Premessa. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha ascoltato l’11 settembre 2017  Rino Martini, nella qualità di ex colonnello del Corpo forestale dello Stato e Gianni De Podestà, nella qualità di ex ufficiale di polizia giudiziaria del Corpo forestale dello Stato. Il 18 settembre 2017  sono stati ascoltati William Stival, assistente capo del Corpo forestale dello Stato a riposo oltre che Renato Pent e Giambattista Lorenzo Toninelli, come persone informate di fatti rilevanti a fini dell’inchiesta. Tali esami testimoniali rientrano nell’analisi operata dalla Commissione sul fenomeno delle cosiddette “navi a perdere”. Un approfondimento del tema – come sottolineato dal Presidente – si impone anche alla luce della desecretazione di documenti della Commissione, che forniscono nuove informazioni sul traffico dei rifiuti che inizialmente si è diretto verso Paesi stranieri e poi in Italia, in particolare con un movimento che andava dal Nord al Sud, in aree controllate dai casalesi; scopo precipuo delle audizioni è, quindi, quello di aggiungere nuovi elementi di conoscenza su un tema che, finora, non ha portato dal punto di vista giudiziario ad alcuna conclusione. Eccone esposti, brevemente, i contenuti principali.
Quadro generale sulla normativa. Il punto di partenza di inquadramento del fenomeno riguarda l’architettura generale della normativa: non esistevano allora trattati internazionali e il mercato dei rifiuti, soprattutto quelli industriali, era totalmente libero. Obiettivo della Commissione è quello di individuare i soggetti che hanno lavorato in questo settore e scoprire un eventuale filo rosso che conduce questa gestione illecita di rifiuti. I criteri applicativi della direttiva comunitaria sulla gestione e il recupero dei rifiuti sono emanati in Italia nel 1985, circa 6/7 anni dopo che la Comunità europea ne richiedesse l’attuazione. In precedenza esistevano soltanto contravvenzioni e la normativa risaliva al 1941; solo a metà degli anni Ottanta sono subentrati gli strumenti normativi e tecnici necessari per intervenire.
Vicende e personaggi coinvolti nello smaltimento dei rifiuti. Uno dei primi personaggi chiamati in causa è Andrea Rossi, ex titolare della Petroldragon, che si occupava di riciclare tutte le acque pestilenziali provenienti da trecento multinazionali, ricavando petrolio dai rifiuti, e usufruendo anche di una agevolazione economica perchè “i rifiuti che vengono riciclati e che rientrano nel settore petrolifero sono esenti dalla normativa sui rifiuti”. Dal 1983 al 1986 tutti i liquidi prodotti al Nord finiscono nelle sue mani e, tramite produzione di falsa documentazione, dimostra di aver prodotto materiali combustibili. I primi problemi con la giustizia cominceranno a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta e alla fine il danno per l’erario sarà ingente considerando anche l’enorme quantità di prodotti stoccati abusivamente, per non parlare poi degli annessi rischi ambientali e per la salute della collettività. Terminata questa fase – l’audito parla dell’evoluzione in “fasi” dello smaltimento dei rifiuti – ne inizia una nuova, che propone questa volta di coinvolgere depuratori civili e pubblici per intervenire sulle acque reflue, situazione che però crea non pochi problemi a livello di opinione pubblica. Anche questa pratica porterà a una indagine con un filone comprendente reati contro la pubblica amministrazione. Riguardo al rapporto con Comerio l’audito spiega di essere stato oggetto di una falsa dichiarazione dello stesso e aggiunge di non averlo mai visto, né conosciuto e incontrato. Informa, poi, la Commissione riguardo a un brevetto per una tecnologia di inabissamento di materiali radioattivi in mare ad opera dello stesso Comerio, trovata durante una perquisizione. A suo avviso, pertanto, esisteva del materiale per un eventuale filone di indagini riguardo al rapporto che legava il Viccica col Comerio sul tema dell’ampia documentazione sulle boe e sonar (inizialmente ritrovata, ma poi non trascritta nel verbale di perquisizione).
