Premessa. Nella relazione conclusiva della Commissione di inchiesta Antimafia del 7 febbraio 2018, una specifica attenzione è dedicata all’evoluzione delle diverse organizzazioni criminali presenti in Italia e alla loro progressiva espansione in aree diverse da quelle di tradizionale radicamento. L’analisi della Commissione (vedi in particolare i capitoli 3 e 4.2), frutto di un approfondito confronto con esponenti del Governo, della magistratura, di Regioni ed enti locali, di prefetture e forze dell’ordine, è qui di seguito sintetizzata.
Cosa nostra. La Relazione, nel rinviare alle dettagliate relazioni periodiche della Direzione nazionale antimafia, svolge una riflessione sull’attuale situazione della mafia siciliana nelle diverse aree del territorio isolano, alla luce della decapitazione dei suoi capi storici (in libertà è rimasto soltanto Matteo Messina Denaro), dei numerosissimi arresti ai vari livelli dell’associazione e della confisca di ingenti patrimoni: Cosa Nostra, pur risultando fortemente indebolita dall’azione quotidiana di magistratura e forze dell’ordine, risulta tuttora presente in ciascuna provincia siciliana, grazie ad un’intatta “capacità di rigenerazione”, ad un ampio consenso sociale ed alla sua capacità di intimidazione (“alla quale ancora corrisponde, di converso, il silenzio delle vittime”) ed è in grado di esercitare uno stringente controllo sui suoi associati. L’associazione mafiosa continua a muoversi nel settore delle estorsioni (in particolare nel Palermitano e nella provincia di Caltanissetta) ma si registra un rinnovato interesse per il traffico di droga, nel quale l’ndrangheta ha un ruolo essenziale (vedi infra); Cosa Nostra si infiltra inoltre nell’economia pubblica e privata grazie alla complicità dell’”area grigia” di professionisti, imprenditori etc, laddove vi sia la possibilità di ottenere ritorni economici, come ad esempio gioco e scommesse, turismo ed energie alternative; dedica particolare attenzione alla ricerca di contatti, diretti o indiretti, con interlocutori istituzionali per condizionare le scelte delle Amministrazioni locali ed accedere alle risorse degli appalti pubblici (di recente anche nel settore dell’accoglienza dei migranti) come testimoniato dagli scioglimenti dei comuni siciliani e dalle amministrazioni giudiziarie in applicazione dell’art 34 del codice antimafia; la Commissione pone un particolare accento anche alla situazione del Parco dei Nebrodi (il cui presidente è stato oggetto di un attentato dinamitardo miracolosamente fallito) dove Cosa Nostra si prefigge l’obiettivo di entrare in possesso dei fondi agricoli dell’area e ottenere gli ingenti contributi economici concessi dall’Europa. Secondo la Commissione, Cosa Nostra continua a perseguire la cosiddetta “strategia della sommersione”, preferendo agire sottotraccia, in modo quasi invisibile, per non suscitare allarme sociale e da sfuggire alla morsa delle investigazioni, ricercando così, come in passato, una “tradizionale convivenza con lo Stato”: in conclusione, un’associazione diversa da quella del periodo stragista, ma sempre forte, radicata nel territorio e perciò molto pericolosa.
