Premessa. Il 27 luglio 2016 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo ha deliberato l’avvio di un ciclo di audizioni sui rapporti tra criminalità organizzata e contraffazione. La prima seduta si è svolta il 15 settembre 2016, con l’audizione di Maria Vittoria De Simone, Sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il 6 ottobre 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti di Europol e il 3 novembre 2016 quelli di Interpol. Il 6 febbraio 2017 sono stati auditi esponenti del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale e di Napoli, nonché della Fondazione Caponnetto e dell’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai Cgil. Il 27 marzo 2017 sono stati ascoltati il rappresentante dell’OECD, Counsellor Reform of the Public Sector Public Governance and Territorial Development  ed il Vice Comandante dei ROS dell’arma dei Carabinieri. Qui di seguito è riportata una sintesi dei contenuti delle audizioni sulla base degli stenografici sinora disponibili.

La sottovalutazione del fenomeno della contraffazione. Il Sostituto procuratore ricorda che per lungo tempo il fenomeno della contraffazione è stato molto sottovalutato, arrivando in alcuni casi addirittura a essere visto come un’occasione di sviluppo, e ciò nonostante la possibilità per le organizzazioni criminali di ottenere profitti elevatissimi: anche il sistema repressivo e quello preventivo è stato molto blando. Solo negli ultimi anni si è registrato un consenso generalizzato sul fatto di considerare la contraffazione un gravissimo attacco alla libertà di impresa e una pratica fortemente illegale che distrugge le regole del mercato (la lotta alla contraffazione è divenuta una priorità per le imprese), anche se ancora oggi esiste un’enorme differenza nell’attenzione che si presta al contrasto al traffico degli stupefacenti o al contrabbando rispetto alla contraffazione. De Simone sottolinea che è importante partire da questo aspetto perché per combattere un’attività illecita tanto complessa è necessario un intervento sinergico da parte di tutte le Istituzioni e di tutti i soggetti interessati al fenomeno.

Definisce questo fenomeno complesso perché alla contraffazione si accompagnano svariate forme di illegalità economica e finanziaria, come l’evasione fiscale, il lavoro nero, il lavoro sommerso, il riciclaggio e il reimpiego di capitali illeciti. I maggiori fattori che hanno favorito la crescita del fenomeno sono, oltre alle capacità specifiche della criminalità organizzata campana, anche la globalizzazione, l’internazionalizzazione dei mercati, la diffusione delle nuove tecnologie, la capacità, attraverso nuove tecnologie, di copiare qualsiasi cosa e la decolonizzazione delle attività imprenditoriali. La struttura di questo fenomeno, spiega De Simone, è la stessa di un sistema industriale, gestito, però, da gruppi criminali che sono molto ben organizzati e si orientano e si muovono oggi in ambito globale, che arrivano non solo a imitare i prodotti dei sistemi industriali legali, ma ne ricalcano anche la struttura organizzativa e le tecniche di marketing. Secondo i dati illustrati da De Simone, i prodotti contraffatti rappresentano l’8 per cento del commercio mondiale e la maggior parte di essi proviene dal Sud-Est Asiatico. L’Italia rappresenta una vera anomalia perché è ai primi posti come Paese produttore di prodotti contraffatti ma, al tempo stesso, anche per i prodotti autentici, per cui è come se lavorasse contro se stessa dal punto di vista economico.

Il ruolo della criminalità organizzata. Il controllo da parte della criminalità organizzata di questo settore della contraffazione deriva dal rapporto costi-benefici, dal momento che le rotte della contraffazione, i canali di distribuzione, le rotte per l’importazione sono esattamente gli stessi che vengono utilizzati per gli altri traffici illeciti, per il contrabbando e gli stupefacenti. Inoltre non bisogna sottovalutare due aspetti che incidono nell’approccio che si dà al fenomeno: la tolleranza che viene solitamente riconosciuta a coloro che distribuiscono prodotti contraffatti e la completa assenza di informazione che metta in guarda il consumatore da ciò che c’è dietro la contraffazione. De Simone ricorda che è importante intervenire anche sul profilo educativo, poiché quando il fenomeno viene tollerato per alcuni momenti della filiera, meno evidentemente collegabili alle organizzazioni criminali (come i venditori non autorizzati nelle strade) si contribuisce a incrementare l’impressione generale secondo la quale la contraffazione non vada trattata e inquadrata come uno dei grandi fenomeni gestiti dalla criminalità organizzata.