Interpretazioni e applicazioni della normativa. Come ha spiegato l’ex colonnello, le autorizzazioni rilasciate all’epoca non contenevano i codici dei rifiuti e ponevano solo dei limiti di eluato, motivo per cui era difficile distinguere fra un rifiuto tossico-nocivo e un rifiuto speciale, sebbene fossero poi i primi a essere destinati al sud. Nel frattempo, con la Convenzione di Basilea erano stati imposti nuovi limiti all’esportazione di rifiuti all’estero e in questo l’Italia che aveva la tendenza a effettuare lo smaltimento all’estero era stata fortemente danneggiata. Un dato ulteriore da sottolineare è sicuramente quello secondo cui, dopo la vicenda della nave dei veleni nascono alcune società di intermediazione che vanno dai grandi produttori di rifiuti per offrire loro gli spazi commerciali proprio nelle discariche del sud Italia.
Il “disastro ambientale”. In quegli anni dimostrare e perseguire gli illeciti “ambientali” era anche più difficile in relazione al fatto che esistevano solo contravvenzioni; semmai, come nel caso delle attività di Andrea Rossi bisognava dimostrare, per esempio, l’avvenuto avvelenamento di acque destinato a uso umano, con riferimento al codice penale. Unico strumento veramente temuto dagli operatori rimaneva quindi la revoca dell’autorizzazione che, però, si verificava molto raramente.
Rapporti con il capitano De Grazia e la morte di Ilaria Alpi. Rino Martini, in conclusione del suo intervento, dichiara con chiarezza di aver percepito che, dopo la sua dipartita dal Nucleo nel 1995 e, a seguito della morte di De Grazia, “[…] si era capito che non c’era più la volontà di continuare in questo settore” e fu così che, di fatto, il nucleo investigativo si sciolse terminando le sue attività e mostrando rammarico, nel tempo, nei confronti di atteggiamenti poco collaborativi tenuti dai Servizi e dalle altre Procure della Repubblica. Interrogato, poi, sui collegamenti con la Somalia e la morte di Ilaria Alpi dichiara di non ricordare se si trattasse di una notizia Ansa o di un certificato di morte ciò che era stato trovato durante la perquisizione e rimanda per maggiori dettagli sul punto all’audizione del collega De Podestà, ribadendo però, in conclusione al suo intervento innanzi alla Commissione che, ad aver trovato i documenti, era stato proprio De Grazia
L’attività del nucleo di Brescia e le prime emergenze rifiuti. Gianni De Podestà, ex ufficiale di polizia giudiziaria del Corpo forestale dello Stato, racconta di essere passato dal nucleo di Torino, dove già si occupava di gestione dei rifiuti, a quello di Brescia, a fianco dell’allora colonnello Martini, al cui interno ha continuato a indagare sugli appalti pubblici nel settore dei rifiuti urbani. Erano gli anni in cui ci si occupava di tangenti e autorizzazioni legate anche al settore dei rifiuti, non mancarono infatti perfino dei legami col pool di Mani pulite e venne creato, nel frattempo, anche un archivio sulla conoscenza di tutte le autorizzazioni poste in essere per capire quali potessero essere i fenomeni più gravi da seguire. Il filone principale all’epoca consisteva nel seguire il flusso dei rifiuti industriali, diventato il vero business, sebbene in passato lo fosse stato per un periodo, invece, il rifiuto urbano.
Il sistema delle autorizzazioni e le prime indagini. L’attività del pool investigativo è consistita nel fare una mappatura per capire quale potesse essere il fenomeno economico che legava lo smaltimento illecito dei rifiuti e quali potessero essere le cosiddette autorizzazioni di copertura del centro di stoccaggio o del centro di smaltimento, nonché le singole autorizzazioni di trasporto. In quegli anni si avviano le indagini sugli scarichi nel fiume Ticino, quelle sull’interramento delle scorie delle acciaierie di Brescia, o ancora quello sullo smaltimento come fertilizzante agricolo dei rifiuti liquidi ovvero l’indagine sui fanghi del depuratore di Ginevra che venivano sversati sulle risaie come fertilizzanti. È interessante notare come una delle prime contestazioni riguardasse non il reato di traffico organizzato (che non esisteva), quanto il reato di ricettazione e di falsità nei registri contabili proprio dei rifiuti. Nel frattempo era stato aperto anche il filone di indagine relativo alla Somalia, in cui attraverso intercettazioni tra personaggi come Giancarlo Marocchino e Ezio Scaglione emerse la volontà di “riattivare quel canale dei rifiuti tossico-nocivi – come li chiamavano allora – verso un fantomatico forno inceneritore che aveva costruito Marocchino a El Maan”. Alla domanda del Presidente su filoni comuni di indagine fra Comerio e Marocchino, l’audito risponde che si trattava, in realtà, di due filoni differenti.
