La Commissione sul ciclo dei rifiuti ha svolto diverse audizioni con i responsabili delle amministrazioni pubbliche che svolgono attività di indagine e controllo nel settore, in stretta collaborazione tra loro: Agenzia delle dogane (seduta del 4 novembre 2014), Guardia di finanza (seduta del 4 dicembre 2014), Corpo forestale dello Stato (seduta del 15 dicembre 2014), Capitanerie di porto (seduta del 17 dicembre 2014). Qui di seguito sono sintetizzati alcuni dei temi trattati.

Agenzia delle dogane. L’Agenzia delle dogane svolge un ruolo importante nella mappatura dei flussi, dall’origine fino alla destinazione, sia dei rifiuti pericolosi (cioè quelli radioattivi) sia quelli non pericolosi (varie tipologie di cascami e avanzi definiti, trattati irregolarmente dal punto di vista ambientale): non si tratta solo di individuare da dove partono i rifiuti e verso quale destinazione vadano, ma anche come le associazioni criminali agiscono per realizzare il traffico illecito, che avviene soprattutto attraverso i porti.

Il settore è caratterizzato dalla presenza di alcuni grandi operatori, con partita IVA italiana, ma rappresentati legalmente da cinesi (ed autorizzati dal Governo cinese), che raccolgono i rifiuti e provvedono al loro spedizione verso Paesi dove spesso l’impianto di destinazione è fittizio. Risulta molto complessa la verifica della documentazione prodotta da tali società.

Per contrastare più efficacemente le organizzazioni criminali, è importante una revisione delle norme penali, in quanto l’art. 259 del codice ambientale (traffico illecito di rifiuti) è solo un reato contravvenzionale e perciò ha una scarsissima efficacia deterrente: la contestazione al singolo soggetto non impedisce alla società di continuare egualmente l’attività illecita (occorre infatti dimostrare anche il deficit organizzativo dell’impresa) oppure di migrare verso un altro centro.  La sentenza di condanna rischia di arrivare dopo molti anni o di non arrivare affatto, perché nel frattempo è scattata la prescrizione. Solo alla seconda o terza volta può essere contestato l’art. 260 (attività organizzate di traffico illecito di rifiuti). Appare invece utile estendere l’applicazione delle misure cautelari e interdittive come la sospensione della partita IVA per sei mesi, abbinate a una sorveglianza rafforzata (già previste nella legge n. 9 del 2013 sulla tutela dell’olio extravergine d’oliva).

Guardia di finanza. Le indagini svolte dalla Guardia di finanza permettono di fare luce su fenomeni di illegalità di ampia portata (corruzione, frode fiscale nelle pubbliche forniture, indebita percezione di contributi pubblici, truffe etc), che interessano il ciclo dei rifiuti anche a prescindere dalla scoperta di specifiche violazioni alla normativa ambientale, come confermato dalle operazioni  condotte negli ultimi quattro anni dalla Guardia di finanza, che hanno consentito il sequestro di disponibilità patrimoniali e finanziarie per 5 miliardi di euro.

Siamo in presenza di organizzazioni criminali che operano nel settore del traffico di rifiuti nell’ambito di complesse operazioni finanziarie finalizzate al riciclaggio dei connessi proventi illeciti. Ad esempio, l’operazione Cava aurea ha fatto emergere procedure di acquisto di terreni da utilizzare nel ciclo di deposito e smaltimento di rifiuti, a un prezzo superiore a quello di mercato e con procedure anomale, anche attraverso condotte estorsive e intimidatorie praticate da esponenti del clan dei Casalesi. Molto attiva anche l’ndrangheta, come confermato dall’operazione  Athena, con un forte potere di condizionamento delle  imprese di Reggio Calabria impegnate nella raccolta dei rifiuti, tra cui anche la società partecipata al 51 per cento dal Comune di Reggio Calabria.

Per rendere più incisiva l’azione di contrasto delle organizzazioni criminali appare importante l’introduzione di nuove figure criminose nel campo ambientale, così come previsto dai progetti di legge attualmente in discussione presso le Camere, accompagnate da misure di sequestro e confisca patrimoniale.

Corpo forestale dello Stato. Il Corpo forestale dello Stato esercita una forte azione di contrasto alla gestione illecita dei rifiuti grazie ad un controllo capillare del territorio e all’elevata capacità professionale degli appartenenti al Corpo. Il modello investigativo prevede anche una serie di controlli di dettaglio su determinate filiere, come nel caso dello smaltimento dei fanghi di depurazione.

