Premessa. La Commissione di inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro (che già aveva svolto un approfondimento della situazione dei lavoratori impegnati nell’agro Pontino: vedi relazione del 13 settembre 2016, doc XXII bis n. 4) ha dedicato audizioni specifiche ai fenomeni di caporalato emersi in relazione al CARA di Foggia: a tal fine ha ascoltato il 20 settembre 2016 il dott. Gatti dell’Espresso ed il 27 settembre 2016 il prefetto di Foggia, il direttore del Cara e rappresentanti del consorzio di cooperative sociali Sisifo e della società cooperativa sociale Senis Hospes. Qui di seguito sono sintetizzati i contenuti principali delle audizioni.

L’inchiesta giornalistica. Il dott. Gatti riassume i contenuti della sua nuova inchiesta giornalistica realizzata tra agosto ed i primi di settembre del 2016, la quale, proseguendo l’analisi della condizione dei lavoratori in agricoltura, in particolare immigrati, si concentra sulla situazione del CARA di Foggia e dell’ampia zona circostante: per una settimana, in particolare, Gatti ha vissuto all’interno del Centro, mescolandosi con gli immigrati, sfruttando i varchi esistenti nella rete di recinzione ed evitando così i controlli effettuati all’ingresso del Centro. Il giornalista si sofferma soprattutto sulle modalità attraverso le quali esponenti di organizzazioni criminali nigeriane organizzano lo sfruttamento dei lavoratori agricoli, mettendo a disposizione la mattina presto, in prossimità del Centro, pulmini per il trasporto presso le aziende agricole ed anche fenomeni di prostituzione di giovani ragazze straniere. Una parte consistente di immigrati utilizza biciclette per recarsi ai luoghi di lavoro anche al fine di non pagare l’importo richiesto dai caporali (5 euro) per il servizio di trasporto. Coloro che vanno a lavorare non usufruiscono perciò dei servizi di prima colazione e pranzo garantiti dal Centro e perciò hanno allestito dei piani di cottura per poter mangiare autonomamente utilizzando anche i prodotti venduti nei negozi sorti nell’area adiacente il Centro. Gatti fornisce ulteriori elementi sulle condizioni di lavoro dei braccianti della zona.

Le audizioni delle Amministrazioni interessate e dei gestori del Centro.  Il prefetto sottolinea le condizioni di sovraffollamento del CARA di Foggia, in particolare a partire dal 2016 (il Centro è arrivato ad ospitare oltre 1.460 persone, ridotte attualmente a 1.300, invece delle 636 previste), dovuto in particolare alla recente intensificazione degli sbarchi e alla forte presenza di rifugiati che attendono il giudizio definitivo sulla loro istanza: solo recentemente è stato possibile avviare la ricollocazione in altre strutture (in particolare di donne e minorenni).

Le caratteristiche dell’accoglienza e le lacune della struttura non consentono un controllo puntuale delle persone che gravitano nel Centro, se non per quanto riguarda i servizi (per accedere ad essi c’è un sistema informatizzato di controllo incrociato degli aventi diritto); si tratta infatti di una struttura aperta, dalla quale gli immigrati possono entrare ed uscire liberamente: anche l’obbligo di presenta tra le 20.00 e le 8.00 è mitigato dal fatto che solo dopo tre giorni di assenza si perde il diritto all’assistenza del Cara. Il prefetto sottolinea che immediatamente fuori dal Centro si è verificata l’occupazione abusiva di alcuni immobili di proprietà dell’Aeronautica militare (sono state avviate le procedure di demolizione) e, nelle adiacenze, si è sviluppato un insediamento abusivo di immigrati prevalentemente regolari, fenomeno purtroppo molto esteso nel foggiano, che ha visto la costituzione di diversi ghetti, il più noto dei quali è quello di San Severo: le Amministrazioni regionali e locali hanno avviato un processo di ricollocazione delle persone che abitano lì che però si è scontrato con le difficoltà di reperire alloggi alternativi: a tal fine è stato definito recentemente un nuovo Protocollo.

In merito al fenomeno del caporalato, i rapporti delle forze di polizia hanno escluso la presenza di furgoni e l’effettuazione di dette attività all’interno del Centro; nell’area circostante, molto ampia, è possibile che siano organizzati servizi di trasporto (la piaga del caporalato nel foggiano è purtroppo diffusissima): cita a tale riguardo l’esito di un controllo su un furgone guidato da un maliano a bordo del quale erano presenti 19 immigrati ospiti del Cara, tutti dotati di regolare contratto di soggiorno, e per i quali sono in corso accertamenti in quanto la possibilità di lavorare è consentita solo dopo i primi sei mesi. Altri controlli sul rispetto della normativa in materia di lavoro vengono effettuati periodicamente dagli organismi competenti, anche se in misura molto ridotta rispetto al totale delle aziende agricole, che sono numerosissime e spesso di modeste dimensioni.

Il prefetto fornisce infine elementi sulla gara di affidamento della gestione del Centro e sulle modalità di erogazione dei servizi, sottolineando la regolarità dell’appalto (la Cooperativa la Cascina che inizialmente svolgeva alcuni servizi in subappalto, colpita da interdittiva antimafia, è stata immediatamente sostituita). I servizi (ed il personale impegnato, oggi pari complessivamente a circa 190 unità) sono stati adeguati all’aumento considerevole delle persone ospitate nel Centro, cercando di realizzare una migliore occupazione degli spazi e l’utilizzo di altri immobili prima non impiegati. La regolarità nell’esecuzione del contratto di appalto (ribadita anche dai responsabili delle aziende coinvolte) è stata verificata dagli organismi di controllo.

Il ghetto di San Severo. Si segnala che la Commissione antimafia ha audito l’11 aprile 2017 (seduta parzialmente segretata) il dirigente della sezione politiche per l’immigrazione e l’antimafia sociale della regione Puglia, Stefano Fumarulo, al fine di approfondire la situazione del ghetto di San Severo (noto anche come “ghetto di Rignano”) e degli interventi adottati dalla Regione per la chiusura di tale ghetto. sorto intorno al 1996, ma sviluppatosi soprattutto negli ultimi anni, in connessione con il controllo esercitato dalle organizzazioni criminali inserite nel meccanismo del caporalato, in cui hanno un ruolo importante i cittadini di origine africana, denominati “capi neri”.