Premessa. Il Consiglio di stato, con una sentenza del 18 aprile scorso (n. 2343 del 2018) si è pronunciato definitivamente sulla revoca, da parte del comune di Reggio Calabria, delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande e la gestione di uno stabilimento balneare, con conseguente richiesta di restituzione del contributo concesso dalla stessa Amministrazione comunale per lavori di riqualificazione strutturale e ambientale della struttura. Tale revoca era stata disposta sulla base di un’interdittiva antimafia della prefettura che evidenziava tutta una serie di elementi a carico dei soggetti coinvolti, fondati soprattutto sulla fitta rete di frequentazioni e contatti sospetti di uno dei soci della società con soggetti appartenenti alle cosche locali.
Gli indicatori del rischio di infiltrazione mafiosa. Il giudice amministrativo ha confermato la validità degli indizi raccolti dalla prefettura che, riguardati nella loro pluralità e globalità e inquadrati nel contesto economico-sociale di riferimento, sono idonei a dimostrare il concreto rischio di infiltrazione della criminalità organizzata nell’azienda in esame; la stessa cessione di ramo d’azienda avvenuta un anno prima non ha comportato, in realtà, alcuna dismissione di attività imprenditoriale da parte della famiglia interessata, cui comunque è sempre riconducibile l’attività (essendo cambiato solo il nome della società titolare dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande).
L’estensione dei casi di richiesta della certificazione antimafia. E’ stata inoltre ritenuta legittima l’applicazione della certificazione antimafia non solo quando essa è obbligatoriamente richiesta dalla legge ma anche in caso di contributi ovvero di licenze e autorizzazioni comunali per l’esercizio di un’attività economica: in questa circostanza peraltro, il comune di Reggio Calabria era comunque tenuto a richiedere la certificazione antimafia in base alla norma che impone tale adempimento alle Amministrazioni locali che nel quinquennio precedente abbiano subito lo scioglimento coatto per mafia.
Una  giurisprudenza consolidata. Questa importante sentenza si inserisce in una giurisprudenza, ormai consolidata, che inquadra correttamente l’interdittiva antimafia come misura di carattere cautelare, volta a anticipare la soglia di prevenzione, che non richiede la necessaria prova di un fatto né la sussistenza di responsabilità penali, ma solo la presenza di un quadro indiziario univoco e concordante, in base al quale sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. E tale misura appare pienamente compatibile sia con il dettato costituzionale che con la normativa europea. Ai fini della legittimità del provvedimento, risulta essenziale, come nel caso in esame, l’individuazione rigorosa di tutti gli elementi raccolti volti a dimostrare il pericolo dell’ingerenza mafiosa nelle aziende coinvolte: ad esempio le frequentazioni con esponenti mafiosi risultano tutt’altro che occasionali e sporadiche ma, al contrario, sono ripetute e durature e volte a ad incidere sulle decisioni imprenditoriali di un’azienda, affidata a due soci incensurati proprio al fine di superare i controlli svolti dagli organi dello Stato.
Viene così ribadita l’importanza della certificazione antimafia quale strumento di contrasto dell’ingerenza nell’economia della criminalità organizzata e della possibilità di utilizzarla in modo diffuso da parte delle Amministrazioni pubbliche anche aldilà delle gare di appalto di maggiori dimensioni (per un approfondimento della giurisprudenza in materia clicca qui).
La tutela dei dati sensibili. Non risulta invece condivisibile l’applicazione concreta della normativa in materia di privacy da parte del massimo organo amministrativo, che ha condotto anche in questo caso all’oscuramento delle generalità di tutti i soggetti coinvolti e di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il contesto di riferimento: con il paradosso di omettere addirittura l’indicazione degli estremi delle precedenti pronunce dei giudici amministrativi sullo stesso caso o quelle dei tribunali ordinari che hanno riconosciuto il carattere “mafioso” di alcuni esponenti dei clan locali coinvolti nella vicenda. Come è facile notare dalla lettura della sentenza allegata, il numero degli OMISSIS è tale da impedire anche la conoscenza dell’azienda colpita dall’interdittiva e un’adeguata ricostruzione del contesto economico e sociale in cui si inseriscono le attività illecite delle organizzazioni criminali. Mentre sarebbe necessario fornire tutte le informazioni utili alle altre Amministrazioni pubbliche, all’opinione pubblica e anche agli altri imprenditori che si trovassero ad avere rapporti con le aziende colpite da interdittiva antimafia.

ALL.TO: SENTENZA CONSIGLIO DI STATO N. 02343/2018REG.PROV.COLL. N. 09251/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9251 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Cristina Lenoci, Michele Salazar, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via Emanuele Gianturco n.1;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fedora Squillaci, con domicilio eletto ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
Regione Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Angela Marafioti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Plutino in Roma, via delle Milizie 34;
-OMISSIS-, Comune di Reggio Calabria – Sportello Unico Attività Produttive (Suap) – non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, n. -OMISSIS-, pubblicata il-OMISSIS-, resa in seno al giudizio di cui al ricorso di R.G. n. -OMISSIS-e concernente interdittiva antimafia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, del Comune di Reggio Calabria e della Regione Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Domenico Gentile su delega di Maria Cristina Lenoci, Simona Salazar su delega di Michele Salazar, Donatella Plutino su delega dichiarata di Angela Marafioti e l’Avvocato dello Stato Tito Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Il presente giudizio concerne l’informativa antimafia resa nei confronti della società appellante dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 15.3.2016 e impugnata in primo grado unitamente ai consequenziali atti di revoca della licenza commerciale e del contributo concesso alla società dalla Regione Calabria.
