Catanzaro a modificare le strategie e modalità operative utilizzate. Sempre più rara ormai l’emissione delle comunicazioni antimafia interdittive: la criminalità organizzata, infatti, si è adeguata alle prescrizioni della normativa e della giurisprudenza ricorrendo a strumenti nuovi per penetrare nell’economia legale. Rilevante anche l’intervento delle autorità competenti sui patrimoni illecitamente acquisiti dalla criminalità organizzata, attuato mediante la proposta e/o adozione di provvedimenti penali o di prevenzione che hanno attinto numerose imprese e società. Il rappresentante di Confcommercio ha fatto presente nel corso della sua audizione come la criminalità organizzata riesca ad assorbire le aziende sane o a sostituirle con quelle già a essa riconducibili, grazie alla liquidità che può offrire, anche praticando tassi usurari a imprese in difficoltà che non sono riuscite ad accedere alle misure di sostegno e ai finanziamenti degli istituti bancari. Anche il rappresentante di Confagricoltura ha sottolineato la difficoltà di accesso al credito che caratterizza le imprese che operano nel settore agricolo, manifestando la grande preoccupazione che la crisi determinata dalla pandemia possa facilitare fenomeni di infiltrazione.

Per quanto riguarda Vibo Valentia, tra le province più povere d’Italia, essa si colloca agli ultimi posti nelle statistiche nazionali quanto a indici economici, servizi e qualità della vita e si connota per un tessuto economico fragile e per un elevato tasso di disoccupazione. L’insieme delle audizioni ha chiarito come la principale criticità sia rappresentata dalla presenza radicata, capillare e pervasiva della criminalità organizzata. Il Procuratore della Repubblica, dopo essersi soffermato sulla diffusione dell’utilizzo di armi e su una recrudescenza di atti violenti, ha sottolineato la forte incidenza della criminalità organizzata su tutti gli aspetti della vita sociale, economica ed amministrativa del territorio (anche grazie alla complicità della “zona grigia”). I sodalizi criminali di stampo ‘ndranghetistico si contraddistinguono, infatti, sia per l’impiego di strumenti di pressione di tipo collusivo e corruttivo miranti a condizionare le strutture amministrative, sia per la loro spiccata impostazione imprenditoriale, con crescente infiltrazione nelle attività economiche. Nonostante il cospicuo numero di ‘ndrine e locali che operano nel comprensorio di Vibo Valentia, l’egemonia della famiglia dei Mancuso rimane comunque insindacabile. Il lungo elenco delle principali aggregazioni ‘ndranghetiste che operano nella provincia di Vibo Valentia dà contezza dell’estrema complessità del mondo criminale che si agita nel territorio, centro d’azione di numerose famiglie di ‘ndrangheta aventi propaggini in diverse regioni italiane e all’estero. Anche le cosche operanti nella provincia di Vibo Valentia hanno quale principale elemento di forza, la capacità di infiltrarsi nella PA, deviandone l’azione al soddisfacimento degli interessi della criminalità organizzata, come dimostrato dai numerosi scioglimenti ex art. 143 TUEL effettuati nella provincia. L’elevato numero di interdittive antimafia mostra l’importante risposta fornita dalle rappresentanze statali ad un fenomeno grave e diffuso.

Nella Relazione vengono riportati i dati più importanti dell’operazione Rinascita Scott che ha fornito la più recente e completa fotografia della ‘ndrangheta, rivelandone la struttura ed il modo di operare e in particolare il ruolo primario assunto sull’intero territorio vibonese, grazie anche ai collegamenti e alle alleanze con altre ‘locali’ e ‘ndrine della provincia. Oltre ai reati associativi, numerosissimi sono i reati-fine contestati nel procedimento in esame: estorsioni tentate e consumate, usura, abusiva attività finanziaria, truffe aggravate, intestazioni fittizie di beni, turbative d’asta, reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, ricettazioni, riciclaggio, corruzione elettorale, omicidi e tentati omicidi. Inoltre, sia il Procuratore di Catanzaro che il Procuratore di Vibo Valentia hanno sottolineato come in tali territori sia rilevante l’influenza di una parte della massoneria. A ciò si aggiunga il tema delle risorse degli uffici giudiziari che appare fondamentale perché, oltre alla valenza simbolica, in esso si misura proprio la capacità delle istituzioni di reagire e contrastare le organizzazioni criminali. All’esito delle due missioni la Commissione ha confermato l’importanza di alcuni tra i più importanti strumenti antimafia contemplati dalla nostra normativa, in particolare quello previsto dall’art. 143 TUEL, quello delle white list e quello delle informazioni antimafia.

 

  • Distretto di Catanzaro: Cosenza

Sebbene sussistano attività imprenditoriali sviluppate, emerge il profilo strutturale della difficile situazione generale della provincia: essa presenta infatti profondo degrado che deriva in buona parte dai bassi livelli del sistema socio-economico. In tale contesto di crisi economica, di fronte a sofferenze nella gestione delle proprie attività, gli imprenditori possono contare sulle organizzazioni mafiose. Succede, infatti, che l’originaria richiesta di ‘contributo‘ muti in estorsione e che quanto dato a titolo di prestito volga in usura, per poi risolversi nella compartecipazione societaria e nel subentro e controllo dell’attività, che formalmente rimane di proprietà dell’imprenditore. Attraverso tale modus operandi le organizzazioni criminali penetrano nel tessuto economico e sociale del territorio gestendo le attività produttive più redditizie, ovvero le attività imprenditoriali che consentono di riciclare capitali. Le evidenze investigative segnalano la presenza di appartenenti alla criminalità organizzata cosentina in diversi settori produttivi della zona, quali la ristorazione, la pubblicità, la logistica e la distribuzione di abbigliamento e di beni di prima necessità, nonché la gestione di sale slot e scommesse. La criminalità organizzata cosentina ha storici legami con le famiglie del reggino, del vibonese e del crotonese. Essa è ripartita in 19 cosche dotate di un’organizzazione verticistica che esprime l’azione criminale attraverso l’estorsione, l’usura, i danneggiamenti e le minacce aggravate. Le evidenze giudiziarie dimostrano che esiste una forte compenetrazione della criminalità organizzata cosentina nelle attività commerciali ed imprenditoriali del territorio e – alla luce dell’utilizzo dello strumento dell’articolo 143 Tuel – nel governo della cosa pubblica. In particolare, le cosche storiche danno segnali di riorganizzazione attraverso il ricorso a nuove leve criminali, talvolta al comando dei vecchi boss in fase di scarcerazione.

Nella zona centrale e del capoluogo si registra una strategia criminale indirizzata verso un rapporto non più aggressivo tra le cosche che coesistono sulla base di un patto federativo e creano un unico fondo-cassa in cui far confluire i proventi delle attività illecite (cosiddetta bacinella), frutto di estorsioni, traffico di stupefacenti, traffico d’armi, usura e rapine. Le cosche della zona tirrenica, invece, hanno la particolarità di aver esteso nel tempo la propria influenza anche in Basilicata e nel salernitano e di essere legate ad altre associazioni mafiose quali cosa nostra e camorra. Infine, l’area della Sibaritide presenta il contesto criminale di maggior fermento, dove vi sono consorterie in fase di assestamento. il Procuratore Spagnuolo ha, poi, osservato che “Cosenza […] non ha insediamenti ‘ndranghetistici di tipo tradizionale [….], a Cosenza […] oggi si sta riproponendo una criminalità organizzata di tipo gangsteristico aggressivo […]. È 416-bis ma lo è con un altro modo di operare”. Per quanto riguarda le infiltrazioni nell’economia, l’attività di polizia economico-finanziaria si fonda in primis sull’esecuzione di accertamenti patrimoniali, che richiede un costante monitoraggio delle dinamiche che inquinano il tessuto sociale ed economico. Il Comandante provinciale della Guardia di Finanza ha illustrato come nell’ambito dell’attività di contrasto alla criminalità organizzata, vengano particolarmente utilizzate le misure di prevenzione patrimoniali. Le indagini hanno consentito di individuare anche associazioni che oltre a sfruttare la manodopera bracciantile, favorivano l’immigrazione clandestina; nel settore delle frodi in materia di lavoro, inoltre, è apparso il fenomeno dei falsi braccianti agricoli, con truffe ai danni dell’INPS in quanto i finti dipendenti beneficiano illecitamente dell’indennità di disoccupazione agricola grazie al ‘collante‘ tra il lavoratore e l’imprenditore costituito dai professionisti artefici delle truffe. Sono state segnalate, altresì, attività illecite in materia di spesa pubblica e sanitaria, nonché frodi in pubbliche forniture (spesso con il coinvolgimento dei pubblici amministratori). L’attività di analisi della DIA ha comportato anche il coordinamento delle indagini sui processi di costruzione e sviluppo dei territori colpiti dal sisma de L’Aquila e Amatrice, a cui si è poi aggiunta l’attività riguardante la realizzazione del ponte Morandi di Genova. L’incidenza di usura ed estorsione, poi, è percepibile dai numerosi eventi di natura intimidatoria, perpetrati attraverso incendi e danneggiamenti di beni e mezzi di proprietà di operatori economici.

L’attività di prevenzione viene svolta anche mediante l’attivazione di protocolli di legalità che consentono un flusso di informazioni che alimenta una banca dati permettendo il monitoraggio dei soggetti che realizzano opere, dei flussi finanziari, delle condizioni di sicurezza dei cantieri e del rispetto dei diritti dei lavoratori. Oltre alle attività propedeutiche allo sgombero di immobili occupati abusivamente, rilevante è l’avvio di un’attività denominata “focus ‘ndrangheta”, con finalità di controllo del territorio volte ad acquisire informazioni utili per il contrasto alla criminalità organizzata. In ordine alle infiltrazioni nella PA e alla commistione tra amministratori e cosche locali, la rilevanza di queste ultime è attestata dai numerosi decreti di scioglimento ex art. 143 TUEL (Amantea; Scalea; Cassano allo Ionio) e dai diversi accessi presso gli enti locali (Mandatoriccio; Campana; Colosimi; Paterno Calabro).

