Premessa. La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha presentato a giugno 2017 la Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo luglio 2015 – giugno 2016. Di seguito viene sintetizzato il capitolo dedicato alla criminalità organizzata di origine pugliese.

Una rinnovata vitalità della Sacra Corona Unita. Se in merito alle altre organizzazioni criminali operanti sul territorio pugliese, la DNA riferisce di un quadro sostanzialmente immutato rispetto alla precedente Relazione, sulla Sacra Corona Unita – per molti analisti praticamente scomparsa – i magistrati della Procura Nazionale segnalano quella che definiscono una rinnovata vitalità sui territori di Brindisi e Lecce. “Tutte le principali attività criminali delle due provincie, infatti, benché talora possano apparire autonome e indipendenti da logiche mafiose, ad uno sguardo più approfondito risultano fare riferimento alla associazione mafiosa, cui comunque deve essere dato conto”.

In merito all’operatività della SCU, la DNA riferisce di una strategia difensiva condotta a partire dagli anni Duemila, contemporaneamente alla perdurante attività di repressione condotta dalle forze dell’ordine. Tale strategia ha prodotto una serie di modifiche strutturali all’organizzazione – a cominciare dal non produrre attività criminali che potessero creare allarme sociale – che ne hanno preservato l’esistenza.

I territori di Lecce e Bari. Sul territorio di Lecce la DNA denuncia “un atteggiamento di complessiva omertà nella collettività civile e di scarsa collaborazione da parte di molte vittime di condotte intimidatorie e violente che, unito alla crescente sottovalutazione della pericolosità di tali organizzazioni, segnala un’allarmante modifica del rapporto della società civile con la criminalità mafiosa”. Sul territorio di Bari si registra una situazione di costante conflittualità tra i diversi clan operanti, i quali dimostrano una mancanza di strategie a lungo termine, che provoca alleanze instabili e un deficit di organizzazione interna: “Una criminalità organizzata pronta a inseguire gli affari più lucrosi con metodi che privilegiano l’immediatezza del risultato e il contenimento dell’impegno rispetto alla elaborazione di complesse strategie”.

La mafia di Foggia. Al contrario del distretto di Bari, nella provincia di Foggia operano organizzazioni maggiormente strutturate e con caratteristiche similari alle cosiddette mafie tradizionali. “Storicamente suddivisa tra Mafia dei Montanari- riferita ai sodalizi della zona garganica – e “Mafia della Pianura”- riferita alla zona della Capitanata – le organizzazioni mafiose, pur presentandosi frammentate e prive di un vertice aggregante, evidenziano una solida strutturazione interna, forte senso di autodisciplina, capacità di programmare e attuare strategie criminali e di intessere alleanze sia tra i diversi gruppi operanti sul territorio, sia con sodalizi mafiosi campani e calabresi”.

La società Foggiana è in grado di unire le caratteristiche sopra citate ad un controllo “feroce” del territorio, dove l’utilizzo della violenza è costante. A tale prodotto, consolidato attraverso numerosi omicidi e azione violente, tra cui spicca l’alto numero di lupare bianche, ovvero la scomparsa nel nulla di soggetti il cui corpo non viene mai più ritrovato, si aggiunge un atteggiamento diffuso di omertà tra la popolazione e l’assenza di collaboratori di giustizia.

 

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)