Detti atti consequenziali consistono, più precisamente, nell’ordinanza -OMISSIS-, con la quale il Comune di Reggio Calabria, prendendo atto dell’interdittiva innanzi disposta, ha revocato alla società la licenza n. -OMISSIS-e le autorizzazioni n. -OMISSIS-relative alla somministrazione di bevande ed alimenti all’interno della struttura “-OMISSIS-”; nonché nel decreto n. -OMISSIS-e nel successivo provvedimento del -OMISSIS-, con i quali la Regione Calabria ha revocato i precedenti decreti n. -OMISSIS-con cui era stato concesso alla -OMISSIS- un contributo di € 132.140,52, a titolo di primo stato di avanzamento lavori, intimando alla ridetta società di provvedere alla ripetizione delle somme innanzi percepite, incrementate degli interessi legali.
2. In sintesi, l’informativa prefettizia ha valutato la sussistenza del rischio di infiltrazione sulla base delle seguenti circostanze di fatto:
a) il capitale sociale -OMISSIS- è detenuto al 50% ciascuno dai soci -OMISSIS-(amministratore) e -OMISSIS-;
b) -OMISSIS- è citato nella sentenza n.-OMISSIS-del Tribunale di Reggio Calabria Sez. GIP – GUP relativa al procedimento penale n. -OMISSIS-. Nella pronuncia si fa menzione di un dialogo svoltosi tra lo stesso -OMISSIS-, -OMISSIS-ed altri, intercettato all’interno degli uffici dell’impresa “-OMISSIS-” e così riportato: “… il 28 ottobre 2000 gli operatori in ascolto registravano un’importantissima conversazione all’interno degli uffici dell’-OMISSIS-, tra i soliti -OMISSIS–OMISSIS-, successivamente identificato in -OMISSIS–OMISSIS-, nato a-OMISSIS-. E’ costui imprenditore dai radicati legami con la criminalità mafiosa cittadina. Lo -OMISSIS-, come oltre dettagliatamente descritto, è impegnato con alcuni dei più stretti familiari nella gestione di locali pubblici d’intrattenimento molto noti in città. Allo stesso modo egli gestisce società impegnate nel settore delle pulizie, circostanza che ne spiega l’interesse per la vicenda-OMISSIS-. Il suocero, identificato in -OMISSIS-, è zio di -OMISSIS–OMISSIS-, cl. -OMISSIS-, ferito nell’attentato dinamitardo nel quale ha perso la vita -OMISSIS-, cl. -OMISSIS-, che aveva avvicendato nel comando della cosca mafiosa, insediata nel rione -OMISSIS-, il suocero -OMISSIS–OMISSIS-, anch’egli assassinato nel corso della più recente <guerra di mafia>. A seguito dell’attentato risalente al gennaio 1990, lo -OMISSIS-, alla guida della vettura dilaniata dall’esplosivo, aveva tentato di disfarsi di un’arma da fuoco che portava con sé, venendo per questo denunciato dai militari intervenuti. Anche il cognato dello -OMISSIS-, identificato in -OMISSIS-, presenta un cursus honorum criminale di tutto riguardo. Egli infatti è stato condannato per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento <-OMISSIS->. Risulta inoltre, che il -OMISSIS-abbia trovato impiego presso il locale di pubblico ritrovo <-OMISSIS->, esclusivo esercizio della città gestito appunto anche dallo -OMISSIS-. Infine, nel corso di indagini effettuate nel 1991 dai Carabinieri di Reggio Calabria, in relazione ad un’associazione per delinquere dedita al traffico di droga, sono stati accertati ripetuti e diretti rapporti tra lo -OMISSIS- -OMISSIS-ed il noto capo -OMISSIS-. Quindi il rapporto dello -OMISSIS- con l’-OMISSIS- conferiva ulteriori elementi a riscontro del collegamento dell’imprenditore con ambienti e personaggi di provata connotazione mafiosa, verso i quali egli mostra particolare dimestichezza e familiarità”.
c) Sempre nell’informativa, sono state segnalate una serie di frequentazioni di -OMISSIS- con soggetti controindicati, ed in particolare, con -OMISSIS–OMISSIS-, elemento di spicco della cosca “-OMISSIS-”, condannato per associazione di stampo mafioso, ricettazione, concorso in omicidio aggravato, estorsione tentata in concorso, violazione della legge sulle armi, rapina tentata in concorso, e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Lo -OMISSIS- è stato notato da appartenenti alle forze dell’ordine frequentare l’esercizio commerciale gestito dalla predetta famiglia ‘ndranghetistica; e le frequentazioni con detta famiglia sono state confermate anche dalle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia -OMISSIS-. Sono risultate, inoltre, frequentazioni con esponenti della “-OMISSIS-”, sia sulla base di quanto affermato dalla già citata sentenza-OMISSIS-del Tribunale di Reggio Calabria, sia sulla base di un controllo del 2005, nel quale lo -OMISSIS- è stato segnalato in compagnia di -OMISSIS-. Inoltre, sono risultate frequentazioni con esponenti della “cosca -OMISSIS-”, attestate dalla già menzionata intercettazione ambientale del colloquio con -OMISSIS–OMISSIS-, elemento di spicco della omonima cosca; nonché con -OMISSIS-: il primo segnalato per associazione per delinquere di stampo mafioso, porto abusivo di armi, ricettazione e trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori; il secondo segnalato per produzione e traffico di stupefacenti, associazione mafiosa, danneggiamento, truffa, ricettazione e falso.
d) Quanto al socio e amministratore -OMISSIS–OMISSIS-, sono state rilevate condanne per violazione della normativa comunitaria sui rifiuti pericolosi e per violazione delle norme in materia ambientale.
e) L’informativa ha evidenziato, inoltre, che la società ha ceduto nel marzo 2015 il ramo d’azienda relativo all’attività di somministrazione di alimenti e bevande alla -OMISSIS-, gestita dai figli conviventi di -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, anch’essi a loro volta controllati con soggetti controindicati.