 

  • Il distretto di Catanzaro: Crotone

Il contesto economico della provincia fornisce una significativa chiave di lettura della criminalità organizzata crotonese: si tratta di uno dei territori più poveri e depressi d’Italia dove vi sono pochissime industrie e ciò si riflette sulla situazione economica, sociale e occupazionale del territorio. La disamina delle principali operazioni antimafia delle quali gli auditi hanno riferito alla Commissione consente di evidenziare come le disponi- bilità economiche della ‘ndrangheta non sono affatto in linea con l’eco- nomia legale del territorio. Questa grande discrasia fra la povertà risultante dalle statistiche ufficiali e le ricchezze della criminalità dimostra la forza di attrazione esercitata dal crimine sulla società civile. La circostanza, poi, che le operazioni di polizia svelino collegamenti con numerose altre regioni italiane e con stati esteri, lascia intendere quale sia il livello di penetrazione e preparazione della ‘zona grigia‘ costituita da professionisti e pubblici ufficiali complici della criminalità ‘ndranghetista. Nell’ambito dei reati di competenza della Procura circondariale, oltre che al settore degli stupefacenti, ambito classico delle attività delle ‘ndrine e delle cosche, vi è un’attenzione particolare ai reati contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici funzionari. In questo settore si registra una certa permeabilità dell’amministrazione pubblica non solo agli interessi delle cosche, ma anche ad interessi di privati. In merito ai ritardi nelle procedure di iscrizione delle imprese nelle white list il Prefetto afferma che le verifiche, che spesso coinvolgono più prefetture, comportano lentezze ‘strutturali’ e che anche le società di minori dimensioni hanno un assetto complicato, che può anche mutare nel corso degli accertamenti, comportando la necessità di integrare o effettuare verifiche ex novo. Da ultimo, il Presidente del Tribunale di Crotone ha precisato la necessità di incrementare gli organici anche per lo smaltimento dell’arretrato e la gestione della grande mole di lavoro.

 

  • Reggio Calabria

Il tessuto economico è caratterizzato da storici ritardi ed è frammentato in un considerevole numero di attività imprenditoriali di piccole e medie dimensioni, a conduzione prettamente individuale. I settori prevalenti sono l’agricoltura, la pesca ed il comparto edile. Molti comuni versano in condizioni strutturalmente deficitarie e stentano a mantenere adeguati standard di servizi fondamentali, quali l’approvvigionamento idrico o la gestione dei rifiuti. Si riscontrano, inoltre, gravi carenze di personale che rendono difficile l’ottimale gestione degli Enti. In ordine alla criminalità organizzata, la ‘ndrangheta ha le sue radici nel territorio reggino e le sue articolazioni si sono sviluppate in tutte le regioni italiane ed in svariati paesi esteri. Tale associazione criminale ha la disponibilità di notevoli capitali e può organizzare il traffico di tonnellate di stupefacente ad ogni carico, operando da stakeholder su scala mondiale, dacché la sua ricchezza è fondata proprio sui suoi addentellati all’estero. Questa disponibilità finanziaria garantisce oggi alla ‘ndrangheta potere economico e politico, consentendo alle cosche di infiltrarsi nel tessuto locale tramite il riciclaggio, facendo ingresso nel mondo degli appalti e negli assetti politico-istituzionali, con un rovesciamento del rapporto di bisogno. Il Questore di Reggio Calabria ribadisce che l’organizzazione ‘Ndrangheta ha mantenuto solide radici nel territorio, pur avendo una operatività in tutti e cinque i continenti, operando secondo una struttura unitaria con chiare sottoripartizioni. Lo stesso precisa che l’organizzazione si è divisa per locali, ogni locale ha più ‘ndrine e l’insieme dei locali costituisce una provincia. I locali non si trovano soltanto nella Provincia di Reggio Calabria: sono distribuiti anche in diversi Comuni d’Italia e in altre località. Con riferimento alle tradizionali attività criminali, il Prefetto ha evidenziato come, pur nella dismissione dell’attività violenta, la ‘ndrangheta ha mantenuto l’attività estorsiva quale metodo per riaffermare il predominio sul territorio. L’estorsione non si configura più come semplice richiesta di denaro, ma si esplica in richieste quali l’imposizione di una guardiania o di determinati fornitori o l’imposizione agli imprenditori di operare come riferimento della cosca, salvo poi dover corrispondere una percentuale, all’incasso di ogni stato di avanzamento lavori degli appalti aggiudicati. Diverse attività investigative hanno dimostrato, altresì, la capacità di gruppi ‘ndranghetisti di inserirsi nelle attività commerciali, nel settore delle scommesse e nel settore internazionale.

L’evoluzione degli interessi illeciti arriva ad investire il mercato dei prodotti petroliferi e delle criptovalute nelle transazioni illecite. Il territorio appare afflitto anche da altri fenomeni criminali, quali il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e le attività predatorie appannaggio di alcune etnie. Fra gli obiettivi è centrale, poi, l’aggressione patrimoniale, pertanto nella conduzione delle indagini al metodo tradizionale si accompagna l’analisi dei flussi e dei patrimoni. In particolare, il Capocentro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia ha definito la ‘ndrangheta come una mafia liquida, capace di adeguarsi e insinuarsi in tutte quelle aree di mercato suscettibili di produrre la massima rimuneratività degli investimenti, avvalendosi di professionisti, consulenti legali, fiscalisti, tributaristi. Inoltre, il Prefetto ha ribadito che l’attività certificativa antimafia consente di arrivare con provvedimenti amministrativi in anticipo rispetto alle indagini dell’Autorità Giudiziaria, consentendo alle realtà imprenditoriali avulse dal sistema mafioso di poter lavorare in contesti bonificati. Per quanto attiene alla tematica dei condizionamenti e delle infiltrazioni nella PA, è stato sottolineato dagli auditi come la situazione sia evidente alla luce del primato della provincia di Reggio Calabria per provvedimenti di scioglimento ex art. 143 Tuel.
In merito alla situazione della sanità a Reggio Calabria e nella Regione, viene dedicato un focus analitico sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’ambiente sanitario della regione partendo da un’analisi di quanto avvenuto all’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria attraverso l’osservazione degli esiti dei lavori della Commissione d’indagine nominata dal Prefetto e posta a base dello scioglimento della stessa, per poi esaminare quanto riferito nel corso delle audizioni dal dottor Guido Longo, Commissario ad acta del Governo per la sanità in Calabria, e dal Commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, dottor Gianluigi Scaffidi. Gli accertamenti sono stati, in prima battuta, indirizzati su: appalti e forniture; convenzioni con strutture private; gestione del personale; gestione del servizio farmaceutico e della morgue; situazione economico-finanziaria; stato generale delle strutture ospedaliere della provincia e dei macchinari in dotazione con possibilità di ampliamento delle materie d’indagine su motivata richiesta di questa Commissione. Le attività investigative hanno evidenziato come la penetrazione delle organizzazioni criminali nei settori delle pubbliche istituzioni sia stata resa possibile dalla presenza di soggetti che hanno messo a disposizione delle cosche il ruolo istituzionale ricoperto, in un’ottica di totale asservimento della funzione pubblica.

Per quanto riguarda le audizioni dell’autorità giudiziaria, il Procuratore di Reggio Calabria ha rappresentato gravi carenze di personale, soprattutto amministrativo, deficienze strutturali degli uffici e la mancanza di articolazioni di polizia giudiziaria adeguate a far fronte a un fenomeno criminale che è considerato il più pervasivo e pericoloso, non solo in Italia, ma anche all’estero. Egli ha segnalato, poi, la carenza degli organici dei magistrati che rischia di comportare dei ritardi significativi nello svolgimento delle indagini che spesso sono svolte con altre autorità giudiziarie nazionali ed internazionali. Il core business della ‘ndrangheta rimane il traffico di stupefacenti, settore nel quale essa rappresenta una delle organizzazioni mondiali di maggiore pericolosità sia per i contatti con i cartelli esteri, sia per le ingenti risorse economiche e la disponibilità all’utilizzo di nuovi mezzi di pagamento (i bitcoin, ad esempio), sia perché dispone dei più potenti broker, tanto che cosa nostra ha dovuto fare ricorso a famiglie di ‘ndrangheta per fornire garanzie ai fornitori esteri. Settori di interesse dell’associazione continuano, comunque, ad essere il controllo degli appalti, le estorsioni e altri reati necessari per mantenere il controllo del territorio. Il Procuratore ha, altresì, sottolineato: la necessità di apprestare strumenti, anche normativi, che supportino le aziende sottratte alla criminalità organizzata per consentire ad esse di operare in maniera adeguata; l’importanza del progetto “Liberi di scegliere”, nato a Reggio Calabria; il regime detentivo speciale ex articolo 41-bis O.P.

Da ultimo, alla luce della centralità del Porto di Gioia Tauro, primo porto italiano nelle attività di transhipment di merci e uno dei più importanti hub del traffico di container nel bacino del Mediterraneo, nonostante le penalizza- zioni infrastrutturali che lo circondano. Il V Comitato ha poi istruito la Relazione tematica sulla Sicurezza portuale e i presìdi di legalità contro l’infiltrazione della criminalità organizzata, approvata il 27 luglio 2022, alla quale si rinvia per una più approfondita trattazione dei temi affrontati.