De Simone fa presente che ormai è il caso di parlare di crimine organizzato transnazionale che ha individuato il settore come produttivo di grandi profitti ed esteso e rafforzato le relazioni e le alleanze preesistenti sulla base degli altri traffici illeciti, utilizzando le stesse modalità logistiche. La questione si complica se pensiamo che tutto il processo è inserito in un mercato globalizzato, rendendo ancora più difficile ripercorrere la filiera, sviluppata soprattutto all’estero. Ad aggravare il tutto ci sono una categoria di soggetti particolarmente competenti in determinati settori che si muovono internamente o esternamente all’organizzazione mafiosa e che sono essenziali per portare a termine il progetto criminale.

Le risultanze delle indagini in Campania. De Simone passa poi ad analizzare lo specifico fenomeno in Campania, nato da sodalizi camorristici che hanno sfruttato la depressione economica sociale del territorio, l’esistenza di piccole realtà produttive e commerciali, l’enorme diffusione della vendita ambulante e la difficoltà di occupazione lavorativa. De Simone fa presente che le organizzazioni criminali campane hanno proiezioni all’estero e in particolare in Cina, in Romania e in Turchia, dove hanno origine gran parte dei prodotti contraffatti, mentre solo una parte di essi viene realizzato in loco. A rendere ancora più complicata l’individuazione della filiera è il fatto che vengono importati solo dei pezzi che poi vengono assemblati in un luogo completamente diverso.

Gli interventi legislativi. De Simone ribadisce l’importanza di un ulteriore rafforzamento degli strumenti investigativi e delle sanzioni, sottolineando la necessità di mantenere la competenza di questi reati alle Direzioni distrettuali antimafia senza trasferirla alle procure distrettuali, proprio perché è essenziale garantire un forte coordinamento a livello nazionale per queste tipologie di reati.

Un problema di notevolissime dimensioni. Giovedì 6 ottobre si è svolta l’audizione di Chris Vansteenkiste, Cluster Manager Counterfeiting della Intellectual Property Crime coordinated Coalition (IPC3): si tratta di un nuovo centro per la cooperazione in materia di lotta alla contraffazione, anche mediante lo sviluppo di sinergie con il settore privato e ambienti accademici, costituito presso Europol, che comprende il Focal Point COPY (contraffazione e pirateria) e il Focal Point SOYA (contraffazione dell’euro). Vansteenkiste inizia focalizzandosi sull’impatto dei reati contro la proprietà intellettuale sulla società e sulla criminalità organizzata. Si tratta di un enorme quantitativo di denaro se si considera che, secondo uno studio recente dell’OCSE e dell’EUIPO (precedentemente noto come UAMI, l’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione europea, che ha sede ad Alicante), il 2,5 per cento degli scambi mondiali è rappresentato da beni contraffatti. Il problema, fa notare Vansteenkiste, sta peggiorando (le importazioni sull’Europa sono aumentate fino al 5 per cento) dal momento che oggi non ci sono più enormi quantità spedite come nel passato, ma si parla di piccole quantità che il singolo cittadino può acquistare tramite internet.