Rispetto al tema dello scambio armi/rifiuti, l’ufficiale De Podestà conferma l’inesistenza di intercettazioni, documenti o indicazioni che ne attestino l’esistenza, dato che “[…]Nelle attività di intercettazione si parlava dei rifiuti da inviare per essere inceneriti in questo fantomatico forno inceneritore” e quindi “il fatto che parlassero di uno scambio vero e proprio non c’era”.
Esame testimoniale di William Stival. L’audito racconta della vicenda della perquisizione a casa dell’ex ammiraglio Viccica e dei relativi problemi che poi, di fatto, la trasformarono in una acquisizione di documenti, più che in una perquisizione. Ciò che interessava le indagini erano i rapporti tra Comerio e l’ex ammiraglio che operava da broker per quanto riguarda la compravendita di navi e altre attrezzature per la Marina. L’assistente capo, pur mostrandosi dubbioso sulle motivazioni, ricorda infatti di essere stato allontanato al momento della compilazione del verbale di perquisizione e di essere stato richiamato solo tempo dopo per la chiusura del verbale, in una situazione che vedeva la presenza del capitano Natale De Grazia, a suo avviso particolarmente allarmato, (“[…] De Grazia mi diceva che eravamo sotto sorveglianza e che eravamo stati fotografati da qualcuno. Io non sono riuscito a identificarlo e, comunque, lui era particolarmente allarmato dalla cosa.”) in una situazione complessiva che egli non ha tardato a definire “particolarmente anomala e strana”. Lo stesso riferisce anche di una analoga e anomala situazione avvenuta, prima, in occasione della perquisizione della casa di Comerio a Garlasco. Un dato rilevante per entrambi i casi riguarda il fatto che il materiale delle perquisizioni era in carico alla Procura di Reggio Calabria e quindi, nonostante materialmente si trovasse presso il campo base dell’ufficio di Brescia, non era lì che sarebbe stato visionato. Interpellato dal Presidente riguardo al certificato di morte di Ilaria Alpi, risponde di averne sentito parlare, ma di non averlo però materialmente visto.
Esame testimoniale di Renato Pent. L’interrogato negli anni tra il 1985 e il 1987 faceva il broker e gestiva una società dal nome Jelly Wax che si occupava di raccolta di rifiuti industriali in tutta Italia, in un periodo in cui, tra l’altro, non esistevano leggi sui rifiuti transfrontalieri, non esistevano molti centri di smaltimento finali in Italia e, quindi, se ne cercavano fuori dall’Europa. In quel periodo la società era inizialmente in contatto con il Venezuela, in particolare con il Ministro dell’Ambiente che aveva riconosciuto la possibilità di dare l’autorizzazione per la costruzione di una centro di smaltimento secondo la normativa italiana di allora, attività che richiedeva però un tempo di attesa di quattro/cinque mesi prima della messa in funzione (dettaglio non irrilevante ai fini della evoluzione e prosecuzione degli eventi). Nel frattempo si era presentata, infatti, l’occasione, tramite l’intermediazione di Ambrosini della società svizzera Intercontract, di uno smaltimento dei rifiuti a Gibuti, con apposita documentazione autorizzativa già predisposta, in una operazione che avesse come tramite il porto di Marina di Carrara. Da lì, in effetti, la nave Lynx salpò, apparentemente senza problemi, salvo poi scoprire tramite un informatore, appositamente mandato per un controllo ufficioso, che la nave non poteva entrare nel porto. E nulla vi fu da fare al proposito. Pent riferisce allora di aver cercato informazioni al fine di capire che fine avrebbe fatto la nave, dato che lo scarico non era avvenuto, sebbene l’Ambrosini avesse richiesto lo stesso il denaro e fosse stata, per questo, denunciata dal Pent.