 

CAMPANIA

  • Caserta

Per quanto riguarda la situazione socio-economica, nonostante Caserta mantenga il primato del più elevato reddito medio pro capite dell’intero mezzogiorno grazie soprattutto al diffuso tessuto imprenditoriale del secondo dopoguerra, è in calo l’attività economica con conseguente contrazione dell’occupazione. L’agricoltura risente dello sversamento e dell’interramento illegale di rifiuti tossici e nocivi nelle campagne e dei ritardi nelle opere di ripristino ambientale. In ordine alla situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica, si registra la presenza di varie organizzazioni di stampo camorristico distribuite sul territorio. Il gruppo più potente è quello del clan dei Casalesi. La disarticolazione delle strutture interne e l’assenza dal territorio dei boss storici non hanno creato instabilità o conflittualità, ma, al contrario, ha indotto ad un lucido tentativo di riorganizzazione anche attraverso un consolidamento dei rapporti con l’area grigia. Forte è la propensione delle organizzazioni a riciclare il denaro nell’economia legale, ad infiltrarsi negli appalti pubblici e a gestire le estorsioni a danno degli imprenditori i quali, in molti casi, diventano poi conniventi, se non organici, alla criminalità proprio per affermarsi sul mercato grazie all’appoggio e ai vantaggi che derivano dalla relazione con il sodalizio camorristico. In particolare, gli interessi imprenditoriali di tali clan camorristici sono diretti al riciclaggio e al reimpiego dei capitali illeciti. Il Procuratore aggiunto della DDA di Napoli ha poi precisato che l’acquisizione da parte dell’impresa mafiosa del servizio di raccolta dei rifiuti in diversi comuni campani è avvenuta sia grazie ad attività intimidatorie, sia facendo ricorso ad attività corruttive. Lo stesso ha altresì fatto riferimento alle indagini nelle quali sono emersi interessi di imprese o soggetti legati alla camorra, nelle quali sono stati eseguiti sequestri di cave o capannoni dismessi, ubicati in varie regioni d’Italia, ove erano occultate e stoccate quantità ingenti di rifiuti provenienti dalla Campania e non passibili di trattamenti. La situazione di crisi economica determina, in particolare, il pericolo della diffusione di pratiche usurarie con finalità di ingerenza nell’economia legale, anche nella prospettiva di realizzare condotte di riciclaggio/reimpiego di proventi provenienti da ulteriori attività delittuose. Rispetto ai fenomeni estorsivi, si è registrato negli ultimi anni un aumento del numero di denunce, grazie all’attività delle associazioni antiracket, mentre per quanto concerne l’usura, la situazione appare ‘silente’. In forte sviluppo è il traffico di stupefacenti, soprattutto da parte di piccoli gruppi criminali facenti capo al clan dei Casalesi e con rapporti di affari e collaborazione con i clan di Napoli.

Tra le diverse frange del ‘cartello’ dei Casalesi, la fazione degli Schiavone continua a detenere la supremazia sui territori grazie alla gestione affidata al sodale libero più autorevole e alla fedeltà degli affiliati. Il gruppo Iovine appare meno attivo, mentre un ruolo importante è riconosciuto a mogli e sorelle dei componenti di vertice della famiglia Zagaria – il cosiddetto “clan impresa” – alle quali è affidato il compito di gestire gli ingenti capitali illeciti del sodalizio. Per quanto attiene al gruppo Bidognetti, è stato ricordato il nuovo gruppo criminale definito nuova gerarchia del clan dei Casalesi. Insediamenti significativi di propaggini del clan dei Casalesi risultano, poi, persistere in Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. Nella provincia di Caserta operano principalmente due organizzazioni criminali di matrice straniera: una riconducibile all’Est Balcanico e l’altra all’Africa Centrale. Le citate organizzazioni sono dedite al traffico di stupefacenti, alla tratta internazionale di donne avviate alla prostituzione, ai furti e alle ricettazioni. È stata ribadita, infine, l’importanza, per il contrasto all’infiltrazione dell’economia, dell’attività di prevenzione antimafia, nonché dei beni immobili confiscati all criminalità organizzata, e come quest’ultima sia riuscita ad infiltrarsi nel settore della sanità grazie alle connivenze dei pubblici amministratori. Da ultimo, rileva la necessità di un adeguamento degli organici delle forze di polizia e la carenza di magistrati.

 

  • Napoli

L’area metropolitana di Napoli, caratterizzata da un’elevata densità abitativa, si configura come un agglomerato urbano fitto e compatto, sviluppatosi anche per effetto della ricostruzione post sisma, senza soluzione di continuità tra le zone centrali e le periferie, queste ultime, connotate da maggiore disagio sociale e da più delittuosità. In tale contesto, aggravato dalla crisi economica e occupazionale, dalla marginalità sociale, da alti tassi di dispersione scolastica, da una disoccupazione con punte elevate nelle fasce giovanili, da grave carenza di centri di aggregazione e di servizi, vasti strati della comunità sviluppano insofferenza verso le istituzioni e modelli di legalità, creando un presupposto per l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto sociale, in cui la camorra ha goduto di ampio consenso. Una importante analisi della criminalità organizzata nel distretto di Napoli è stata fornita dal dottor Melillo, il quale ha descritto la camorra come un veicolo di continua trasformazione della violenza in ricchezza, in forza economica e in reti di relazioni affaristiche e collusive che condizionano i processi decisionali che regolano la spesa pubblica a livello locale.

Lo stesso afferma che i cartelli camorristici coincidono con ramificate costellazioni di imprese, esprimono modelli moderni di espansione affaristica, attraverso i quali si realizzano forme di controllo del territorio molto più sofisticate di quelle affidate all’esercizio della violenza e che con queste convivono. La violenza è dunque destinata a regolare forme di controllo territoriale marginali. Prevale l’esigenza di costruzione di reti collusive e corruttive mirate alla protezione della sicurezza delle comunicazioni e delle transazioni finanziarie delle organizzazioni camorristiche, ma anche all’acquisizione di informazioni sullo stato delle indagini. Il dottor Melillo ha evidenziato come la situazione metropolitana sia caratterizzata da grandi cartelli criminali a cui si rapportano – in una relazione strumentale rispetto al controllo di attività illegali – sodalizi di minore capacità e di più ridotta struttura. Anche il Prefetto di Napoli, dottor Marco Valentini, ha descritto uno scenario criminale che ha subito dei cambiamenti pur mantenendo forti i “valori” e il modus operandi del vecchio sistema: ai clan storici che governano i traffici criminali, si affiancano, oggi, clan minori (clan satelliti) che lavorano in un contesto di subalternità. Il Prefetto Valentini si è a lungo soffermato sulla realtà degli enti locali nell’area di Napoli, soprattutto in riferimento all’interesse che la criminalità organizzata mostra nei confronti di queste amministrazioni. Ha riferito che, da quando esiste la possibilità di sciogliere gli enti locali per infiltrazione mafiosa, nell’area metropolitana di Napoli sono stati emanati 58 provvedimenti di scioglimento che hanno riguardato 42 Comuni. Ancora, l’audito si è soffermato sulla ampia circolazione delle armi da fuoco che vengono utilizzate anche per reati minori. A questo proposito, il Prefetto ha sottolineato la necessità di rafforzare ed implementare le forze dell’ordine che risultano essere insufficienti. Sotto il profilo della sicurezza cittadina, l’audito ha altresì, evidenziato il successo delle interdittive antimafia e si è soffermato sulla necessità di una legge che impedisca ai dipendenti delle aziende interdette di lavorare nella stessa azienda ove non dimostrino di essere esenti da attività criminose, anche perché spesso i lavoratori sono collusi con i datori di lavoro.

I primi dati che emergono dall’audizione del sindaco dottor Luigi De Magistris riguardano la capacità della criminalità di immettere liquidità e quindi di condizionare l’economia legale del territorio. Sulla questione riguardante i beni confiscati alle mafie, il Sindaco ha denunciato il problema di trovare una corrispondenza più veloce tra la confisca e l’assegnazione dei beni stessi che spesso non possono essere utilizzati, né essere oggetto di bando pubblico. Il Sindaco ha rilevato, inoltre, come accanto alla situazione drammatica di alcune carceri, vi siano anche esempi virtuosi quali quello del carcere di Nisida. Gli auditi hanno riferito che non si registrano particolari scontri tra le maggiori organizzazioni camorristiche, mentre, invece sono stati registrati gravi episodi criminosi (agguati, stese, atti intimidatori) a scontri tra piccoli gruppi criminali per motivi legati alla gestione delle piazze di spaccio, delle piccole estorsioni o a dissidi per la supremazia sul territorio. A parte sistemi più raffinati di penetrazione nel tessuto economico sociale, le consorterie criminali continuano a trarre i propri profitti dallo spaccio di stupefacenti, dal contrabbando di tabacchi lavorati esteri, dal gioco illegale, dalle estorsioni e dall’usura. Rimane presente il fenomeno delle “stese”, ossia del ricorso agli spari sulla pubblica via, per lo più in prossimità di civici ove risiedono esponenti di gruppi in contesa, con finalità intimidatoria e/o impositiva di un nuovo referente per il controllo dei traffici illeciti nella zona di interesse. Il quadro attuale della criminalità nella provincia di Napoli si conferma come fenomeno che pur non essendo rappresentato da un’unitaria organizzazione; tuttavia, le stesse caratteristiche di frammentazione e fluidità ne spiegano la capacità di espansione affaristica, anche nelle altre regioni italiane e nei mercati internazionali, sebbene ciò non comporti quasi mai il radicamento territoriale, ma solo l’esportazione dei metodi dell’impresa camorristica.