Operazioni di contrasto. L’unità per i reati contro la proprietà intellettuale dell’Europol, creata nel 2008, si è estesa dal contrasto alla contraffazione delle merci fino a includere i prodotti non conformi e i prodotti a rischio per la salute e la sicurezza dei consumatori. Vansteenkiste passa poi a parlare del ciclo programmatico politico dell’Unione europea, ricordando che dal 2014 la contraffazione delle merci e i possibili rischi per la salute e la sicurezza per la prima volta è diventata una priorità per l’UE. L’Europol si occupa anche dell’elaborazione della SOCTA (Serious Organised Crime Threat Assessment), la valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata, contenente raccomandazioni per il COSI (Comitato permanente per la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna) per individuare delle precise priorità, come quella di lavorare sulla contraffazione dei prodotti, che è così diventata una priorità fino al 2017. Vansteenkiste passa poi a citare l’esito di alcune operazioni dell’Europol, evidenziando l’enorme quantità di denaro presente nell’ambito delle operazioni di contraffazione. Europol da molti anni ha un’ottima collaborazione con EUIPO, che è culminata nella firma di un accordo strategico. EUIPO si è addirittura offerto di finanziare Europol con 500.000 euro a condizione che il denaro venga utilizzato per organizzare e ampliare la sua attività fino ad includere i reati contro la proprietà intellettuale. La base principale dell’attività dell’IPC3 è il Focal Point Copy, che in passato aveva la competenza per i reati contro la proprietà intellettuale, con l’ampliamento del personale. L’attuale obiettivo fondamentale è quello di lavorare su reati commessi su internet, quantomeno in via principale.

Il dibattito in Commissione. Sollecitato dalle domande, Vansteenkiste ricorda che Europol risponde di un mandato soltanto quando entrano in gioco reati gravi legati alla criminalità organizzata, con il coinvolgimento di almeno due Stati membri. Conferma poi che in tanti casi legati alla criminalità organizzata ci sono stati legami anche con la mafia e che, in generale, le condanne sono più miti rispetto a quelle per i reati connessi alla droga e la consapevolezza dei cittadini europei non è così forte. Percezione che si ripercuote anche sullo staff specializzato, basti pensare che in Belgio il numero di persone che si occupano quotidianamente di reati contro la proprietà intellettuale non sarà più alto di venti, mentre per i reati legati alla droga ci sono centinaia e centinaia di agenti e funzionari di Polizia a occuparsene. Per quanto riguarda i strumenti messi in atto dall’Europol per contrastare il fenomeno, Vansteenkiste ricorda che, oltre alla formazione interna ed esterna, grazie a un software extra è stato possibile consentire una scansione diversa della rete e individuare subito i siti non autorizzati, elaborando poi alcune procedure specifiche per rimuoverli. Un altro strumento citato è l’educazione dei cittadini. Per esempio se viene sequestrato il nome di un dominio e viene chiuso un sito, anziché il messaggio dell’errore 404, appare un banner che informa i cittadini del fatto che la Polizia è attiva anche su internet. Sono stati creati dall’Europol anche dei video di sensibilizzazione, a cui verrà affiancato un piano di comunicazione a mezzo stampa. Europol, fa presente Vansteenkiste, è anche in contatto con i corrieri, per contrastare il fenomeno riguardante i consumatori che acquistano online e ricevono a casa i prodotti nel giro di due giorni. L’idea è di estendere questi contatti anche con i fornitori dei servizi a pagamento. Rispondendo alle ultime domande poste dal Presidente, Vansteenkiste assicura che Europol, OLAF e Interpol sono correttamente coordinate. Aggiunge poi che nella maggior parte di casi l’iniziativa per avviare un caso è dello Stato membro più che dei privati e che in alcuni Paesi l’Europol ha più collaborazione che in altri. Questo dipende dal fatto che in genere i Paesi che hanno delle unità già dedicate a questo tipo di criminalità sono più collaborativi, dal momento che non bisogna trovare delle persone per gestire il caso.

Il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia. Nel corso della sua audizione Massimiliano Razzano, direttore della III divisione del Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia, ha spiegato che il suo è un organismo interforze costituito nel 2000 e costituito appunto da tutte e cinque le Forze di polizia del nostro Paese. Il suo compito principale è quello di indirizzare e curare lo scambio informativo con i collaterali stranieri di tutto il mondo. In campo nazionale è il referente per questo scambio informativo delle altre articolazioni del Dipartimento della pubblica sicurezza e dei comandi generali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza. Garantisce, inoltre, l’attuazione della cooperazione tecnico-operativa e fornisce consulenza per la redazione di accordi bi- o multilaterali in tema di cooperazione internazionale di Polizia.