3. Alla luce del complesso degli elementi raccolti, la Prefettura ha concluso per la sussistenza del rischio di infiltrazione della società appellante, soprattutto in considerazione del ruolo di -OMISSIS–OMISSIS-, “imprenditore che mantiene e coltiva contatti e frequentazioni con personaggi della criminalità organizzata”. Frequentazioni queste che, secondo l’informativa, assumono rilievo in quanto ritenute non occasionali e valutabili alla luce della sentenza del 2008 del Tribunale di Reggio Calabria “nella quale emerge la pregnante figura dell’imprenditore -OMISSIS- nell’ambito della criminalità organizzata”.
Secondo l’informativa, i contatti esistenti con la serie di soggetti innanzi richiamati sono pertanto “valutabili, per la loro specificità, quali elementi sintomatici di una vicinanza qualificata tra l’operatore economico ed esponenti della criminalità organizzata ‘ndranghetista. Tale contiguità, se non intraneità, è ragionevolmente suscettibile di fondare una lettura unitaria e concordante di tutti gli elementi di fatto prima descritti, in favore della doverosa considerazione dell’esistenza di rischi di inquinamento e condizionamento criminale nella conduzione dell’impresa”.
4. L’impugnativa di primo grado avverso i predetti provvedimenti è stata respinta sia in sede cautelare (con provvedimento confermato dall’ordinanza n.-OMISSIS-di questo Consiglio di Stato), sia in sede di merito, con la sentenza del Tar Calabria n. -OMISSIS-/2017.
5. La pronuncia di primo grado è oggetto di impugnazione sulla base dei seguenti motivi di censura.
5.1. L’appellante lamenta, innanzitutto, l’erroneità del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la valutazione del rischio d’infiltrazione nell’attività d’impresa deve essere effettuata dalla Prefettura – e conseguentemente dal giudice – alla luce del criterio del “più probabile che non”.
Il processo induttivo alla base della logica “del più probabile che non” (ribadito dal Consiglio di Stato con la pronuncia “manifesto” n. -OMISSIS-), renderebbe infatti estremamente labile il confine che separa la ragionevole probabilità d’infiltrazione mafiosa dal mero sospetto di condizionamento e, quindi, assai breve il trapasso dell’interdittiva antimafia da “misura preventiva” a “strumento inquisitorio”.
Espressive di un più equilibrato orientamento, se non proprie sintomatiche di un vero e proprio revirement giurisprudenziale – sarebbero alcune più recenti pronunce del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia (nn. 257/2016 e 379/2017) e del Consiglio di Stato (n. 1923/2017), secondo le quali anche nel caso in cui gli accertamenti degli Organi di Polizia o dell’Autorità Giudiziaria siano volti a verificare non già la commissione di reati, ma – in funzione puramente preventiva – la ‘pericolosità’ di un soggetto o la ‘probabilità’ che un’azione umana produca un evento (dannoso o pericoloso), la ‘motivazione’ del provvedimento conclusivo (con cui viene deciso se applicare o meno la ‘misura preventiva’) non potrebbe mai basarsi su semplici sospetti e non dovrebbe mai prescindere dall’evidenziare – escluso ogni meccanismo atto a reintrodurre forme surrettizie di “colpa d’autore” – gli elementi obiettivi delle condotte sui quali si fonda il giudizio.
Tale logica motivazionale richiederebbe, dunque, nel caso dell’interdittiva antimafia, (i) l’individuazione dell’autore “mafioso” (come tale intendendosi un soggetto gravato da condanne o procedimenti giudiziari per reati spia) cui attribuire (ii) un’azione diretta specificamente alla realizzazione dell’infiltrazione, nonché (iii) la prova degli atti posti in essere e diretti in modo non equivoco al condizionamento delle scelte dell’impresa.
Alla luce di tale premessa metodologica, ulteriori e più specifiche censure (sempre enucleate nell’ambito del primo motivo di appello) sono indirizzate ad evidenziare la superficialità con la quale il TAR avrebbe affrontato la disamina del ricorso di primo grado, non arrivando a cogliere l’eccessiva enfasi riposta dalla Prefettura di Reggio Calabria sugli elementi raccolti in relazione al sig. -OMISSIS–OMISSIS- ed accettando l’esasperato risalto ad essi attribuito sul piano della significatività e rilevanza indiziaria.
5.1.I) In particolare, è censurata come ingiusta la valorizzazione operata dalla Prefettura della sentenza n.-OMISSIS-del Tribunale di Reggio Calabria, sia perché relativa ad un procedimento penale (n. -OMISSIS-) che non vedeva implicato lo -OMISSIS- e che, comunque, si è concluso con una pronuncia di proscioglimento di tutti gli imputati; sia perché carente di elementi attestanti l’esercizio di un’azione idonea a condizionare le scelte imprenditoriali dell’azienda appellante.
5.1.II) Anche la valorizzazione operata dalla Prefettura di Reggio Calabria dei rapporti parentali del sig. -OMISSIS–OMISSIS- con i sigg.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-, viene censurata come errata e ingiusta.