Emblematica della pervasiva presenza della criminalità organizzata nel territorio della provincia di Napoli, continua ad essere l’infiltrazione negli enti locali, fenomeno che interessa i settori degli appalti di lavori pubblici, delle forniture di servizi, nonché quelli finalizzati ad orientare i piani urbanistici e lottizzazioni. Sintomatico del grado di infiltrazione della camorra negli enti locali è il notevole numero di decreti di scioglimento emanati dal 1991: ben 59 decreti che hanno riguardato 42 Comuni e una ASL, così come è elevato il numero delle interdittive adottate. Inoltre, con finalità di prevenzione e di ripristino della legalità sono stati assegnati i beni confiscati (solo 181 già riutilizzati) e sono stati eseguiti numerosi abbattimenti di manufatti celebrativi di persone decedute legate alla criminalità organizzata.
Particolari criticità nell’area metropolitana di Napoli hanno indotto la Commissione ad approfondire la situazione di alcuni comuni: il comune di Brusciano, sciolto per infiltrazione camorristica nel 2004, caratterizzato dalla mala gestio della classe politica precedente; il comune di Caivano, dove molti fedeli avevano chiesto l’intervento di Don Patriciello in situazioni di pericolo; il comune di Arzano, caratterizzato da poca trasparenza e imparzialità e la mancanza di digitalizzazione delle pratiche, e da occupazioni abusive da parte di famiglie malavitose. Da ultimo, le audizioni della stampa locale attestano un quadro generale pericoloso, fatto di minacce e intimidazioni nei confronti di chi denuncia i gravi atti a sfondo camorristico che si verificano nel territorio.

 

  • Salerno

Nel territorio in esame, le consorterie criminali hanno dimostrato una grande capacità di espansione nei diversi settori dell’economia legale, consolidando la loro presenza e generando ulteriore consenso mediante l’erogazione di finanziamenti ad imprenditori in difficoltà allo scopo di fagocitare le imprese che in tal modo diventano uno strumento di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti. Con riferimento alla criminalità organizzata è stata sottolineata la disomogeneità delle diverse consorterie criminali rispetto al contesto territoriale in cui si trovano ad operare i sodalizi, nonchè la tendenza a sostituire le tradizionali forme di intimidazione, con altre più sfuggenti, riconducibili alla creazione di condizioni monopolistiche in settori economici ed imprenditoriali. Risulta oggetto di interesse, in particolare, il settore degli appalti, ambito nel quale spesso si saldano condotte illecite di soggetti appartenenti a consorterie criminali e di amministratori e dipendenti degli enti che bandiscono le gare: ciò al fine di controllare e condizionare settori nevralgici dell’economia provinciale. In particolare, per quanto concerne il porto di Salerno, esso costituisce un punto di approdo di traffici di sostanze stupefacenti e di merci contraffatte, che spesso fanno capo ad organizzazioni criminali. Gli investimenti pubblici degli ultimi anni rendono l’infrastruttura portuale appetibile da parte delle organizzazioni mafiose per i potenziali vantaggi derivanti dall’attività di controllo criminale e per tale ragione la prefettura di Salerno agisce per scongiurare qualsiasi forma di infiltrazione mafiosa. In merito alle infiltrazioni nella PA, il Prefetto ha evidenziato che la scarsità di risorse per il welfare e le difficoltà nella rotazione degli incarichi dirigenziali aumentano il rischio di inserimento di soggetti criminali nelle procedure amministrative.

Invece, per quanto riguarda le infiltrazioni nell’economia, la fluidità dell’azione criminale dei clan camorristici e i tentativi degli stessi di inserirsi con mire egemoniche in comparti economici è stato contrastato con l’adozione di informazioni antimafia interdittive che hanno colpito imprese operanti in diversi comparti economici. Il Prefetto di Salerno ha sottolineato, inoltre, l’attenzione prestata all’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che insistono sul territorio, anche alla luce degli affari criminali che si sviluppano attraverso importanti investimenti immobiliari. Il Procuratore Borrelli ha esposto poi alcune criticità correlate alla durata dei procedimenti dibattimentali, in particolare presso il Tribunale di Nocera Inferiore, e ha sottolineato la situazione di criticità della casa circondariale di Salerno, all’interno della quale vi è una situazione di sovraffollamento e una diffusa condizione di illegalità.

 

TRENTINO ALTO ADIGE

L’approfondimento da parte della Commissione è stato avviato attraverso l’analisi di una “Relazione preliminare” inviata in data 26 ottobre 2019 da Walter Ferrari e Enzo Sevegani (Coordinamento Lavoro Porfido –C.L.P.), nella quale veniva ricostruita la collocazione geografica dell’attività estrattiva del porfido, inizialmente effettuata su territorio comunale soggetto ad uso civico, attraverso la concessione dell’area oggetto dell’attività di cava all’imprenditoria locale. Nella relazione si adombrava un “istinto predatorio” da parte dell’imprenditoria locale per conseguire il massimo profitto dall’attività estrattiva, anche attraverso speculazioni edilizie e modifiche della pianificazione urbanistica e territoriale. Altrettanto frequente lo sfruttamento degli operai con lavoro in nero, mancato pagamento dei contributi o pagamento a cottimo, tanto da far ritenere sussistente vere e proprie forme di caporalato. La situazione di illegalità diffusa, con evasione fiscale e contributiva, con contabilità poco chiare, e la necessità di riciclare proventi in nero potevano essere tutti elementi idonei alla penetrazione della criminalità.

Ciò che emerge è il quadro di una regione caratterizzata da un tasso basso di criminalità comune, da sporadici fenomeni di criminalità violenta, dalla presenza di criminalità straniere dedita a plurimi reati predatori, al traffico e allo spaccio di stupefacenti, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero, reati determinati anche dalla posizione strategica della regione, snodo nevralgico posto sull’asse Italia-Austria-Germania. In linea generale le organizzazioni mafiose tendono a riciclare e reinvestire capitali di provenienza illecita preferendo territori aventi un tessuto economico florido, come nelle regioni del Nord e nel Trentino-Alto Adige, e un basso profilo.

  • Bolzano

La situazione generale dell’ordine e della sicurezza pubblica è caratterizzata da un alto l’allarme per i furti nelle abitazioni e negli alberghi, per le truffe on-line con fraudolenta vendita di beni e servizi, per il gioco d’azzardo. Il Commissario del Governo si è soffermat, invece, sulle vicende relative a società che scelgono l’Alto Adige quale ubicazione meramente formale. Inoltre, ha spiegato come siano in corso approfondimenti per verificare la correttezza e la trasparenza delle grandi opere in corso. Ha segnalato che tali opere, rientranti tra le infrastrutture e gli insediamenti prioritari, sono oggetto di costante monitoraggio sia sullo stato di avanzamento sia nei riguardi delle imprese, con verifiche sui requisiti antimafia, controlli ed accessi ai cantieri. Il Comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Rivola, ha evidenziato che la criminalità, che fino al 2018 assaltava i bancomat con esplosivi, ha cambiato il modus operandi, ponendo in essere attività di hackeraggio per avere un accesso operativo e immediato con erogazione del contante. Il Comandante provinciale della Guardia di finanza, generale Procucci, si è soffermato sulle frodi fiscali effettuate da società estere, sul traffico di gasolio con evasione delle accise e sul monitoraggio svolto sulle aziende costituitesi recentemente, evidenziando un aumento delle segnalazioni delle operazioni sospette. Si è poi proceduto alla audizione dei giornalisti Christoph Franceschini e Arnold Tribus i quali hanno affermato che in Alto Adige appare più preoccupante la corruzione, le speculazioni economiche in campo alberghiero, il traffico di droga, l’immigrazione clandestina rispetto alle infiltrazioni mafiose e che, ancora oggi, la mafia viene ritenuta dall’opinione pubblica locale un fenomeno tipico delle regioni meridionali. Particolarmente sentito è il problema del consumo degli stupefacenti, atteso che, secondo le statistiche, Bolzano è la seconda città italiana per lo spaccio della cocaina.

  • Trento

Negli ultimi quattro anni sono state eseguite operazioni di polizia giudiziaria per traffico di stupefacenti, contrabbando, violazioni alle norme sugli appalti pubblici, frodi fiscali e riciclaggio, con tasso basso di criminalità comune, assenza di organizzazioni autoctone ex art. 416-bis c.p., pochi crimini violenti e “reati spia”, mentre si registra un aumento del numero di reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed intestazioni fittizie. Ciò è dovuto al tessuto economico e sociale sano, all’elevato tenore di vita, al senso civico dei residenti, nonché al sostegno economico-sociale per i singoli e le famiglie. Gli organi di polizia hanno prestato attenzione al mondo economico locale, per prevenire potenziali tentativi di infiltrazione e accertare casi di riciclaggio o reimpiego di capitali di illecita provenienza, proprio per la crisi di liquidità determinata dalla chiusura di attività produttive causate dalla pandemia. I settori commerciali in cui è alto il rischio di infiltrazioni sono quelli nevralgici per il territorio, quali quello dell’estrazione del porfido, delle costruzioni, della ristorazione, dell’industria alberghiera e le filiere delle produzioni eno-gastronomiche. Il Commissario del Governo ha rappresentato che, da maggio 2021, a seguito delle dimissioni del sindaco di Lona Lases, Manuel Ferrari e della maggioranza dei componenti il Consiglio comunale, determinate anche dall’impatto dell’operazione Perfido, l’Amministrazione civica è gestita da un Commissario straordinario nominato dal presidente della Provincia Autonoma di Trento e che, nelle due tornate elettorali amministrative successive, non è stata presentata alcuna lista. Sotto altro profilo, la polizia giudiziaria contrasta lo spaccio di sostanze stupefacenti, i reati predatori, i delitti di contrabbando di sigarette e olii minerali in violazione del pagamento delle accise e dell’IVA, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, spesso finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero.