Tra le varie iniziative in cui il Servizio è coinvolto figura il policy cycle, il ciclo programmatico dell’Unione europea. Attraverso quattro fasi che connotano quest’esercizio, il Consiglio dell’Unione europea individua le principali minacce dal punto di vista della sicurezza agli Stati membri dell’Unione europea, le quali vengono tradotte in priorità e in attività operative. Nell’attuale ciclo operativo queste priorità sono state individuate nel numero di nove, tra le quali la contraffazione di beni, per la quale l’Italia riveste il ruolo di guida attraverso due ufficiali, uno dell’Arma dei carabinieri e uno della Guardia di finanza, appunto driver di questa priorità.

Tra le iniziative Interpol, Massimiliano Razzano fa riferimento all’operazione Pangea, che riguarda la commercializzazione dei medicinali contraffatti attraverso Internet, al progetto Energia, che riguarda il commercio illecito di sostanze illecite dopanti, e a Opson, che attiene specificatamente alla contraffazione di prodotti agroalimentari.

Massimiliano Razzano, sollecitato dalle domande, ha chiarito che il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia non è direttamente coinvolto nell’esecuzione di indagini, le quali sono direttamente seguite dalle Forze di polizia presenti sul territorio. Il suo unico compito è quello di mettere in contatto, di scambiare informazioni, laddove richiesto.

La polizia locale di Roma. Il comandante del Corpo di polizia locale di Roma Capitale ha ricordato i numeri delle unità delle polizie locali in Italia e di quelle attive a Roma, sottolineando come si sia giunti al minimo storico del personale, anche se l’Amministrazione sta avviando un concorso per un incremento delle unità. Ricorda poi che la Polizia, per contrastare la contraffazione e l’abusivismo commerciale in genere, opera con i Gruppi territoriali (che sono uno per Municipio) e ha anche un Gruppo speciale sull’intero territorio comunale, il Gruppo di sicurezza sociale urbana, in ausilio ai Gruppi territoriali. Il comandante spiega che “Abbiamo due livelli diversi di contraffazione e di abusivismo, quello semplice, che si manifesta purtroppo soprattutto nella zona del centro storico, e l’altro che riguarda i controlli che effettuiamo in alcune zone di Roma dove vengono stoccate queste merci. Mi riferisco ai controlli che effettuiamo in alcune zone di Roma, quali ad esempio via Dell’Omo, dove cerchiamo di contrastare la filiera a monte, e su questo abbiamo fatto numerosissimi sequestri”. Il comandante sottolinea che i fermi per il controllo delle persone extracomunitarie che vendono gli articoli contraffatti impegnano parecchio la polizia, dal momento che devono essere portate al Centro di identificazione, dove spesso le unità rimangono per ore, con il relativo immobilismo della pattuglia. Il comandante lamenta anche il problema del relativo mancato accesso da parte della Polizia locale al SDI, ovvero alla banca dati delle forze di polizia, per accettarsi dell’identità delle persone. Altro aspetto evidenziato è la difficoltà a indagare i veri e propri sodalizi criminali che svolgono queste attività, dal momento che le polizie locali hanno una competenza territoriale limitata.

La polizia locale di Napoli. Il comandante del Corpo di polizia locale di Napoli sottolinea che “in questi anni abbiamo verificato l’esistenza di due tipi di contraffazione, una più dozzinale, la bancarella, dove spesso vengono utilizzati prodotti a cui viene apposto un marchio posticcio, e un mercato più elaborato, individuato come una sorta di mercato parallelo, in cui il prodotto viene addirittura lavorato con particolare cura”. Attraverso le varie indagini la polizia locale ha potuto constatare che nel 90% dei casi la vendita al dettaglio viene effettuata soprattutto da cittadini africani, in particolare senegalesi e nigeriani, e ha scoperto diversi depositi, spesso abitazioni private o luoghi con camere segrete da considerarsi come veri showroom. Uno degli obiettivi prefissati è quello di individuare i luoghi in cui questi prodotti vengono fabbricati. Il comandante  aggiunge che “c’è però da compiere una scelta di campo su cosa deve essere la polizia locale perché, se deve essere l’unica che si occupa di questi temi, bisogna che abbia anche gli strumenti essenziali per poter procedere in questo tipo di attività e andare oltre la semplice osservazione, perché, come capita nelle grandi città, ormai infortunistica stradale la curiamo soltanto noi, l’anti-abusivismo edilizio è soltanto un tema nostro, come questo tema del commercio ambulante, che può portare ad addentellature più sostanziali.” Il comandante ha anche affrontato il tema riguardante le attività di alcune comunità asiatiche, soprattutto di nazionalità cinese, alle quali la polizia ha sequestrato diversi capannoni con migliaia di prodotti importati senza il marchio CE. Un aspetto da non sottovalutare è che i professionisti che li rappresentano sono quasi sempre gli stessi tra commercialisti e avvocati.