Nella informativa, infatti:
– di -OMISSIS-, suocero di -OMISSIS-, si dice che <<è zio di -OMISSIS–OMISSIS- … ferito nell’attentato dinamitardo nel quale ha peso la vita -OMISSIS- …, che aveva avvicendato nel comando della cosca mafiosa … il suocero -OMISSIS–OMISSIS->>;
– di -OMISSIS-, ex cognato dello -OMISSIS-, che <<risulta condannato per associazione di tipo mafioso, nonchè inserito nella cosca “-OMISSIS—OMISSIS->>.
Nondimeno, l’appellante evidenzia come tra il sig. -OMISSIS–OMISSIS- ed il sig. -OMISSIS–OMISSIS- non vi sia alcun legame familiare e come i due non si siano mai visti; quanto a -OMISSIS-, è vero che è stato sposato con la cognata del sig. -OMISSIS-, ma, si fa per contro rilevare, alla data di adozione della informativa antimafia per cui è causa egli era già divorziato dalla stessa da ben 4 (quattro) anni, e da 18 (diciotto) anni è in stato di reclusione. Inoltre, il pregresso rapporto di lavoro instaurato con lo stesso dal sig. -OMISSIS- è avvenuto su autorizzazione del Giudice nell’ambito di un progetto di recupero di soggetti da riabilitare, sicché lo stesso non assume la pregnanza sintomatica assegnatagli dalla Prefettura.
5.1.III) Errata e ingiusta risulterebbe anche la valorizzazione operata dalla Prefettura di Reggio Calabria delle diverse frequentazioni intrattenute dal sig. -OMISSIS–OMISSIS- con soggetti controindicati.
Si tratta infatti di contatti resi inevitabili dal ristretto ambito territoriale e dal contesto culturale tipico dell’area in questione, che rende pressoché inevitabile l’instaurazione di conoscenze e rapporti tra concittadini, soprattutto se alimentati da convergenze di interessi professionali e commerciali.
Con riferimento alle singole frequentazioni, osserva la parte appellante che la conoscenza con il sig. -OMISSIS–OMISSIS- risale agli anni 80/90, ma non ha mai assunto specifica consistenza, posto che il sig. -OMISSIS–OMISSIS- ha condotto una vita defilata per circa 15 (quindici) anni e, dopo un lunghissimo periodo di latitanza, è stato arrestato ed è tuttora detenuto.
Con i sigg.ri -OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS- il sig. -OMISSIS–OMISSIS- non ha intrattenuto “frequentazioni” ma meri rapporti professionali aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori o la fornitura di beni per l’attività aziendale della -OMISSIS-.
Scarse sarebbero state le occasioni di incontro con il sig. -OMISSIS-, tali quindi da non assurgere alla consistenza di una vera e propria frequentazione.
Quanto al sig. -OMISSIS-, commercialista e custode giudiziario più volte nominato dal Tribunale di Reggio Calabria, egli è stato tesserato e cliente dello stabilimento gestito dalla -OMISSIS-: di qui la ragione della conoscenza con lo -OMISSIS-; mentre quella con il sig. -OMISSIS-non potrebbe nemmeno definirsi una vera e propria conoscenza, atteso che tra lo stesso ed il sig. -OMISSIS–OMISSIS- ci sarebbe stato un solo incontro.
5.1.IV) Infine, assolutamente errata e ingiusta sarebbe la valorizzazione operata dalla Prefettura di Reggio Calabria delle presunte condanne riportate nel 2005 dai sigg.ri -OMISSIS-e -OMISSIS-per violazione della normativa comunitaria sui rifiuti pericolosi e imballaggi in concorso, nonché nel 2008 e nel 2011 dal sig. -OMISSIS-rispettivamente per violazione delle norma in materia ambientale e per violazione degli artt. 54 e 1161 del C.N..
In proposito osserva la parte appellante che la sentenza di condanna emessa nel 2005 ha avuto come unico destinatario il sig. -OMISSIS–OMISSIS-, fratello defunto dei sigg.ri -OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-, ma non già questi ultimi; e che, per quel che invece attiene alle violazioni delle norme ambientali e degli artt. 54 e 1161 c.n. asseritamente commesse dal sig. -OMISSIS–OMISSIS-, a carico di quest’ultimo sussistono soltanto mere sanzioni amministrative e non già pronunce di condanna. Oltretutto dette sanzioni sono state impugnate dinanzi alle competenti autorità giudiziarie con ricorsi ancora sub iudice. Per il resto, a carico dei due soci -OMISSIS- non risultano emesse condanne penali o misure di prevenzione.
5.1.V) Assolutamente errata ed ingiusta sarebbe la significatività negativa conferita dalla Prefettura di Reggio Calabria alla cessione di ramo d’azienda tra la società -OMISSIS-Il contesto temporale nel quale detta operazione è avvenuta – un anno prima dell’adozione dell’informativa antimafia de qua – denoterebbe, al contrario, come la suindicata cessione abbia costituito il frutto di una serena e trasparente decisione di scorporare alcune attività per rendere autonomi i fratelli -OMISSIS–OMISSIS-.
5.2. Con un secondo motivo di appello, viene contestato il riconoscimento del carattere sostanzialmente dovuto delle revoche delle autorizzazioni e licenze, nonché del contributo pubblico, disposte rispettivamente dal Comune di Reggio Calabria e dall’Amministrazione regionale.