I sodalizi etnici più strutturati risultano quelli albanesi e nigeriani, ma sono presenti anche gruppi rumeni e maghrebini, privi di connotazioni di tipo mafioso. Particolare attenzione, ha affermato l’audito, viene dedicata al ciclo dei rifiuti, a seguito della chiusura della discarica di Ischia Podetti, gestita da società oggetto di indagini della procura di Trieste e posta sotto sequestro. Il fenomeno dell’usura e dell’estorsione risulta di scarsa rilevanza. Nella provincia di Trento vi sono, poi, sedici immobili confiscati per usura, già destinati dall’ANBSC, acquisiti al patrimonio del Comune. Analoghe considerazioni ha svolto il Questore di Trento, dott. Alberto Francini, che ha sottolineato come in Trentino le associazioni non operino con interventi volti ad avere il controllo del territorio o in modo violento ma si insinuino nell’ambito economico finanziario, rilevando attività in difficoltà per riciclare proventi illeciti. Il Comandante provinciale della Guardia di Finanza, colonnello Mario Palumbo, ha evidenziato che per prevenire le infiltrazioni economiche della criminalità e sottrarre, attraverso i sequestri e le confische, le ricchezze illecite, per il contrabbando di tabacchi lavorati esteri e prodotti petroliferi, in evasione di imposta, i sodalizi utilizzano il Trentino come area di transito, partendo dai paesi dell’Est ed avendo come sbocco le regioni del Sud Italia, ove vengono reimpiegati i profitti. Il capo centro DIA di Padova, Paolo Storoni, ha inoltre precisato come spesso sia l’imprenditore che si rivolge al mafioso, a causa delle difficoltà economiche determinate dalla pandemia, della lunghezza delle procedure civili ed esecutive a fronte della necessità di un rientro creditizio. L’impresa mafiosa diversifica gli investimenti e si insedia al Nord, dove vi sono appalti e affari allettanti; inoltre, avendo grandi disponibilità economiche, si avvale di professionisti del luogo e, attraverso la corruzione, di funzionari di banca deputati ad erogare finanziamenti. La professoressa Calandra, nella sua audizione, ha affrontato il tema dei titoli che non costituiscono asset di azienda, ma appaiono essere un metodo per ripulire denaro: dalle visure risulta la proprietà di bestiame, ma non l’entità dei contributi erogati. L’audita ha fatto una serie di esempi di situazioni anomale riscontrate sulla base delle quote, avendo verificato numerosi casi in cui soggetti hanno un certo numero di società e qualche titolo e sono altresì intestatari di decine di altre società, con sedi in più regioni italiane e con titoli presi in Calabria, nel foggiano e poi ceduti a Crotone, ad Oristano, a Cuneo, cessioni che non lasciano alcuna traccia contabile.

 

VENETO

  • Venezia

ll tessuto economico della provincia di Venezia, così come quello dell’intero Veneto, esercita una particolare attrattiva per la criminalità organizzata perché caratterizzato da piccole e medie imprese, da un alto tasso di industrializzazione, da un importante indotto turistico e da una fitta rete di sportelli bancari. Il territorio provinciale, inoltre, costituisce un potenziale snodo strategico per i traffici illeciti, interni e internazionali, dagli stupefacenti agli oli minerali di contrabbando, essendo interessato da importanti direttrici di traffico veicolare dall’est Europa e servito da infrastrutture portuali ed aeroportuali di rilievo, collegate con gli importanti hub passeggeri e merci europei e del mondo. In questo contesto si è registrata negli anni un’infiltrazione non violenta della criminalità organizzata, favorita anche dalla destinazione al confino in diverse località della regione, tra gli anni 70 e 90 di molti boss di cosa nostra, della camorra e della ‘ndrangheta. L’insediamento di organizzazioni criminali è stato in secondo luogo determinato dallo sviluppo, spesso ‘tumultuoso‘, dell’economia veneta che, nei tre decenni predetti ha conosciuto un vero e proprio boom economico non sempre regolato e ben orientato. Tale condizione ha attirato i capitali illeciti e le attività economiche, soprattutto nei settori dell’edilizia, turistico-alberghiero e balneare, nonché quelle afferenti agli appalti pubblici, sono state utilizzate per il reinvestimento dei capitali illeciti, soprattutto quelli provenienti dal traffico di stupefacenti. Il Prefetto ha in proposito sottolineato come l’ingresso delle organizzazioni criminali di tipo mafioso in Veneto non è avvenuto con i metodi tradizionali: esse si sono infiltrate silenziosamente nelle attività economiche, nella vita delle imprese e delle società, senza destare preoccupazione e mirando non ad un controllo di tipo militare del territorio, ma ad interessi economici di cui era ricco il Veneto.

Per quanto riguarda la provincia di Venezia, il Prefetto ha fatto presente come essa non si discosti da tale schema e riproduca, in una scala minore, le ragioni della presenza delle organizzazioni mafiose a livello regionale. Tale provincia si differenzia dalle altre per la circostanza che soprattutto la camorra e il clan dei Casalesi non si sono limitati a fare affari, ma hanno tentato il salto di qualità (cioè l’interessamento al controllo delle istituzioni, soprattutto delle amministrazioni locali, come avvenuto nel Comune di Eraclea). Numerose sono le indagini dalle quali è emerso che la criminalità organizzata è riuscita ad approfittare della fiducia di imprenditori veneti, utilizzandone le attività economiche, spesso rilevate approfittando delle difficoltà in cui versavano, per il compimento di illeciti; in taluni casi, invece, gli operatori economici veneti hanno deciso di avvalersi delle utilità offerte dalle organizzazioni criminali per tentare di risolvere i loro problemi. In ordine alle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle pubbliche amministrazioni venete, occorre evidenziare che gravi episodi corruttivi verificatisi nell’ambito delle procedure di affidamento dei lavori per la realizzazione del MO.S.E. hanno portato al coinvolgimento di amministratori locali, e di funzionari pubblici apicali nelle amministrazioni centrali dello Stato. In ordine alle infiltrazioni nell’economia, il Procuratore Distrettuale di Venezia ha riferito di come le associazioni mafiose non vengano avvertite come pericolo effettivo e reale.

Il grosso problema è costituito altresì dalla limitata risposta che viene data dalla popolazione e da tutti i sistemi di rappresentanza istituzionale, posto che la criminalità organizzata che si manifesta in Veneto, in particolare la ‘ndrangheta, non ha evidenze di reati che investano le persone o le cose; l’attività è soprattutto di riciclaggio e viene posta in essere attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti, che servono a riciclare il denaro di provenienza delittuosa, attività che coinvolge anche piccoli imprenditori a ciò disponibili. Estorsioni, rapine, incendi, rimangono sempre marginali rispetto alla rilevante attività di violazioni fiscali e finanziarie per le finalità di riciclaggio che la ‘ndrangheta persegue. Inoltre, il Procuratore distrettuale antimafia dottor Cherchi ha riferito che sono state emesse circa 200 misure cautelari nei confronti della criminalità organizzata, in particolare ‘ndranghetista, ma anche camorrista, nei confronti di soggetti che erano presenti nel territorio veneto da diversi anni e che soffrivano di carenze investigative. Con riferimento alle dotazioni di personale, il Procuratore di Venezia ha auspicato la possibilità di ottenere la copertura degli organici dei magistrati e anche del personale amministrativo, ove si registra una scopertura pari a circa il 35-40% dell’organico.

  • Verona

Va evidenziato che sono diffusi i segnali che provengono dal giornalismo d’inchiesta, che sovente ha sollecitato l’attenzione delle Istituzioni in ordine alle infiltrazioni mafiose in questo territorio. La posizione privilegiata, che la pone al centro delle grandi linee di comunicazione terrestre che collegano Germania e Italia, la presenza delle più grandi aziende manifatturiere di Europa e la crescente l’espansione degli scambi commerciali, sono tutte circostanze che trovano conferma nella crescita dell’interporto di Verona, classificato tra i primi in Europa. Le indagini compiute sulla criminalità di tipo mafioso e sulla presenza sul territorio di cellule locali hanno evidenziato l’elevato dinamismo di carattere economico-finanziario: i soggetti coinvolti sono difficili da seguire ed individuare per l’elevata mobilità che presentano sul territorio, anche mediante il frequente trasferimento delle sedi della società di cui si avvalgono, al fine evidente di complicare i controlli delle autorità. Secondo le investigazioni compiute, le principali attività delittuose svolte dalla criminalità organizzata si coagulano intorno a tre grandi poli: il riciclaggio dei proventi illeciti, il traffico di sostanze stupefacenti e la gestione dei rifiuti. Le indagini in materia di stupefacenti hanno consentito di appurare che le organizzazioni dedite al traffico sono gestite da soggetti, spesso con disponibilità di armi, appartenenti alla criminalità organizzata che, con il concorso di organizzazioni straniere del nord Africa e dell’est Europa hanno proseguito le loro attività criminali anche durante la detenzione, grazie alla disponibilità di apparecchi cellulari all’interno delle strutture penitenziarie. Con riguardo ai patrimoni ritenuti di dubbia provenienza, sono stati eseguiti accertamenti patrimoniali sia ai sensi del Codice antimafia, sia finalizzati all’applicazione della cosiddetta ‘confisca per sproporzione‘. Sono state, ancora, eseguite attività ispettive nei confronti dei professionisti tenuti ad applicare le norme antiriciclaggio, e sono state contestate violazioni con riferimento alla mancata segnalazione di operazioni sospette e alla assenza sia dell’adeguata verifica della clientela, sia della comunicazione dei dati relativi alle segnalazioni.

