Premessa. Nell’ambito della relazione conclusiva del 7 febbraio 2018, qui di seguito riassunta, viene dedicata una specifica attenzione alle deviazioni di settori del movimento civile dell’antimafia, utilizzato talora  come mezzo per il perseguimento di interessi personali e di avanzamento di carriera di appartenenti al mondo politico e delle professioni; in alcuni casi è stata la stessa mafia ad infiltrarsi nel movimento antimafia per accreditarsi con le pubbliche amministrazioni in vista dell’aggiudicazione degli appalti.

L’“inquinamento morale” del movimento antimafia. La relazione ricorda alcuni inquietanti episodi che hanno coinvolto amministratori locali, giornalisti, esponenti del movimento antiracket (inclusi imprenditori aderenti a Confindustria) e addirittura il presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, punto di riferimento in tema di riutilizzo dei beni confiscati: tutti personaggi molto noti e considerati simboli della lotta alle mafie. Sono emersi anche casi di gestione anomala di fondi pubblici o di utilizzo improprio di servizi di scorta. Tutti elementi che possono minare la credibilità dell’intero campo dell’antimafia e hanno spinto le stesse associazioni ad adottare forme di controllo interno più stringente.

Ciò ha indotto la Commissione ad effettuare un’approfondita disamina della situazione (vedi le audizioni compiute nel corso della legislatura) per “verificare quali fossero gli strumenti culturali, sociali, associativi e istituzionali che potevano garantire un effettivo presidio contro i condizionamenti criminali”.

Il ruolo dell’antimafia sociale. Un movimento espressione di una sana ribellione della società civile contro la ferocia di Cosa Nostra, che dalla Sicilia si è esteso in tutta Italia, significativamente anche in quelle regioni del Centro – Nord dove invece si è negata a lungo l’esistenza stessa di una presenza mafiosa; sviluppatosi forse in modo troppo rapido e in difficoltà nel leggere l’evoluzione del metodo mafioso e i nuovi fenomeni criminali rispetto alla fase stragista. Risulta però essenziale “salvaguardare e rilanciare un ricco patrimonio di esperienze e prassi di contrasto dei poteri mafiosi che ha dato un grande contributo in ambito sia locale che nazionale” sia nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica (in particolare tra i giovani), nella difesa delle vittime delle mafie e nello stimolo nei confronti delle Istituzioni per l’adozione di più rigorose misure di contrasto: un ruolo talora di vera e propria supplenza nei confronti dello Stato.

L’Italia oggi è “più mafiosa”?  Questa l’affermazione provocatoria della Commissione nel descrivere la situazione attuale: da un lato, un sistema normativo di contrasto delle mafie all’avanguardia e alcuni centri di eccellenza nella magistratura e nelle forze dell’ordine; dall’altro, il permanere di situazioni di scarsa consapevolezza ed inadeguata formazione in determinati contesti, che facilita la penetrazione dei gruppi criminali nelle istituzioni e nell’economia. E settori della società civile che stringono alleanze con i clan mafiosi per ottenere determinati reciproci vantaggi, e in tal modo consentono ai gruppi criminali di compensare i pesanti colpi inferti dall’azione repressiva dello Stato. In questo contesto aumenta l’area delle illegalità: “la corruzione sistemica ha regalato forza alle organizzazioni mafiose, tanto da avere incoraggiato il convincimento, un po’ azzardato in realtà, che la mafia odierna non abbia più bisogno di ricorrere ad alcuna forma di violenza perché in grado di piegare ogni volontà ostile con il puro impiego della corruzione… La corruzione è l’autostrada sulla quale le organizzazioni mafiose recuperano continuamente il terreno perduto trovando come provvidenziale alleato un diffuso spirito pubblico, costruito sulla centralità ideologica del denaro e del successo”.

Proprio da tale analisi nasce il bisogno di rilanciare le buone ragioni dell’antimafia e di un fattivo contributo delle associazioni che ne fanno parte nella lotta per l’affermarsi del principio di legalità.