La Fondazione Caponnetto. Il presidente della Fondazione Caponnetto evidenzia come la zona Firenze-Prato sia quella centrale per la presenza della mafia cinese in Italia, che ha tra le sue attività la contraffazione di merci. In particolare si è soffermato sulla contraffazione di generi alimentari, come l’olio di oliva e il vino, tramite anche rapporti con Cosa nostra americana. A tale riguardo auspica un maggiore controllo dei mercati ortofrutticoli anche nel centro-nord, dove ancora c’è difficoltà a pensare che buona parte di essi sia sotto il controllo della criminalità organizzata; sottolineando che non è sufficiente fermare l’ultimo anello della catena (che può essere sostituibile), ma serve seguirla, anche per evitare di rafforzare la struttura che è per strada, trasformandola da criminalità semplice a criminalità di primo livello organizzata. Il presidente suggerisce che “bisogna iniziare a considerare la contraffazione alimentare o delle merci un reato di serie A, ovviamente trovando la giusta formulazione per quanto riguarda soprattutto la contraffazione digitale e facendo la solita distinzione tra l’uso per sé o per il lucro. Lo dico perché, dove c’è il lucro, raramente manca la criminalità organizzata, anzi, dove c’è il lucro, c’è sempre la criminalità organizzata”.

L’Osservatorio Placido Rizzotto-Flai Cgil. Il presidente dell’Osservatorio spiega che “con l’Osservatorio facciamo un lavoro di indagine sul rapporto tra agromafie e caporalato, che prova ad approfondire il nesso tra le attività definite ‘agromafie’, ovvero tutte le attività delinquenziali che riguardano le organizzazioni di stampo mafioso, e tutto quello che ha a che fare con il mondo della filiera agroalimentare”. A tale proposito distingue il fenomeno della contraffazione alimentare in due livelli: un primo livello legato alle organizzazioni mafiose tipiche e un secondo che fa più riferimento a un’”imprenditoria criminale” ovvero “un’imprenditoria che si colloca nell’area grigia della nostra società, a cavallo tra legalità e illegalità”. Dalle diverse indagini svolte risulta come alla contraffazione siano anche legati lavoro nero, sfruttamento e caporalato. In merito all’Italian sounding, ovvero ai prodotti contraffatti e soprattutto piazzati sul mercato estero (“che fanno riferimento a etichettature mendaci, utilizzo di materie prime o falsi made in Italy e che, in realtà, sono tutt’altro che prodotti in Italia”), il presidente ricorda che si tratta di un fenomeno che riguarda prodotti facilmente reperibili sul mercato estero e che richiamano i prodotti tipici italiani. Dalle indagini svolte emerge la necessità di un rafforzamento della normativa comunitaria legata al tema dell’etichettatura e una scarsa collaborazione sul piano transnazionale degli organismi ispettivi. Il presidente ricorda i settori a maggior rischio di contraffazione: il settore lattiero-caseario, il settore vitivinicolo e il settore oleario, ma anche il settore della macellazione bovina ed equina, il settore della panificazione e della pasta e il settore della pesca. “In conclusione, – ha aggiunto – ci sentiamo di condividere chi da anni chiede maggiori strumenti di contrasto al fenomeno della contraffazione in ambito alimentare, anche attraverso nuovi strumenti legislativi”.

Relazione finale. Il documento conclusivo è stato approvato il 2 agosto 2017. Per la sintesi della relazione leggi questa scheda.

(ultimo aggiornamento 3 agosto 2017)         (A cura di Giulia Luciani, giornalista pubblicista)