La Polizia di Stato, oltre alla attività di monitoraggio sugli appalti pubblici, compiuta principalmente con l’analisi di documentazione contabile e fiscale, compie un attento monitoraggio sia sulle organizzazioni mafiose autoctone che su quelle che si caratterizzano per la presenza di stranieri. Da taluni dei rappresentanti della società civile auditi è stato evidenziato che in Veneto agli indicatori di illegalità economica diffusa, individuati nella presenza di evasione fiscale e contributiva, caporalato, lavoro nero e sommerso, reati economici e finanziari, si affianca la presenza di episodi di corruzione negli appalti pubblici. Dunque, la consapevolezza che dove vi è criminalità economica vi è un rischio di contagio nella pubblica amministrazione, ha portato la Prefettura e le forze di polizia ad effettuare un costante monitoraggio ed a fornire supporto a favore degli enti locali. Per quanto concerne le infiltrazioni nell’economia, il modus operandi della mafia imprenditrice del Nord e della provincia di Verona è di operare non con atti di intimidazione o di violenza immediata, ma utilizzando la mimetizzazione, ingenti risorse economiche, facendo ricorso a professionisti e consiglieri capaci e spregiudicati e facendo ricorso al camaleontismo societario. In tale contesto le mafie, e la ‘ndrangheta in modo particolare, agiscono come operatori economici, sovente in grado di fornire servizi e beni a prezzi molto concorrenziali. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona ha sottolineato come sia costante l’attenzione nei confronti dei reati spia e in particolare dei fenomeni di riciclaggio: sono monitorate costantemente le vicende di società cooperative che iniziano e molto presto cessano la loro attività nel territorio veronese, di società che falliscono, che commettono reati fiscali e violazione della normativa a tutela dei diritti dei lavoratori. Analogamente alto è il livello di attenzione sui reati in materia di gestione del ciclo dei rifiuti e in materia ambientale.

 

FRIULI VENEZIA GIULIA

  • Trieste

Nell’ambito dell’attività istruttoria sulla sicurezza portuale condotta dal quinto comitato-mafie straniere, una delegazione della commissione antimafia effettuato la missione a Trieste svolgendo diverse audizioni. L’esito dei lavori svolti dal comitato è stato compendiato nella “Relazione sulla sicurezza portuale e i presidi di legalità contro l’infiltrazione della criminalità organizzata” del 27 luglio 2022. Le attività investigative hanno escluso la presenza stanziale di organizzazioni criminali strutturate sul territorio della provincia che rappresenta prevalentemente un luogo di transito per i traffici illeciti di armi e la tratta di esseri umani gestiti da associazioni mafiose. L’attività di investimento e riciclaggio di capitali illeciti riferibile a soggetti appartenenti alla criminalità organizzata presente in altri territori comporta comunque la necessità di vigilare sul rischio di inquinamento del tessuto imprenditoriale ed economico. La Prefettura ha sottoscritto, dunque, tre protocolli di legalità – con la Regione Friuli-Venezia Giulia, con l’Autorità portuale e con il Comune di Trieste che riguardano il settore degli appalti pubblici, la riqualificazione del comprensorio del cosiddetto “Porto Vecchio” e l’ammodernamento e l’allungamento del Molo VII – i quali prevedono anche l’implementazione di banche dati attraverso le quali il Gruppo interforze antimafia potrà vigilare sui lavori previsti. Il presidente dell’autorità portuale, poi, ha auspicato l’istituzione di una commissione di valutazione di impatto ambientale ad hoc per il PNRR che consenta di conciliare l’esigenza di svolgere i necessari controlli con quella di rispettare le scadenze imposte dall’Unione Europea. Rileva inoltre una circostanza definita paradossale posto che in base alla nostra legislazione le autorità portuali non possono essere titolare della proprietà e della gestione determina all’interno dei propri porti, e come gli Stati stranieri investono nei porti italiani mentre è escluso che possa farlo all’autorità portuale italiana pur avendone tutte le risorse e gli strumenti necessari. I rappresentanti delle forze dell’ordine, quelli della Capitaneria di porto e delle Dogane auditi nel corso della missione hanno invece riferito in merito ai controlli a campione svolti sulle merci in transito e hanno precisato che si è recentemente affermata la tendenza a trasferire in loco la produzione illecita anziché trasportare il prodotto finito, proprio per evitare l’azione di contrasto esercitata dalle forze di polizia alle frontiere: ci si è di conseguenza attivati per impedire il traffico di beni, cosiddetti “precursori”, che vengono lavorati negli stabilimenti.

 

EMILIA ROMAGNA

  • Bologna

Il Prefetto, Patrizia Impresa, si è soffermata sul processo Aemilia, analizzando la ricostruzione storica dell’associazione di stampo ‘ndranghetista emiliana, le forme del radicamento criminale, le attività imprenditoriali mafiose e le forme del concorso esterno da parte della c.d. “borghesia mafiosa”. Le indagini, infatti, avevano di svelato una colonizzazione dell’Emilia-Romagna iniziata negli anni 80 e 90 con il trasferimento nel comune di Quattro Castella di Antonio dragone, capo della ‘ndrina di Cutro, sottoposto al confino. Durante la detenzione di quest’ultimo si erano trasferiti in terra reggiana i familiari più stretti, sodali e concorrenti dapprima arricchitisi con traffico di stupefacenti e poi con l’edilizia e il trasporto. L’arresto e la condanna di Antonio dragone porta poi alla riorganizzazione interna con la prevalenza di Nicolino Grande Aracri in Emilia, diventato capo cosca di Cutro. Pur avendo costanti e stretti rapporti con la locale di Cutro, le ‘ndrine emiliane operavano in piena autonomia dalla casa madre. Lo stile operativo di tali consorterie si era caratterizzato per affiancare alle attività di usura, estorsione, traffico di stupefacenti, un’attività apparentemente lecita nel campo dell’edilizia privata, dell’autotrasporto, degli appalti pubblici e degli esercizi commerciali per riciclare i capitali illeciti attraverso false fatturazioni realizzate grazie alla cooptazione degli imprenditori, affiancati dai sodali. Il gruppo Q3S, per accreditarsi quale consorzio imprenditoriale lecito e ottenere contratti di appalto, nonché conoscere il mondo imprenditoriale locale, aveva stretto rapporti di scambio elettorale e favori con professionisti, politici, giornalisti, rappresentanti delle forze dell’ordine e dei comuni emiliani, molti dei quali imputati di concorso esterno. Tali risultanze investigative attestavano il radicamento in Emilia-Romagna del clan ‘ndranghetista Grande Aracri, soprattutto nei piccoli centri quali Brescello (sciolto per infiltrazione mafiosa e dove risiede la famiglia Grandi Aracri), Gualtieri, Bibbiano Montecchio Emilia, Reggiolo oltre che a Reggio Emilia. Il Prefetto ha sottolineato che il tratto distintivo delle consorterie criminali nella Regione è stato l’approccio imprenditoriale e la capacità di infiltrarsi nel tessuto economico-finanziario locale, in particolare a Bologna, con il fine di non creare allarme sociale, agendo per ottenere consenso e controllare i centri di potere (stampa, amministrazioni locali e imprenditoria). È stato altresì sottolineato che non vi sono evidenze di un radicamento, a Bologna, di esponenti di cosa nostra, mentre vi sono presenze operative sul fronte della ‘ndrangheta, interessata ai settori turistico-alberghiero, alla ristorazione, alle sale slot e all’edilizia. La camorra è coinvolta in attività imprenditoriali nel settore dell’edilizia, della ristorazione e della distribuzione di carburanti, mentre le mafie straniere sono, per lo più, di origine maghrebina, nigeriana, albanese, cinese e pakistana, dedite allo sfruttamento della prostituzione, al traffico di migranti e allo spaccio di stupefacenti. Di particolare rilievo, ha sottolineato il Prefetto, l’attività di prevenzione svolta, attraverso l’adozione di protocolli di legalità con la Regione, le confederazioni sindacali e le parti sociali interessate per tutelare la ricostruzione post-sisma del 2012, impegnando le stazioni appaltanti ad estendere la richiesta delle verifiche antimafia a tutti i fornitori ed esecutori, agli appalti di lavori pubblici sottosoglia e nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia privata. Sia il Presidente Colonna sia il Presidente Caruso hanno lamentato l’esiguità dell’organico.

  • Reggio Emilia

Il Prefetto ha affermato che, in una situazione di diffusa ricchezza del territorio e dell’economia locale, la provincia è stata attrattiva per elementi della criminalità organizzata e mafiosa che, arricchitisi con il traffico degli stupefacenti, hanno posto in essere attività speculative illecite nell’edilizia e nell’autotrasporto, caratterizzate dall’impiego di manodopera a bassa specializzazione, e ha segnalato il forte radicamento di affiliati alle cosche di Cutro e di Isola Capo Rizzuto. L’accertata esistenza di un sodalizio della ‘ndrangheta sul territorio reggiano ha reso massima l’attenzione delle forze dell’ordine su reati che potrebbero essere sottovalutati, quali incendi e danneggiamenti, ed ha determinato un ulteriore sforzo investigativo su anomale movimentazioni finanziarie e sull’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Ugualmente alta è la vigilanza attuata dalla Prefettura, con controlli ed accertamenti, sulle richieste di iscrizione nelle white list, stante la possibilità di ottenere i fondi per la ricostruzione post sisma e le infiltrazioni della criminalità accertate nel campo dell’edilizia e dell’autotrasporto, essendo possibile una riorganizzazione della cosca Grande Aracri. Cosa nostra e la camorra hanno uno scarso impatto criminale nel territorio. Le organizzazioni criminali straniere riguardano, essenzialmente, la comunità albanese e marocchina, dedita al traffico di stupefacenti ed alla prostituzione, la comunità cinese, che controlla la ristorazione con immigrazione clandestina di connazionali, lavoro nero, sfruttamento anche di minori e quella nigeriana per lo sfruttamento della prostituzione. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia ha evidenziato la peculiarità dell’insediamento della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, la carenza di organico, nonché la presenza della criminalità nigeriana e dei cult, delle risse, anche con l’uso del machete, verificatesi tra numerosi nigeriani. Da ultimo, è stato redatto un testo unico sulla legalità, una consulta regionale sulla legalità, una commissione speciale di ricerca e studio sulle cooperative fittizie per evitare l’appalto illecito di manodopera, nonché diversi progetti di formazione specifica del personale amministrativo politico e tecnico.

