Premessa

La Commissione bicamerale sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, al termine di numerose audizioni – svolte sia in commissione plenaria che nell’ambito del V Comitato – ed un’attenta analisi della documentazione in materia, ha approvato il 21 ottobre 2014 una relazione sulla revisione del sistema di protezione dei testimoni di giustizia, che trova la sua disciplina fondamentale nel decreto legge n. 8 del 1991, così come modificato nel corso degli anni.

Qui di seguito è riportata una sintesi del documento conclusivo (Doc XXIII, n. 4).


Il quadro di riferimento normativo

Con il decreto legge n. 8 del 1991 è stata introdotto nel nostro ordinamento un sistema “premiale” per i “collaboratori di giustizia” per i delitti di stampo mafioso, in analogia con la disciplina adottata in precedenza per i reati di terrorismo. Nel 2001 le misure a favore dei “pentiti” sono state sostanzialmente estese ai “testimoni di giustizia” (vedi in particolare gli articoli 13, 16 bis e 18 ter). I testimoni sono identificati come coloro che coloro che “assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone” a condizione che non siano oggetto di misure di prevenzione.

L’esperienza concreta. Dalla documentazione acquista dalla Commissione emerge che I testimoni di giustizia sono attualmente 80 (oltre a 267 i familiari), mentre i collaboratori ammontano a 1144 (4617 familiari). La Commissione sottolinea la necessità di una revisione complessiva del sistema che, nonostante gli aggiustamenti apportati con i regolamenti di attuazione e l’impegno profuso sia in termini di personale che di risorse finanziarie, ha finito per determinare anche un notevole malcontento da parte degli stessi testimoni, evidenziato anche dal contenzioso amministrativo. Tra i limiti evidenziati nei primi 10 anni di attuazione si sottolineano in particolare il massiccio ricorso ai programmi di protezione in località protette, in situazioni spesso degradate e di completo isolamento dalla realtà sociale, l’insufficienza delle risorse economiche per assicurare il pregresso tenore di vita ai testimoni e alle loro famiglie, la disparità di trattamento economico tra testimoni di giustizia, l’eccesiva farraginosità e rigidità delle procedure.

Le proposte della Commissione. In base alla legge il testimone di giustizia dovrebbe configurarsi come “terzo” o “vittima” rispetto al delitto su cui riferisce; l’esperienza concreta evidenzia però che nella gran parte dei casi il testimone, con il suo apporto, mette in crisi il modello mafioso e, di conseguenza, si trova in una situazione di grave pericolo. E’ molto frequente l’ipotesi di un imprenditore che aveva in precedenza instaurato rapporti con l’associazione mafiosa, al fine di ricavarne un vantaggio (protezione dei cantieri, aiuto presso la pubblica amministrazione o le banche, accaparramento di commesse di lavoro etc); ed analoga è la situazione delle persone legate da rapporti di parentela con soggetti mafiosi: proprio l’esistenza di rapporti consolidati può consentire al testimone di rivelare aspetti molto circostanziati sulla struttura dell’organizzazione criminale e sugli illeciti accaduti. Secondo la Commissione, a queste figure, definite border line, non può essere negato lo status di testimone di giustizia – come avviene invece nell’esperienza concreta: e ciò può avvenire attraverso una più puntuale definizione dei requisiti soggettivi ed oggettivi.

La relazione sottolinea l’esigenza di arrivare ad una normativa ad hoc per i testimoni di giustizia, proprio per rimarcare la netta differenza del loro status rispetto a quello dei collaboratori e garantire la loro sicurezza e l’assenza di danni economici e lavorativi, anche al fine di incoraggiare sempre più cittadini alla denuncia. In particolare sono sottolineati i seguenti profili:

– è necessario garantire una puntuale informazione dei diritti e doveri connessi con l’assunzione dello status di testimone, da realizzare sia attraverso campagne di informazione generale e preventiva sia nella fase in cui si avvia il processo di testimonianza che nel periodo successivo: si propone l’istituzione di un “comitato multidisciplinare di assistenza”, formato da esperti, che si faccia carico delle problematiche connesse alla testimonianza e che collabori con gli apparati amministrativi per quanto riguarda il puntuale rispetto dei diritti dei testimoni, l’individuazione delle misure più adatte al caso concreto, al riavvio dell’attività economica ed al reinserimento lavorativo;