‘Ndrangheta. La ‘ndrangheta risulta oggi l’associazione mafiosa italiana più pericolosa, caratterizzata da un profondo radicamento, potenza finanziaria e “capacità di essere anti-Stato senza sfidarlo apertamente, ma infiltrandosi nei suoi gangli vitali” grazie ad un “rapporto con gli uomini delle istituzioni decisamente meno conflittuale rispetto alla mafia dei corleonesi”. La forza della ‘ndrangheta risiede soprattutto nella sua struttura familiare, nei legami di sangue che assicurano la continuità delle cosche e l’assenza fino a tempi recenti di casi significativi di collaboratori di giustizia e nel forte consenso nei territori di origine, dove è fortemente radicata. La relazione si sofferma in particolare sulla capacità di gemmazione delle ‘ndrine fuori dei confini della Calabria e della stessa Italia, secondo la “strategia dei fortini” con la quale i clan perseguono l’“occupazione” progressiva di singoli comuni, a partire da quelli di piccola dimensione (che esprimono normalmente bassa capacità di resistenza e dove è minore l’attenzione dei mezzi di informazione), praticando in genere una violenza a bassa-media intensità, non visibile ma efficacissima: la diffusione “silenziosa” delle mafie nel tessuto produttivo delle aree più dinamiche e ricche, a lungo sottovalutata, si giova della disponibilità e complicità di imprenditori e professionisti locali e di un “patrimonio di conoscenze e contatti che si estende su vari livelli (dal poliziotto al funzionario di banca, dal medico al dirigente della Pubblica amministrazione fino al politico)”, ciò che ha permesso ai clan mafiosi di “acquisire il controllo, diretto o indiretto, di società operanti in vari settori (edilizia, trasporti, giochi e scommesse, raccolta e smaltimento rifiuti), di inserirsi anche nei lavori per la realizzazione di grandi opere, di conquistare posizioni rilevanti nei sistemi di welfare locale” e di condizionare le scelte di molte Amministrazioni locali.
La relazione delinea una struttura della ‘ndrangheta in cui gli organismi locali, che godono di ampia autonomia, sono coordinati da “un vertice che rappresenta tutte le famiglie di ‘ndrangheta della Calabria, capace di dirimere le controversie interne, con il potere di aprire o chiudere locali, conferire cariche, dare il nulla osta per gli omicidi eccellenti o di particolare rilevanza da compiere anche fuori dalla regione”): tale struttura unitaria è funzionale alle strategie di espansione dell’organizzazione nel traffico internazionale di droga e nei grandi appalti nazionali. Alla fine degli anni sessanta viene istituita la “Santa”, una componente più riservata di cui fanno pare “‘ndranghetisti autorizzati a entrare nella massoneria per avere contatti con i quadri della pubblica amministrazione e, quindi, con medici, ingegneri e avvocati” (audizione del procuratore Gratteri).
Nel traffico internazionale degli stupefacenti la ‘ndrangheta ha assunto il ruolo di broker, conquistando un rapporto privilegiato con i grandi fornitori centro e sudamericani: gli ingentissimi profitti sono poi reinvestiti in nuove attività, consolidando progressivamente la presenza nell’economia legale: in particolare edilizia, commercio, ristorazione, trasporti, import-export di prodotti alimentari, turismo, scommesse e gioco on line (quest’ultimo settore rappresenta anche un canale utilissimo per il riciclaggio di denaro): una “mafia imprenditrice” capace di infiltrarsi nell’economia e poi di condizionare le Amministrazioni locali (ben 32 comuni sciolti negli ultimi 5 anni, tra cui lo stesso capoluogo di Reggio Calabria, dove le scelte dell’Amministrazione erano state piegate agli interessi delle ‘ndrine), ricorrendo spesso a minacce e attentati ai danni di amministratori pubblici, anche nelle regioni del Nord Italia. “25 anni fa erano i mafiosi che andavano col cappello in mano dal politico a chiedere cortesie o a chiedere l’assunzione alla forestale. Oggi, invece, sono i politici che vanno a casa dei capimafia, a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti…. Loro contano sul 15 o al massimo sul 20 per cento dei voti, però spostando quel 20 per cento a destra o a sinistra loro determinano chi sarà il sindaco e quindi poi gli chiedono il conto” (audizione del procuratore Gratteri).