A detta dell’appellante, l’art. 94 comma 1 del Codice antimafia prevede che l’amministrazione abbia l’obbligo di recedere dal contratto solo nel caso di impresa aggiudicataria di contratto di appalto pubblico, mentre tale norma non è applicabile nei confronti di società che non abbiano in corso contratti di fornitura e servizi alla P.A. ma che siano solo titolari di licenze commerciali. A sostegno di tale affermazione viene richiamato il terzo comma del citato art. 94 il quale individua le eccezioni alla regola posta dal primo comma e delle quali dovrebbe beneficiare anche l’operatore economico semplice titolare di licenze commerciali e/o autorizzazioni.
5.3. Con un terzo motivo l’appellante lamenta la sospetta contrarietà dell’assetto normativo (artt. 67, 83, 84 e 91 d.lgs. 159/2011) e interpretativo invalso nella materia della interdittiva antimafia, rispetto a numerosi principi della Carta Costituzionale (13, 25, 41, 97 e 117 comma 1), della CEDU (artt. 1, 5, 7, 14, 17), del relativo protocollo n. 4 (art. 2) e del TFUE (artt. 2, 4, 5, 27, 49, 50, 56, 57, 58, 59, 67, 68, 69, 81, 82, 83, 84). In relazione ai segnalati profili di contrasto, la stessa appellante invoca la formulazione di una questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, la proposizione di una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ovvero, in via ulteriormente subordinata, la rimessione del contrasto giurisprudenziale al giudizio nomofilattico dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato.
6. Per resistere alle istanze avversarie si sono costituiti nel presente giudizio il Ministero dell’Interno, la Regione Calabria e il Comune di Reggio Calabria.
7. In assenza di istanze cautelari, espletato lo scambio di memorie ex art. 73 c.p.a., la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 5 aprile 2018.
DIRITTO

1. E’ principio condiviso da questo Collegio e al quale si ritiene debba darsi continuità, quello secondo cui il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’interdittiva prefettizia deve dar conto, in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole della effettiva sussistenza di tale rischio (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4657/2015; n. 1328/2016; n. -OMISSIS-; n. 4295/2017).
1.1. La enunciata regola causale del “più probabile che non” integra un criterio di giudizio di tipo empirico-induttivo, che ben può essere integrato da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.
1.2. Sul significato di questa regola di giudizio, quanto al grado di incisività probatoria rispetto alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio, fornisce elementi di chiarimento la pronuncia di questa sezione del 26 aprile 2017, n. 1923 (al pari della analoga n. 3173 del 28 giugno 2017).
1.3. Il precipitato applicativo di quanto sin qui esposto sta nell’affermazione per cui l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2342/2011; n. 5019/2011; n. 5130/2011; n. 254/2012; n. 1240/2012; n. 2678/2012; n. 2806/2012; n. 4208/2012; n. 1329/2013; sez. VI, n. 4119/2013; sez. III, n. 4414/2013; n. 4527/2015; n. 5437/2015; n. 1328/2016; n. 3333/2017).
1.4. Siffatta impostazione è stata più volte riconosciuta come intrinsecamente coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 115/2015; n. 5437/2915).
1.5. Rispetto a questo quadro di principi, anche la pronuncia del CGA n. 257/2016 non evidenzia punti di apprezzabile divergenza (mentre non è pertinente il richiamo alla sentenza del CGA n. 379/2017, in quanto riferita in modo specifico alla diversa tematica della cessione di quote tra società attinte da indizi di contiguità mafiosa).
L’illustrazione che ne propone l’appellante va tuttavia completata, in quanto accanto alla fattispecie del “tentativo di infiltrazione” (descritta negli elementi costitutivi soggettivi e oggettivi richiamati nella premessa in fatto di questa pronuncia), il Consiglio di Giustizia Amministrativa dà atto della più ampia ed elastica congerie di fattori indizianti, sia di tipo oggettivo che soggettivo, sussumibili a fondamento della informativa antimafia (par. 1.2.7); e – per venire alla tematica specifica qui di maggiore interesse – pur disconoscendo la valenza sintomatica della frequentazione meramente “casuale” ovvero del mero “sospetto soggettivo”, la pronuncia n. 257/2016 espressamente riconosce la possibilità che il pericolo della sussistenza di infiltrazioni mafiose possa “essere desunto, in ultima analisi, anche dal fatto che soci e/o amministratori dell’impresa o della società soggetta a controllo “frequentano” soggetti mafiosi o presunti tali (rectius: che siano qualificabili, in senso tecnico, mafiosi o presunti mafiosi)” (par. 1.2.8).
Tale affermazione viene tuttavia corredata da una serie di condivisibili cautele applicative che devono assistere l’impiego di tale materiale indiziario, sottolineandosi in proposito come “in tal caso le presunzioni dovranno essere gravi, precise e concordanti. Non è sufficiente, al riguardo, affermare nel provvedimento interdittivo che un determinato soggetto è stato “notato” accompagnarsi con un soggetto malavitoso. Occorrerà precisare la ragione tecnica per la quale quest’ultimo va considerato mafioso (nel senso tecnico fin qui indicato; e non già nel significato sociologico e non giuridico che il termine spesso assume); le circostanze di tempo e di luogo in cui è stato identificato; e le ragioni logico-giuridiche per le quale si ritiene che si tratta non di mero incontro occasionale (o di incontri sporadici), ma di “frequentazione” effettivamente rilevante (ossia di relazione periodica, duratura e costante volta ad incidere sulle decisioni imprenditoriali)”.