  • Modena

Il Prefetto di Modena, Maria Patrizia Paba, ha affermato che la provincia di Modena non è immune al rischio d’infiltrazione da parte della criminalità organizzata atteso che l’attività d’indagine delle forze di polizia ha fatto emergere la presenza di gruppi o persone legati soprattutto a consorterie di matrice camorristica o ‘ndranghetista, attratti da una realtà economicamente florida, con ampie possibilità offerte da un sistema imprenditoriale diversificato. Si sono quindi stabiliti nella provincia, insieme all’intero nucleo familiare, soggetti criminali che hanno avviato attività imprenditoriali in differenti settori commerciali e hanno poi sviluppato forme di aggressione all’economia legale e al sistema degli appalti pubblici. Gli affiliati all’organizzazione criminale camorristica dei casalesi, fin dalla loro prima comparsa sul territorio emiliano (risalente agli anni Ottanta), hanno impiantato basi logistiche nella “bassa modenese” e la loro attività illecita si è concentrata sull’edilizia, sugli appalti e sulle estorsioni. Gradualmente, si è trasformato il modus operandi dei componenti, che hanno abbandonato condotte violente ed hanno attualmente una presenza silente. Inoltre, la cattura dei latitanti Zagaria e Iovine, l’emissione di numerose interdittive nei confronti di imprese e società, operanti nell’edilizia, ha impedito che gli affiliati utilizzassero a scopi illeciti la ricostruzione post terremoto ed ha determinato il ritorno di diversi pregiudicati nelle zone di origine. Cosa nostra non risulta particolarmente attiva mentre la ‘ndrangheta è presente nel modenese, ove sono insediate promanazioni delle cosche dell’area di Cutro (cosca Dragone-Grande Aracri) e della piana di Reggio Calabria (cosca Longo-Versace di Polistena). La criminalità di origine straniera è costituita dai nigeriani, dediti allo sfruttamento della prostituzione, dagli albanesi dediti al traffico di stupefacenti al pari dei marocchini e, infine, dai cinesi, noti per il caporalato e lo sfruttamento di manodopera. È in corso la redazione di un nuovo protocollo tra le nove procure del distretto, la direzione distrettuale antimafia, la procura generale e la direziona nazionale antimafia e antiterrorismo, per favorire la circolarità delle informazioni e cogliere segnali di infiltrazione mafiosa. È stato, altresì, evidenziato come le organizzazioni mafiose siano sempre più diventate mafia imprenditrice, che offre lavoro e servizi, credito agli imprenditori salvo poi entrare e dirigere le aziende, avvalendosi di professionisti, commercialisti, ingegneri, avvocati e cercando anche un appoggio a livello politico.

 

LAZIO

  • Roma

Le problematiche della provincia sono connesse alla situazione di degrado urbano che caratterizza determinati quartieri, dalle condizioni degli spazi circostanti i campi rom, dalle carenze nei principali servizi pubblici locali e dalla carente manutenzione, in genere, degli spazi pubblici. La situazione socio-economica descritta produce, come ricostruito dal Prefetto, un inevitabile riflesso sulla situazione della criminalità sul territorio, caratterizzata dalla presenza di più organizzazioni che sfruttano la complessità del contesto capitolino quale risorsa per i loro interessi illeciti. Uno dei principali settori d’interesse delle organizzazioni criminali è rappresentato dal mercato degli stupefacenti che indotto la Prefettura a potenziare il controllo, soprattutto nelle aree individuate come maggiormente a rischio, articolando un nuovo modulo dedicato (MOD) che prevede l’intervento coordinato di tutte le forze di polizia. Il prefetto ha chiarito come il territorio di Roma sia teatro di una presenza mafiosa plurima e diversificata a carattere non monopolistico, sicché non è possibile individuare un soggetto in posizione di preminenza, poiché sullo stesso territorio coesistono e interagiscono diverse entità criminali accomunate dallo stesso interesse illecito utilitaristico. L’audito a precisato come a Roma si possono distinguere tre forme di presenze mafiose: i gruppi che costituiscono proiezioni delle storiche famiglie mafiose con le quali mantengono solidi legami e di cui curano gli interessi sul territorio; gruppi autonomi promossi da esponenti delle mafie tradizionali; e infine organizzazioni criminali autoctone (come la famiglia dei Casamonica) dedita ad attività che vanno dall’estorsione all’usura, al traffico di droga e al reimpiego di capitali illeciti.

La ‘ndrangheta ha investito in attività commerciali, nella ristorazione, nell’intermediazione e nella compravendita immobiliare soprattutto grazie alla compiacenza di una fitta rete di relazioni con professionisti della cosiddetta area grigia. La camorra, invece, si dedica all’attività predatoria, all’usura, al gioco d’azzardo e soprattutto al narcotraffico. Le operazioni di riciclaggio hanno interessato la gestione di esercizi commerciali. Cosa nostra, invece, è distribuita in tutto il contesto capitolino e si avvale delle relazioni con i professionisti romani e con i siciliani trasferiti a Roma. I Casamonica operano nel quadrante Sud della città in diversissime attività illecite. Un discorso a parte merita il Municipio di Ostia, i cui organi amministrativi sono stati sciolti nel 2015 e dove famiglie di criminalità organizzata (camorra e cosa nostra) avevano infiltrato la vita dell’ente. Imponente è stata l’attività delle cosche rivolta al riciclaggio di capitali illecitamente acquisiti nell’ambito della ristorazione, nelle discoteche e nella rivendita e noleggio di autovetture e nell’acquisizione delle concessioni di stabilimenti balneari sul litorale di Ostia. Al fianco di tale elevata presenza criminale, la criminalità balcanica e quella magrebina sono inclini alla distribuzione di sostanze stupefacenti, traffici d’armi, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione; quella di etnia romena alle rapine in villa e furti in abitazione; la criminalità nigeriana privilegia la tratta degli esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione; le organizzazioni cinesi sono dedite alla consumazione di reati intraetnici, condotte usurarie, estorsive, costituzione di società fittizie allestite sia per frodare il fisco, che per trasferire i capitali in Cina. Infine, i sodalizi di origine russa hanno rivolto la loro attenzione a settori come la tratta di esseri umani, il traffico di droga e armi, il riciclaggio di capitale. Queste associazioni riescono a operare nei diversi quartieri di Roma tessendo alleanze stabili sia con la criminalità organizzata, che con i gruppi autoctoni e autonomi esistenti nella Capitale. Il Prefetto ha chiarito come il principale interesse delle mafie nella Capitale, oltre al mercato degli stupefacenti, sia incentrato sull’acquisizione di imprese, attività ed immobili, fonte di riciclaggio e di reimpiego di risorse illecite, in un regime di convivenza pacifico, grazie alla complessità del tessuto economico che caratterizza l’area della Città metropolitana e del ricorso ad accordi corruttivi per la realizzazione degli obiettivi illeciti.

Con riferimento ai controlli preventivi antimafia, il prefetto ha evidenziato le difficoltà incontrate sia per il gran numero di richieste, sia per la struttura delle numerose imprese aventi sede nella capitale, caratterizzate da un intreccio di partecipazioni con operatori economici residenti in altre località. In ordine ai commissariamenti, l’audito ha informato la Commissione delle numerose gestioni straordinarie disposte dopo la conclusione dell’indagine denominata Mondo di Mezzo riguardanti le più importanti commesse pubbliche in materia di rifiuti, accoglienza dei migranti e sanità. Con riferimento all’attività svolta dalla Prefettura in tutela delle vittime di fenomeni di racket e di usura, l’audito ha comunicato che è in corso il tentativo di implementare l’attività di sostegno di coloro che hanno presentato denuncia e di incrementare la presenza nei municipi dove tali fenomeni si sono manifestati con maggiore incidenza. In merito al monitoraggio degli enti locali, invece, il Prefetto ha sottolineato la grande attenzione prestata al rischio di infiltrazione delle organizzazioni mafiose ed ha informato la Commissione che, alla data dell’audizione, non erano emerse al riguardo particolari evidenze, ad eccezione dei comuni di Anzio e di Nettuno, poi sciolti. Nel fornire un quadro delle diverse forme di manifestazione delle strutture mafiose sul territorio sovrapponibile a quello rappresentato dal suo predecessore, il Prefetto Piantedosi ha ampliato il novero delle famiglie esistenti sul territorio di Roma, proiezione delle mafie tradizionali, e ha evidenziato l’esistenza di gruppi autoctoni, la cui connotazione mafiosa non ha ancora trovato conferma in sentenze definitive (clan Gambacurta), e di gruppi con matrice etnica, aventi spesso una dimensione transnazionale che, al pari dei primi, operano tanto a Roma quanto nella provincia con metodi mafiosi. Egli ha ribadito come le organizzazioni operanti nell’area metropolitana sfruttino l’ampiezza del territorio e la vivacità del tessuto produttivo per occultare gli ingenti capitali illeciti accumulati con l’estorsione, l’usura e il traffico di droga, reinvestendoli in immobili, esercizi commerciali ed aziende con effetto distorsivo della concorrenza.