In conclusione, “dalle inchieste più importanti degli ultimi anni emerge una ‘ndrangheta affaristica, dinamica, duttile, flessibile, profondamente infiltrata nel vitale tessuto sociale ed economico di queste realtà produttive, nel quale molti imprenditori, professionisti, dirigenti pubblici e amministratori locali hanno mostrato una sorprendente cedevolezza e friabilità rispetto agli interessi e agli appetiti delle locali di ‘ndrangheta saldamente radicate nei nuovi territori”. Per contrastare efficacemente la ‘ndrangheta appare indispensabile il potenziamento degli uffici giudiziari calabresi; si suggerisce altresì l’affidamento ai tribunali distrettuali della competenza esclusiva per i dibattimenti di criminalità organizzata al fine di favorire la necessaria specializzazione dei magistrati e rendere più omogenea la giurisprudenza in materia.
Camorra. Anche la Camorra svolge un ruolo centrale nel traffico di stupefacenti: senza di esso non sarebbe possibile spiegarne l’ascesa nell’élite della criminalità mondiale. Ma il commercio delle droghe si coniuga con un penetrante controllo del territorio e una forte presenza sia nei mercati illegali (come la vendita a prezzi convenienti di beni di grandi marche contraffatti) che in quelli legali (in particolare edilizia, grande distribuzione, turismo e forniture agli enti pubblici) grazie ai rapporti instaurati con il ceto politico e amministrativo (utili per accaparrarsi appalti pubblici) e con l’imprenditoria locale. Come emerso nel corso delle audizioni “un appaltatore vince tutti gli appalti perché riesce a corrompere l’amministratore, costituisce un modello per gli altri che, per sopravvivere, devono perseguire strade analoghe, altrimenti sono destinati a soccombere. Costituisce, quindi, un modello comportamentale negativo che si propaga come una forma di contagio” (procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli). E forte è anche il consenso che la camorra riesce a mantenere, organizzando l’emarginazione e il disagio sociale dei ceti più poveri.
A differenza di altri gruppi criminali, i tanti clan presenti (ben 180 a Napoli e provincia) non hanno mai avuto una “cupola” né una struttura verticale di comando, e questo ha dato origine a lotte sanguinose interne per il controllo del territorio (da quindici anni la media annuale di omicidi di camorra è superiore a quelli di cosa nostra e della ‘ndrangheta; nella provincia di Napoli ci sono stati 45 omicidi di stampo camorristico nel 2015 e 65 nel 2016); e Napoli ha il triste primato per omicidi ogni 100 mila abitanti.
La relazione evidenzia le principali differenze tra i gruppi camorristici: a Napoli è più frammentata e gangsteristica, e giovanissimi killer cercano di prendere il posto dei vecchi clan indeboliti dai numerosissimi arresti; più labili sono anche i confini tra criminalità organizzata e criminalità comune. Nel Casertano i clan appaiono più solidi e radicati e dotati di relazioni solide con il ceto politico e amministrativo; all’attività di spaccio si somma la gestione del gioco d’azzardo on line e l’imposizione del pizzo ai locali che detengono slot machine. Altrettanto significativa risulta anche la presenza dei clan camorristici nel Salernitano (anche qui con forti interessi nel settore del gioco d’azzardo).
Le conclusioni della Commissione sono molto preoccupanti: “I principali cartelli camorristici coincidono ormai con sofisticate costellazioni d’impresa, con reti in cui si stabiliscono relazioni invisibili ma solidissime. Basta che un’impresa fiduciaria d’interessi mafiosi si collochi in una posizione dominante perché espanda le sue capacità di controllo su una più ampia filiera affaristica, commerciale e imprenditoriale. La dissoluzione dei corpi intermedi, a sua volta, finisce per assegnare alle organizzazioni camorristiche il riconoscimento tacito di una sorta di pretesa ad assumere direttamente le funzioni di rappresentanza politica e sociale” (audizione procuratore Melillo).