– per i testimoni di giustizia occorre privilegiare (salvo casi di eccezionale pericolo) l’applicazione delle misure nella località di origine, in luogo del programma speciale in località protetta (soltanto 17 testimoni di giustizia su 80 beneficiano attualmente delle speciali misure di protezione in località di origine; e la stessa sorte la hanno anche i familiari): chi rimane nel luogo di origine è infatti soggetto quasi inevitabilmente a danni economici rilevanti (perdita di commesse, riduzione della clientela, interruzione di rapporti di fornitura etc) rispetto ai quali i benefici economici previsti dalla normativa vigente non sono una forma di compensazione adeguata: per queste ragioni (ed anche per evitare la “gogna” dell’ambiente), in molti casi sono gli stessi testimoni a scegliere il programma di protezione in località protetta. Perciò appare opportuno individuare nuove modalità di sostegno ed agevolazione per gli imprenditori che decidano di rimanere nella località di origine (periodi di tassazione ridotta o sospesa, convenzioni con enti pubblici e privati per forniture di beni e servizi, forme di assistenza etc): in tal modo potrebbero anche avere il sostegno delle strutture associative che operano nel territorio. E si deve favorire l’occupazione presso le amministrazioni pubbliche ed associazioni di volontariato dei testimoni che incontrino difficoltà nel reinserimento lavorativo e sociale.


Il dibattito in Aula 

Si segnala che il Senato, nelle sedute del 29 ottobre 2014 (clicca qui e qua), ha discusso questa Relazione congiuntamente ad altre due Relazioni approvate dalla Commissione antimafia (quella sul codice di autoregolamentazione e quella sul semestre italiano di presidenza UE), approvando una risoluzione sottoscritta da esponenti di tutti i gruppi parlamentari (allegato 1). L’Assemblea della Camera ha discusso la relazione il 21 aprile 2015 ed il 22 aprile 2015, approvando all’unanimità  una risoluzione condivisa anche dal Governo (riportata in allegato 2).


La discussione parlamentare sulla proposta di legge Bindi.

La Commissione Giustizia della Camera ha avviato il 7 settembre 2016 l’esame dell’ AC 3500, che recepisce gran parte delle indicazioni contenute nella relazione della Commissione antimafia, deliberando altresì di procedere ad una breve ciclo di audizioni (sulle quali leggi questa scheda). Su contenuti ed iter parlamentare della proposta di legge leggi questa scheda.


Allegato 1. Testo della risoluzione approvata dal Senato 6-00076 n. 2  (ZANDA, Paolo ROMANI, MOLINARI, GIOVANARDI, CENTINAIO, DE PETRIS, LANIECE, SUSTA, DI BIAGIO)

Il Senato,

esaminata la Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata nella seduta del 21 ottobre 2014 (Doc. XXIII, n. 4), fa propria la Relazione della Commissione sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia ed impegna il Governo, per quanto di propria competenza, ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni e i problemi evidenziati nella citata Relazione.

 

Allegato 2: testo della risoluzione approvata dalla Camera 6-00124 (Bindi, Mattiello, D’Uva, Naccarato, Sarti, Garavini, Di Lello, Scopelliti, Dorina Bianchi, Fava, Piepoli)

La Camera,

esaminata la Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata all’unanimità nella seduta del 21 ottobre 2014 (Doc. XXIII, n. 4),

premesso che:

il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una normativa sul sistema di protezione dei collaboratori di giustizia;

la legge 13 febbraio 2001, n. 45 ha colmato il vuoto normativo in materia di testimoni di giustizia inserendo due disposizioni legislative (articoli 16-bis e 16-ter) nel testo del decreto legge citato;

i testimoni di giustizia non possono e non devono essere accomunati ai collaboratori di giustizia, non solo dal punto di vista normativo e gestionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista etico e del riconoscimento sociale del loro ruolo;

la legge 13 febbraio 2001, n. 45, ha avuto l’indubbio merito di riconoscere giuridicamente la figura del testimone di giustizia, cioè colui che assume – rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rende le dichiarazioni – esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone, purché nei suoi confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione, ovvero non sia in corso un procedimento di applicazione della stessa, ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, cosiddetto Codice delle leggi antimafia;

l’accostamento delle due diverse figure nel medesimo testo legislativo ha, tuttavia, causato una contaminazione che ha di fatto impedito la creazione di un binario separato tra i modelli di gestione dei collaboratori e quelli dei testimoni;

si ritiene indispensabile superare l’attuale sistema di gestione dei testimoni, evidentemente appiattito sul modello introdotto dal decreto-legge n. 8 del 1991 sui collaboratori di giustizia, attraverso l’approvazione di una nuova normativa ispirata ai principi riassunti nella citata Relazione e specificamente dedicata a un’organica disciplina del sistema di protezione dei testimoni di giustizia;

in tal senso nella Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, è emersa l’intenzione, unanimemente condivisa dai componenti della Commissione stessa, di promuovere e sostenere l’approvazione di un progetto di legge in materia;

l’Assemblea del Senato nella seduta del 29 ottobre 2014 ha approvato la risoluzione (6 – 00076), n. 2 con la quale ha fatto propria la Relazione citata, impegnando il Governo, per quanto di propria competenza, ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni e i problemi evidenziati dalla Commissione;

fa propria la Relazione della Commissione sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia ed impegna il Governo, per quanto di propria competenza, ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni e i problemi evidenziati nella citata Relazione.

(ultimo aggiornamento 7 settembre 2015)