1.6. A margine del ragionamento condotto dal CGA va ribadito (quanto ricavabile dalle stesse premesse poste nella pronuncia in esame, n. 257/2016, e cioè) che il presupposto rilevante ai fini della emissione dell’interdittiva prefettizia è il “rischio di infiltrazione” (che precede il “tentativo di infiltrazione”); e che detto rischio può essere desunto da una valutazione complessiva del quadro indiziario (secondo un criterio di concordanza degli indizi), nel quale i singoli dati, in sé non pienamente significativi, possono acquisire una apprezzabile valenza sintomatica.
1.7. Integrata da questi corollari, peraltro autoevidenti e del tutto coerenti con le premesse argomentative poste nella stessa pronuncia, la sentenza del CGA n. 257/2016 finisce con il porsi su una linea logico-argomentativo non difforme dall’orientamento espresso da questa stessa sezione (cfr., di recente, n. 3173 del 28 giugno 2017 e n. 6178 del 29 dicembre 2017), nel quale è costante l’affermazione secondo cui “sul punto (della rilevanza delle relazioni familiari ai fini della prevenzione antimafia: n.d.e.) vanno evitate soluzioni aprioristiche, essendo detto rapporto il dato storico che forma la premessa minore di un’inferenza calibrata sulla regola (massima d’esperienza) secondo cui i vincoli familiari, espongono il soggetto all’influenza del terzo. Ma l’attendibilità dell’inferenza dipende anche da una serie di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce”.
1.8. Non divergenti, nella sostanza, risultano le enunciazioni di poco antecedenti contenute nella pronuncia Cons. Stato, sez. III, n -OMISSIS- (portata dalla parte appellante ad esempio di un filone giurisprudenziale contrastante con quello siciliano), secondo le quali la Prefettura può valutare la sussistenza del rischio di infiltrazione dai rapporti di conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti controindicati, quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità.
Nella sentenza si precisa infatti che:
– “Se di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le ‘frequentazioni’ di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione”:
– “Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del «più probabile che non», che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi”.
1.9. Resta dunque confermato che i contatti con soggetti controindicati – ove riguardati nella loro pluralità e globalità e inquadrati nel contesto economico-sociale di riferimento – proprio in base alla regola causale del “più probabile che non” possono anche determinare un quadro indiziario univoco e concordante, avente, indipendentemente dalle eventuali vicende giudiziarie penali, valore sintomatico del concreto ed attuale pericolo di permeabilità a infiltrazioni mafiose della gestione dell’impresa esaminata.
1.6. Su questo assunto – con le precisazioni innanzi segnalate e pur nella sfumatura degli accenti con i quali la stessa tematica viene illustrata nei richiamati precedenti – il Collegio non ravvisa un effettivo contrasto interpretativo all’interno della giustizia amministrativa, meritevole di essere sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria.
2. Venendo al proprium della informativa oggetto di appello, non vi è dubbio che la stessa trovi il specifico fondamento nella fitta rete di frequentazioni e contatti sospetti attribuiti ad uno dei soci della società appellante; e che la concludenza sintomatica di tale compendio indiziario sia coerente con i richiamati principi di diritto, dovendosi in tal senso considerare che:
– non è contestata la connotazione “mafiosa” dei diversi personaggi con i quali lo -OMISSIS- è entrato in contatto (-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-,-OMISSIS-);
– il numero dei personaggi controindicati, inseriti nell’orbita delle frequentazioni dello -OMISSIS-, è oggettivamente considerevole e alcuni di tali soggetti sono riconosciuti come appartenenti a “cosche” (quella dei -OMISSIS- e degli -OMISSIS-) o “famiglie ‘ndranghetistiche” (-OMISSIS-) – secondo quanto riportato nella pronuncia n.-OMISSIS-del Tribunale Penale di Reggio Calabria (fonte qualificata in materia);
– è altresì incontestato che con tali personaggi lo -OMISSIS- sia entrato in interazioni dirette e personali;
– trattasi, peraltro, di contatti non casuali, come si evince dalla particolare condizione di luogo nella quale gli stessi si sono svolti (gli Uffici della -OMISSIS-, per quanto concerne la conversazione intercettata; la sede dell’esercizio commerciale della famiglia -OMISSIS-), oltre che dalla concomitanza di interessi professionali o commerciali che, per stessa ammissione della parte appellante, li ha di volta in volta motivati;
– a comprova del carattere niente affatto occasionale, sporadico o anodino di tali contatti, nella già richiamata sentenza n.-OMISSIS-del Tribunale di Reggio Calabria -OMISSIS- -OMISSIS-viene definito come “imprenditore dai radicati legami con la criminalità mafiosa cittadina” in “collegamento .. con ambienti e personaggi di provata connotazione mafiosa, verso i quali egli mostra particolare dimestichezza e familiarità”;
– la conseguente inferenza, dal complesso di elementi sin qui sunteggiati, di un concreto rischio di permeabilità dell’azienda a influenze criminali, appare quindi plausibile e sufficientemente supportata.