Sono stati siglati dei protocolli d’intesa sia con la Direzione Nazionale Antimafia (con il rafforzamento dei nuclei investigativi di Napoli, Bari e Reggio Calabria), sia con l’Agenzia delle dogane per affrontare il problema dei traffici transfrontalieri dei rifiuti. In questo ambito sono state svolte delle analisi più attente su aziende che effettuano spedizioni sospette con codici che non classificano il prodotto come rifiuto, ma come materia prima e seconda oppure come prodotto recuperato o usato.

Il Corpo forestale ha svolto e continua a svolgere un’importante attività di monitoraggio anche nella cd. ”terra dei fuochi”. Il metodo di lavoro mediante il quale si individuano le discariche abusive interrate è basato sul confronto di milioni di ortofoto scattate dagli aerei nel corso degli anni e inserite in un database. Questi dati vengono successivamente incrociati con altri dati che sono il frutto dello studio dei campi magnetici della crosta terrestre e consentono di individuare delle porzioni di territorio sotto le quali, presumibilmente, sono presenti rifiuti. Di solito vengono scoperte discariche cd. “tombate”, cioè costituite da terreno vegetale di riporto artatamente messo sotto lo strato di rifiuti per occultarli meglio (cd. tecnica a biscotto). Queste discariche “tombate” devono avere anche una struttura per evitare che collassino su se stesse (in caso di passaggio di un mezzo agricolo pesante ad esempio)  e perciò vengono costruite impiegando materiali come cemento armato e laterizi. La procedura di lavoro sopra descritta, abbinata ad un’attenta analisi investigativa, permette di distinguere gli illeciti riconducibili ad azioni della criminalità organizzata da altre tipologie di condotte, pur sempre illecite, ma connesse alla delinquenza ordinaria.

Sul fronte “terra dei fuochi” si riscontra un dato molto incoraggiante: sono aumentate le segnalazioni dei cittadini che utilizzano il numero verde messo a loro disposizione dal Corpo forestale per indicare come e dove si verificano reati di tipo ambientale, fornendo le proprie generalità: tutto questo, soprattutto in alcune realtà dove l’omertà è assai difficile da scardinare, è di rilevante importanza.

Anche nel corso dell’audizione con il Corpo forestale è stato affrontato anche la tematica della revisione del codice ambientale. L’art. 259 (traffico illecito di rifiuti) ha una scarsa deterrenza perché si tratta di reato contravvenzionale a prescrizione breve (ciò che impedisce anche l’utilizzo di tecniche investigative più approfondite). Inoltre solo i reati di cui all’art. 260 (attività organizzate di traffico illecito di rifiuti) rientrano nella competenza delle Direzione distrettuale antimafia, e solo per essi è disponibile la banca dati nazionale che permette l’incrocio delle informazioni, mentre i singoli reati “satellite” sono spesso collegati con le organizzazioni criminali.

Capitanerie di porto. L’audizione dei responsabili delle Capitanerie di porto si è incentrata sui trasporti transfrontalieri di rifiuti che viaggiano via mare. Siamo in presenta di materiali non trattati  o di miscele indifferenziate di varia origine, che vengono dissimulati come non rifiuti (o come rifiuti cessati) per eludere i controlli: la maggior parte è diretta verso i mercati del sud-est asiatico (Cina), che assorbono qualunque genere di scarto di produzione industriale, assicurando ingenti guadagni ai trafficanti. Si tratta di materiale prodotto non solo in ambito nazionale, ma spesso in altri Paesi, che vengono intercettati durante il loro transito in Italia.

Un fenomeno specifico concerne lo smaltimento illecito di vecchie navi mercantili, dirette verso Paesi ove vengono demolite all’aria aperta (principalmente nel sud-est asiatico: India, Bangladesh, Pakistan), evitando di sottoporle al ciclo regolare delle bonifiche e degli smaltimenti. In alcuni casi è stata configurata l’ipotesi di reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 del codice dell’ambiente).

Nel corso dell’audizione è emersa la mancata attivazione dell’accesso al centro elaborazione dati del Ministero dell’Interno (previsto dal decreto legge n. 92 del 2008, art. 8 bis) che consentirebbe di conoscere se il soggetto che richiede l’autorizzazione a imbarcare una determinata merce abbia precedenti specifici o sia già indagato per i reati di cui agli articoli 259 e 260 del codice ambientale.

(gennaio 2015)