Mafie pugliesi. Sotto la denominazione di Sacra corona unita si raggruppano una pluralità delle consorterie, tra loro paritarie, nate originariamente per contrastare l’”invasione” nel territorio pugliese degli affiliati del clan di Raffaele Cutolo: esistono oggi “tanti gruppi, grandi, medi o piccoli, che replicano moduli intimidatori e di assoggettamento tipici del metodo mafioso, che operano autonomamente e dunque con una violenza non controllata”, in grado di condizionare lo sviluppo dell’intera regione. Nonostante i colpi inferti dalle inchieste giudiziarie, e l’assenza di una regia unitaria, i clan locali sono tuttora molto presenti nello spaccio di droga e nei settori del gioco d’azzardo e della ristorazione e determinano gravi problemi anche nella gestione dell’ordine pubblico.
Particolare preoccupazione desta la situazione del Foggiano, purtroppo a lungo sottovalutata, dove i gruppi criminali sono caratterizzati da una spiccata vocazione agli affari, dalla capacità d’infiltrazione nel tessuto economico-sociale (agricoltura – dove viene largamente praticato lo sfruttamento del lavoro degli immigrati – edilizia, turismo), l’imposizione di redditizi servizi di guardiania ed un capillare controllo del territorio, ottenuto grazie anche alle intimidazioni e rapine (coinvolgendo molti minorenni) e all’omertà da parte della popolazione (non risultano collaborazioni di giustizia).
Per quanto riguarda il Salento, la relazione pone soprattutto in evidenza le attività di recupero forzoso dei crediti da debitori riottosi, di finanziamento delle aziende private e di riciclaggio di denaro sporco, oltre all’offerta di posti di lavoro all’interno di aziende “controllate” dalla stessa organizzazione criminale; significativi anche i casi di infiltrazione delle Amministrazioni locali.
Mafia capitale. In passato gli interessi delle organizzazioni mafiose a Roma apparivano collegati soprattutto ad operazioni di riciclaggio, utilizzando le tante opportunità offerte dall’esistenza di esercizi commerciali, società finanziarie, enti di intermediazione, di immobili di pregio etc che consentivano, quindi, di mimetizzare meglio gli investimenti, evitando anche “guerre fratricide” tra i diversi gruppi criminali: per questa ragione la presenza mafiosa a Roma è stata a lungo sottovalutata ed è risultata difficile l’applicazione alla realtà romana della fattispecie di cui all’articolo 416-bis del codice penale.
Solo con gli arresti del dicembre 2014, legati all’inchiesta “Roma capitale”, è emersa con chiarezza la capacità di alcune organizzazioni criminali di infiltrarsi nel comune di Roma avvalendosi dell’interazione del metodo mafioso con quello corruttivo. “Alla violenza esteriorizzata si era, cioè, sostituita la tacita sopraffazione-collusione imprenditoriale e la permeazione del sistema burocratico e politico…. Mafia capitale, dunque, appariva assimilabile alle mafie tradizionali perché, come queste, si avvaleva della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza”.
Due i fronti aperti: da un lato, le tradizionali attività lucrative del traffico di stupefacenti e di armi, usura, estorsioni, recupero crediti, in cui domina l’uso della violenza e dell’intimidazione; dall’altro, il fronte imprenditoriale-istituzionale, volto a sfruttare le opportunità di appalti sicuri “privilegiando lo strumento della corruzione rispetto a quello dell’intimidazione, che rimaneva però sullo sfondo come extrema ratio”. Il raccordo era assicurato dall’alleanza tra Massimo Carminati, proveniente dall’estrema destra, e Salvatore Buzzi, a capo di un importante gruppo di cooperative che si era aggiudicato numerosi appalti dall’amministrazione comunale.
Ciò ha dato origine ad un “articolato sistema di relazioni corruttive che coinvolgeva i vertici delle istituzioni locali, grazie al quale l’organizzazione otteneva, per le imprese da essa controllate (società cooperative sociali, ditte operanti nel movimento terra e nello smaltimento dei rifiuti), affidamenti particolarmente redditizi dal comune di Roma…. e condizionava profondamente il contesto politico ed amministrativo romano, determinando la nomina di personaggi graditi in posizioni strategiche e, parallelamente, l’allontanamento e la sostituzione da tali ruoli di quanti non si dimostravano sensibili alle esigenze del sodalizio”. E il “mondo di mezzo” era il luogo privilegiato di incontro di tutti i soggetti che contribuivano alla composizione degli interessi illeciti.