2.1. Rispetto a questo apparato indiziario, i rilievi svolti dalla parte appellante risultano, al contrario, di scarsa consistenza, in quanto:
– la posizione di socio al 50% dell’impresa, rende lo -OMISSIS- soggetto in grado di incidere sulle scelte dell’impresa, pur non essendone l’amministratore;
– di contro, è poco significativa l’estraneità dello Scarmuzzino alla vicenda penale conclusasi con la sentenza n.-OMISSIS-del Tribunale di Reggio Calabria, ovvero l’esito assolutorio che ne è conseguito per i soggetti imputati, in quanto, contrariamente a quanto sembra lamentare l’appellante, la Prefettura ha attribuito rilevanza alla suddetta sentenza penale non quale provvedimento giurisdizionale dal quale desumere, direttamente ed immediatamente, il rischio di infiltrazione, ma quale elemento utile ad avallare il sospetto di legami dello -OMISSIS- con soggetti di spicco della realtà criminale locale, circostanza questa fortemente indiziante del rischio di infiltrazione alla luce della qualificazione che la stessa sentenza delinea di tali legami;
– risulta quindi del tutto irrilevante la considerazione che lo -OMISSIS- non sia stato imputato in quel procedimento, atteso che se i “radicati legami con la criminalità” non sono idonei, di per sé, a renderlo soggetto che delinque, sono però rilevanti ai fini della dimostrazione del rischio di condizionamento mafioso;
– anche i rapporti parentali dello -OMISSIS- non valgono di per sé soli ad integrare il sintomo del legame con la criminalità organizzata, ma vanno letti unitamente alle ridette assidue frequentazioni;
– sotto questo profilo e per quanto riguarda in particolare la figura del cognato -OMISSIS- (condannato per associazione mafiosa), non è irrilevante il fatto che egli risultasse impiegato presso il locale di pubblico ritrovo gestito appunto anche dallo -OMISSIS-. Si dimostra, per tale via, che tra lo -OMISSIS- ed il -OMISSIS-sussisteva qualcosa di più di un mero rapporto di parentela; mentre appare assai debole il tentativo di ridimensionare la rilevanza di tale dato, con l’argomento secondo cui il rapporto di lavoro fu instaurato su autorizzazione del Giudice e nell’ambito di un progetto di recupero di soggetti da riabilitare. Nessuna di tali circostanze, infatti, smentisce la sostanza del rapporto personale esistente tra i due soggetti;
– parimenti deboli appaiono i tentativi della parte appellante di attenuare la valenza sintomatica delle ulteriori frequentazioni attribuite allo -OMISSIS-, da un lato facendole risalire a legami di vecchia data (come con -OMISSIS–OMISSIS-), la cui risalenza nel tempo, tuttavia, non toglie rilievo al fatto che gli stessi legami si siano protratti immutati nel tempo; dall’altro lato, riconducendole a “meri rapporti professionali” (come con gli altri membri della famiglia -OMISSIS- e con -OMISSIS-), come se la comunanza di interessi professionali o commerciali avesse quale rilievo esimente (e non piuttosto aggravante) in ordine alla significatività delle contestate interessenze;
– quanto poi alla cessione del ramo d’azienda ai figli conviventi, il fatto che la stessa sia avvenuta un anno prima dell’informativa, costituisce circostanza irrilevante ai fini della legittimità dell’informativa, perché ciò che la vicenda evidenzia non è che la cessione sia avvenuta per eludere la normativa antimafia, ma che la cessione non ha comportato, in realtà, alcuna dismissione di attività imprenditoriale da parte della famiglia -OMISSIS-: è cambiato solo il “nome” della società titolare dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande (passato dalla -OMISSIS-), ma l’attività è e resta attività riconducibile alla famiglia -OMISSIS-;
– quanto infine alla incensuratezza dei due soci, occorre rimarcare che la formale correttezza dell’attività imprenditoriale è, di per sé, insuscettibile di sottrarre quest’ultima al pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata, la quale è adusa ed interessata ad investire i proventi delle proprie pratiche illecite in imprese operanti secondo criteri di regolarità esteriore, proprio al fine di superare i controlli svolti dagli organi all’uopo deputati e così salvaguardare le proprie ricchezze.
2.2. Per tutti i motivi sin qui esposti, il primo motivo di appello non può trovare accoglimento.
4. Infondata è anche la seconda doglianza, stando alla quale l’informativa antimafia non può condurre all’inibizione del rilascio di autorizzazioni e licenze e di contributi pubblici.
4.1. Sul punto questo Consiglio di Stato ha già chiarito – sia in sede consultiva (con il parere della sez. I, 17 novembre 2015, n. 497), sia soprattutto, in sede giurisdizionale (con le sentenze della sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565 e 8 marzo 2017, n. 1109) – che anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia e che è pertanto superata la rigida bipartizione e la tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.
4.2. Nel parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 3088 del 17 novembre 2015, si è in particolare evidenziato che “le perplessità di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni – con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in ipotesi di attività soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche”.
4.3. Il chiaro indirizzo ermeneutico seguito dal Consiglio di Stato ha trovato poi l’autorevole conforto della Corte costituzionale che, nel respingere la questione di costituzionalità sollevata dal T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha chiarito, nella recente sentenza n. 4 del 18 gennaio 2018, che «nel contesto del d.lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza quindi a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l’informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all’art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito».
4.4. Peraltro, i dubbi circa la ragionevolezza di una anticipazione della soglia di tutela preventiva anche nell’ambito dell’economia privata (al quale afferiscono i titoli autorizzatori all’esercizio di attività commerciali), oltre che nel settore dei rapporti contrattuali con la PA (oggetto privilegiato dell’informativa antimafia), si rivelano malriposti proprio in relazione a fattispecie, come quella qui in esame, in cui l’interesse pubblico esige di evitare l’erogazione di finanziamenti in favore di imprese attinte da concreti indizi di vicinanza alla criminalità organizzata.
4.5. Come di recente ribadito sul punto dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (nella decisione n. 3 del 6 aprile 2018):
– il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione riconducibili a quanto disposto dall’art. 67 d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247);
– ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. g) del d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, è quindi preclusa al soggetto colpito dall’interdittiva antimafia ogni possibilità di ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, stante l’esigenza di evitare ogni “esborso di matrice pubblicistica” in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali.