La prefettura poi ha investito le proprie risorse: nella liberazione degli immobili pubblici occupati; nella prevenzione (in materia di certificazione antimafia e di provvedimenti di sostegno e monitoraggio delle imprese, nonché in merito alla gestione dei beni confiscati); in uno studio per individuare i bandi di gara degli enti locali maggiormente appetibili per la criminalità organizzata alla luce delle elevate somme previste dal PNRR; nell’azione di supporto all’ANBSC; nella tutela delle vittime dei reati di estorsione e usura. Gli auditi hanno evidenziato come il basso numero di crimini violenti nella città sia da ascrivere all’assenza di contrasti tra i gruppi criminali anche in relazione al mercato degli stupefacenti, che si attua attraverso una non rigorosa spartizione delle forniture in base all’etnia, e per mezzo di una pacifica divisione, tra i vari gruppi, della vendita al minuto: la gestione delle grandi piazze della periferia compete ai cittadini italiani, mentre le attività di spaccio nelle zone del centro sono affidate, per lo più, a cittadini stranieri.

  • Latina e sud Pontino

Secondo quanto riferito dagli auditi il territorio è caratterizzato da un forte insediamento di sodalizi mafiosi, sia autoctoni, che derivati dalle mafie tradizionali (in particolare, dalla camorra, i casalesi e dalla ‘ndrangheta), organizzazioni la cui presenza è da sempre motivo di allarme e di preoccupazione per la sicurezza e la tenuta del tessuto economico, sociale e politico. Il Procuratore aggiunto ha, quindi, spiegato che la consapevolezza della gravità della situazione di questo territorio e della necessità ed urgenza di una efficace azione di contrasto, è alla base della scelta dell’ufficio di costituire, all’interno della Direzione distrettuale antimafia di Roma, un pool specificamente dedicato al coordinamento delle indagini riguardanti il sud Pontino. Così è stato possibile accertare la presenza a Latina di una famiglia di ‘ndrangheta molto importante, quella dei Crupi, che aveva posto la città al centro di un traffico internazionale di cocaina dall’Olanda alla Calabria. È stata, poi, accertata l’operatività di alcuni gruppi imprenditoriali con collegamenti mafiosi in Calabria, caratterizzati dalla allarmante commistione tra gli apparati criminali, il braccio armato e i “colletti bianchi”. È stato inoltre possibile ricostruire l’operatività, sempre nella città di Latina, di un sodalizio autoctono a caratterizzazione mafiosa, il clan Di Silvio. Ha riferito il dottor Prestipino come tale clan destinasse alcuni dei suoi uomini ad una vera e propria attività di campagna elettorale, con un prezzario riferito ai servizi di attacchinaggio e di vigilanza sui manifesti affissi, oltre ad una serie di altri servizi collegati alla campagna elettorale.

 

BASILICATA

  • Scanzano Jonico

Partendo dalle specifiche problematiche del Comune di Scanzano Jonico, oggetto di provvedimento di scioglimento ex art. 143 Tuel, si è voluta avviare una riflessione sulla natura e sui legami della criminalità organizzata operante nel territorio lucano. Scanzano Jonico è caratterizzata dalla presenza di radicati sodalizi mafiosi. Dalle indagini sono emersi elementi che hanno messo in luce l’esistenza ed operatività di associazioni di tipo mafioso, dedite ad attività estorsive a danno di imprese commerciali, al traffico di sostanze stupefacenti, nonché alla gestione e controllo – diretti o realizzati attraverso prestanome – di attività economiche di imprese e società che intervenivano anche nelle procedure di gara e poi nell’esecuzione di appalti pubblici. È stato rilevato in particolare come, oltre ad una espansione delle stesse, si vada delineando una certa strategia di cooperazione con gli aggregati criminali confinanti della Puglia, della Campania e della Calabria, resisi disponibili ad interagire con le consorterie criminali locali per espandere i propri affari illeciti. E’ emerso che il territorio della Basilicata presenta, oltre alla permeabilità con le mafie confinanti, formazioni criminali autoctone in fase di riorganizzazione che condizionano l’economia legale con metodi tipicamente mafiosi, assoggettando gli operatori presenti sul mercato attraverso pratiche estorsive e intimidatorie. È emersa anche una spiccata capacità di reinvestimento dei proventi illeciti, attraverso il controllo di alcuni settori economico-produttivi con intestazioni fittizie di beni.

In particolare, per il settore degli stupefacenti, la Basilicata, oltre a costituire terra di transito per i traffici delle cosche calabresi e pugliesi, si è confermata essere una significativa piazza di spaccio. Gli altri ambiti nei quali si sono registrate plurime e costanti violazioni delle norme amministrative e penali sono quelli della gestione del ciclo dei rifiuti, dell’ambiente, dell’illecita raccolta di scommesse su eventi sportivi e del gioco d’azzardo, della sicurezza alimentare e nei luoghi di lavoro, nonché del cosiddetto ‘lavoro nero’. Premettendo che nella zona del materano si registra la presenza di organizzazioni mafiose di tipo autoctono, ma anche di pesanti infiltrazioni delle organizzazioni che operano nell’alta Calabria e in Puglia, il dottor Curcio ha sottolineato come forti criticità siano conseguenza della mancata collaborazione tra la Direzione distrettuale antimafia di Potenza e la Procura circondariale di Matera. Questo grave vuoto di cooperazione istituzionale ha determinato un dannoso stallo investigativo. Per quel che concerne il turismo, una serie di villaggi e operatori viene soffocata dalle organizzazioni mafiose locali mediante una monopolizzazione di fatto della gestione di tutti i servizi turistici, che si risolve nella imposizione di costi non negoziabili. Complessivamente, sotto un profilo culturale, sia le organizzazioni materane che quelle potentine hanno forti riferimenti nella ‘ndrangheta calabrese. I rituali, confermati anche da evidenze investigative, sono infatti riconducibili a detta potente organizzazione di tipo mafioso. Il dottor Curcio, concludendo, ha evidenziato la necessità di potenziare l’azione preventiva e repressiva del fenomeno attraverso la creazione di un centro DIA totalmente dedicato alla regione Basilicata.

 

CRIMINALITÀ NIGERIANA IN ITALIA

La mafia nigeriana, per lungo tempo ricondotta ad una criminalità diffusa alimentata dalla migrazione, non essendo stato colto come esse fossero espressione di una illecita struttura organizzativa dotata di una complessa articolazione e di una rigida gerarchia, attualmente è la più radicata e consolidata tra le mafie straniere. Essa gode di una propria specificità̀ connessa all’ambito culturale di provenienza; si è insediata nelle regioni dov’è minore la presenza di mafie italiane; presenta affiliati per la maggior parte clandestini e ha la tendenza a non formare alleanze con le mafie autoctone, se non per specifici affari illeciti. I gruppi criminali nigeriani operanti in Italia sono di fatto “Confraternite”, associazioni para massoniche tutte nate nelle varie università della Nigeria negli anni Sessanta. Queste, operano e si modulano come società moderne attraverso: la multisettorialità degli affari; la diffusività delle cellule, che realizzano un ampio network intercontinentale; l’elevata capacità di condividere intenti transnazionali; il mirato esercizio della violenza, per evitare l’allarme sociale. Le confraternite sono vere e proprie “holding” del crimine che nel loro insieme rappresentano la mafia nigeriana, la quinta mafia più pericolosa e potente del mondo dedita alla commissione di molteplici reati, dallo spaccio di stupefacenti, al favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’accattonaggio forzoso, alle estorsioni, alla clonazione di carte di credito, alle truffe informatiche e in ultimo, al controllo del territorio.

La Commissione ha esaminato i quattro secret cults presenti in Italia: i Maphite, i Black Axe, i Supreme Eiye, i Vikings. Si tratta di sodalizi con una struttura gerarchica, un linguaggio proprio, riti di affiliazione, l’uso di specifici capi di abbigliamento e colori. Tutti si prefiggono quale scopo la commissione di delitti utilizzando la violenza come forma di sopraffazione. Il danaro, seppure non tutto di provenienza illecita, risulta “viaggiare” dall’Italia alla Nigeria sia attraverso un regolare sistema di “money transfer” sia mediante l’hawala, una forma di che prevede che il broker riceva il denaro in Italia e comunichi la cifra a un suo omologo presente nel luogo dove il denaro deve arrivare. Quest’ultimo lo consegna al destinatario: tutto è basato solo sulla fiducia e su un codice d’onore. Il fenomeno è complesso: le organizzazioni criminali nigeriane sono quasi impenetrabili, strutturate con una gerarchia ferrea e i collaboratori di giustizia non sono molti soprattutto per paura di ritorsioni sui familiari in Africa. Sulla tratta di essere umani, che costituisce il fulcro delle illecite attività a cui la mafia nigeriana è dedita, si è concentrata l’attenzione della Commissione cheha formulato una serie di proposte. Tra esse, quelle finalizzate a creare più specifiche competenze professionali, sia da parte della magistratura inquirente che da parte della polizia giudiziaria, e ad implementare la dotazione di risorse sia umane che di mezzi e strumentazione, favorendo la creazione di un osservatorio e di una banca.

 

(a cura di Cristina Romeo, Master APC dell’Università di Pisa)