Sollecitato dalle domande del Presidente, l’audito risponde di essere al corrente (anche se lo si sapeva per sentito dire”) di alcuni movimenti di rifiuti industriali che, in quel periodo, cominciavano a essere portati al sud verso il napoletano e il casertano. Di seguito racconta della sua attività imprenditoriale che lo ha portato a fare un investimento rivelatosi, col senno di poi, economicamente dannoso, cioè quello che prevedeva la costruzione di un impianto per il trattamento di emulsioni esauste. Nel frattempo, non essendoci impianti, i rifiuti andavano fuori o verso il sud, ma a ogni modo riferisce di aver sentito parlare di scaricare il contenuto delle navi in mare, ma non di aver sentito parlare di affondare le stesse. Prosegue poi il racconto della vicenda Lynnx: i rifiuti dovevano essere portati via da Gibuti e la soluzione nell’immediato tramite accordi con il Ministro e il Presidente del relativo Paese fu trovata proprio nel Venezuela, con cui si erano già instaurati precedenti accordi; senonché lo scoppio della vicenda a livello mediatico e l’impatto politico di una immagine del Paese ben descritta dallo slogan «Venezuela no es el basurero del mundo», hanno comportato la ricerca di una nuova soluzione. L’Italia si è occupata di aiutare i venezuelani e la scelta sul luogo di smaltimento ricadde, infine, nella Siria con la nave Makiri, con la promessa di non dichiarare di essere stati pagati dal governo venezuelano, il che giustificherebbe l’apertura di una lettera di credito da parte di una banca degli Stati Uniti. Interrogato dal Presidente riguardo all’assenza delle etichette, l’audito ha risposto di non essere responsabile della rimozione delle stesse. La sorte dei rifiuti apparentemente terminata con l’arrivo in Siria in realtà è proseguita con un tentativo estorsivo ad opera di siriani e di un avvocato italiano – tutti poi condannati – che cercavano di guadagnare due volte sull’invio del suddetto carico. La vicenda trova, pertanto, un epilogo con il ritorno di questi rifiuti in Italia attraverso la nave Zanobia e lo smaltimento operato definitivamente dalla Protezione civile. Alla domanda, infine, sul ruolo del Governo italiano in tutta questa operazione Pent risponde che “era a conoscenza di tutte le operazioni già dal preventivo delle navi per portare i rifiuti dal Venezuela alla Siria”, poi arrivati in Italia e dopo il tentativo di estorsione la vicenda era già diventata di dominio pubblico.
Esame testimoniale di Giambattista Lorenzo Toninelli. Toninelli riferisce della sua attività di raccolta di rifiuti a Varese che andava a scaricare inizialmente intorno a Milano e, successivamente, nella discarica “Montagna Spaccata” di Napoli, per proseguire poi verso un’altra discarica situata a Caserta, verso cui cominciarono a giungere in quegli anni anche rifiuti dalla Toscana e altrove. Un ruolo fondamentale in queste relazioni, come emerge in più punti della disamina dell’audizione, era svolto dall’avvocato Chianese a tal punto che – come riportato dall’audito – “[…] C’era quasi una gara a fare la corte a questo avvocato Chianese per farci dare discariche”. Tra i prodotti che venivano portati al sud vi erano dei rifiuti speciali come le polveri di alluminio delle raffinerie. Egli riferisce, inoltre, dell’incontro avvenuto con il pentito dei rifiuti Perrella (del quale inizialmente non ricordava il nome), sul cui conto l’avvocato Chianese era al corrente e della chiamata e ricerca successiva ad opera dell’ingegnere Cerci; il tutto soffermandosi a spiegare soprattutto il particolare rapporto, anche di protezione e sicurezza, che gli ispirava lo stesso avvocato (“[…] Poi non si è più visto e più sentito niente e io mi sentivo a posto. Mi sentivo un po’ protetto da lui”). A contribuire a tranquillizzare il Toninelli erano, peraltro, anche i controlli di vario tipo, che avvenivano da parte della provincia, sui documenti in possesso e che gli permettevano infatti di trovare sollievo e conforto (“[…] Hanno controllato i documenti e tutto quanto. Era tutto a posto. Con tutti questi controlli io mi sentivo tranquillo”). Sugli impianti di stoccaggio da dove partivano i rifiuti per poi andare ad essere smaltiti egli riferisce di continui controlli. Interrogato, infine, dal Presidente riguardo al suo passato e alle sue attività lavorative precedenti egli racconta di essere stato uno spurghista e poi di essere passato all’attività di raccolta dei rifiuti e di invio nei vari posti di stoccaggio. Lo “sversamento” dei rifiuti – a suo dire – avveniva a ben vedere anche al Nord, ma in quel caso – dichiara l’audito – non vi sarebbe stato alcun coinvolgimento del Chianese.

Dott.sa Antonia Albanese (Master in Parlamento e politiche pubbliche – Luiss Guido Carli)