5. Con riguardo al terzo motivo di appello e a suffragio della compatibilità dell’istituto dell’informativa interdittiva antimafia ex artt. 84, comma 4, lett. e, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, con le garanzie fondamentali della persona, del suo patrimonio e della sua attività imprenditoriale, sancite dalla CEDU e della Costituzione – militano le stesse considerazioni formulate da questa Sezione con le pronunce n. 565/2017, n. 672/2017, n. 1080/2017 e n. 1109/2017, sia pure con riguardo alla distinta questione di legittimità costituzionale dell’art. 89 bis del d.lgs. 159/2011 (come già ricordato, di recente ritenuta infondata da Corte Cost. n. 4/2018).
5.1. A conferma ed integrazione delle considerazioni già svolte nei citati precedenti, si rileva:
– la non pertinenza del richiamo agli artt. 13 e 25 Cost, in quanto riferiti a profili di libertà personale, in alcun modo pregiudicati dall’istituto dell’informativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2018, n. 1408; id., 3 ottobre 2017, n. 4613);
– la manifesta infondatezza del profilo di contrasto con l’art. 41 Cost (oltre che con l’art. 97 Cost. sotto il profilo del contraddittorio procedimentale) per le ragioni già espresse nella pronuncia di questa stessa sezione n. 1109/2017 (cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2017, n. 4613);
– la manifesta infondatezza del profilo di contrasto, per il tramite dell’art. 117 Cost., con gli artt. 1, 5, 7, CEDU e 2 del protocollo 4, nonché con gli artt. del TFUE riferiti ai diritti di libertà personale e di circolazione, oltre che di stabilimento e di prestazione di servizi all’interno dello spazio comunitario – in quanto disposizioni poste a presidio di prerogative che l’interdittiva antimafia non pregiudica. A ciò aggiungasi che:
– le libertà imprenditoriali in esame costituiscono estrinsecazione del più generale diritto di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), sicché su di esse riverberano le considerazioni già innanzi formulate con riguardo al ragionevole bilanciamento perseguito dallo strumento dell’informativa tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socio-economico dagli inquinamenti mafiosi;
– nell’atto di appello qui in esame non si fornisce specificazione di quale sarebbe il concreto punto di interferenza dell’informativa con le libertà di circolazione e di libero stabilimento, che in sé, si ribadisce, non subiscono dirette limitazioni per effetto della interdittiva prefettizia.
5.2. Quanto al parallelo istituito dalla parte appellante con la pronuncia della Corte EDU del 23 febbraio 2017 “De Tomaso/ Italia”, sotto il profilo della indeterminatezza dei presupposti applicativi della misura interdittiva, se ne rileva l’inconferenza, atteso che la pronuncia richiamata si riferisce alle sole misure di prevenzione personali (in ipotesi di c.d. pericolosità generica), limitative, come tali, della libertà fondamentale di circolazione di cui all’art. 2 del Protocollo IV alla CEDU, mentre non considera le misure di prevenzione patrimoniali, limitative del diritto fondamentale di proprietà di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU.
Inoltre, le misure di prevenzione personali vagliate nella sentenza De Tommaso non sono specificamente collegate all’indizio di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso; mentre l’informativa interdittiva antimafia – come si è detto – è oggettivamente insuscettibile di comprimere la menzionata libertà fondamentale di circolazione, di stabilimento o di libera prestazione di servizi nel contesto dell’Unione, né il menzionato diritto fondamentale di proprietà, (parzialmente) incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella CEDU, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost. (si veda in tal senso Tar Napoli n. 1017/2018).
Resta da aggiungere che la tipizzazione normativa delle fattispecie legittimanti l’emissione dell’interdittiva e l’interpretazione che la giurisprudenza ha cercato di fornire in questa materia, nello sforzo di “codificarne” i presupposti, a livello pretorio, anche con riferimento alle ipotesi non tipizzate, in modo da renderne prevedibile e compatibile con il dettato costituzionale la portata precettiva, non consentono di estendere tout court al sistema delle misure amministrative antimafia le censure che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha mosso al sistema delle misure di prevenzione personali, nella sentenza De Tommaso c. Italia, per la insufficiente determinazione della fattispecie legale tipica che giustifica l’emissione di tali misure.
5.3. Sulla più complessiva legittimità di un sistema di tutela preventivo ancorato a fattori indiziari e ad una logica di stima probabilistica del rischio, secondo il criterio del “più probabile che non”, occorre ancora ricordare che quest’ultima regola di giudizio si palesa “consentanea alla garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza”, di cui all’art. 27 Cost. , comma 2, cui è ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDU”, in quanto “non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale” ed è “estranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordate” (v., in questi significativi termini, Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19430).
5.4. La stessa Corte di Giustizia UE, in riferimento alla prassi dei cc.dd. protocolli di legalità, ha osservato che “va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico” poiché “il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati” (Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14).
5.5.Va quindi ribadito che la formula ‘elastica’ adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria riviene dalla ragionevole esigenza di bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
6. Per quanto esposto, ravvisata la manifesta infondatezza dei profili di contrasto sollevati in relazione ai diritti di matrice costituzionale ed euro-comunitaria invocati dalla parte appellante, deve concludersi per la definitiva e integrale reiezione dell’atto di appello.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Condanna la parte appellante a rifondere in favore delle parti resistenti costituite le spese di lite, che liquida in complessivi €. 2.000,00, oltre accessori di legge, per ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ………….
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore
Giulia Ferrari, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Pescatore Franco Frattini

IL SEGRETARIO