Alcune importanti sentenze della Cassazione confermano lo stato di degrado dell’Amministrazione capitolina e l’applicabilità alla situazione romana del delitto di associazione mafiosa. In attesa dell’esito definitivo dei processi penali in corso, la Commissione (sulla base dell’approfondito ciclo di audizioni sulla situazione di Roma e del Lazio) ribadisce lo stato di diffusa illegalità che ha caratterizzato Roma Capitale e la necessità di adottare ogni utile misura utile a garantire il pieno ripristino della legalità e la bonifica della macchina amministrativa; in quest’ottica risulta comunque essenziale uno sforzo ulteriore da parte di tutte le Istituzioni per individuare le nuove strategie messe in atto dalle organizzazioni criminali per infiltrarsi – con modalità sempre nuove- nelle istituzioni e nell’economia.
Le altre mafie laziali. La relazione dedica un ampio spazio alla situazione del Municipio di Ostia, sciolto nel 2015 per infiltrazioni della criminalità organizzata, e alle forti difficoltà che si continuano a registrare nel faticoso processo di risanamento della gestione amministrativa, dovuto al radicamento dei clan locali, colpiti anche di recente da provvedimenti dell’autorità giudiziaria per una serie di gravi reati (associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione aggravata, detenzione e porto d’armi ed esplosivi, usura, incendio, danneggiamenti, reati contro la persona, traffico di sostanze stupefacenti ed intestazione fittizia di beni).
Particolarmente preoccupante la situazione di alcuni comuni della provincia di Roma, come Nettuno, Anzio, Aprilia e Pomezia (dove sono rilevanti gli atti di intimidazione a danni di amministratori locali ed imprenditori) e nella provincia di Latina, dove le organizzazioni criminali hanno concentrato i propri interessi nel settore agroalimentare, negli stabilimenti balneari, nel turismo, nelle sale da gioco e nei comparti delle costruzioni e del commercio all’ingrosso e al dettaglio.
Le organizzazioni criminali straniere. La relazione, riprendendo le conclusioni dell’ultima relazione della DNA, sottolinea il peso delle mafie straniere in Italia, colpite in alcuni casi addirittura da condanne giudiziarie per associazione mafiosa. Una parte di esse opera in autonomia rispetto ai gruppi criminali italiani, evitando di “entrare in concorrenza con loro” (soprattutto nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, produzione di documenti falsi validi per l’espatrio, tratta dei migranti, sfruttamento della prostituzione, estorsione ai danni dei propri connazionali imprenditori); altre mafie, maggiormente organizzate (come quelle nigeriane, slave e albanesi), interagiscono con i clan italiani, soprattutto nel traffico di droga e poi in quello della contraffazione. Le mafie cinesi sono anch’esse molto radicate in Italia ed hanno esteso le loro attività illecite aldilà della contraffazione di prodotti e marchi, per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, allo spaccio e al traffico di sostanze stupefacenti.
Le politiche internazionali di contrasto delle mafie. Ai fini della lotta contro queste organizzazioni criminali, che traggono vantaggio dalla globalizzazione dei mercati leciti e illeciti e dalla finanziarizzazione dell’economia, risulta essenziale un’efficace collaborazione tra le autorità giudiziarie (l’istituzione di una Procura europea ed protocolli stipulati dalla Direzione nazionale antimafia sono fatto molto significativi), una maggiore uniformità della legislazione, a partire da quella dei Paesi della comunità europea, in particolare per quanto riguarda gli accertamenti sulla provenienza illecita del denaro e le misure di prevenzione patrimoniale (su questo aspetto vedi la relazione della Commissione del giugno 2014) e, soprattutto una più decisa azione a livello internazionale anche da parte dei Paesi che finora hanno evidenziato una minore “sensibilità antimafia”.