Premessa. Il decreto legislativo n. 142/2015 ridisegna, in parte, il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Esso introduce importanti novità nel sistema di accoglienza italiano, su profili quali: l’accoglienza delle persone vulnerabili, primi fra tutti i minori, specie se non accompagnati; le procedure di esame delle domande di protezione internazionale; la durata dell’accoglienza nella pendenza di ricorso giurisdizionale; il trattenimento del richiedente.
Nell’ordinamento italiano il diritto d’asilo risulta tema di competenza dell’Unione europea, la quale vi persegue una “politica comune”, mediante un “sistema europeo comune di asilo”. I presupposti di tale sistema sono contenuti nell’art.78 del Trattato di Lisbona. Ebbene, il d. lgs. In questione attua le disposizioni previste da due direttive ispirate da questo articolo, la direttiva 2013/32/UE, recante disposizioni relative alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, e la direttiva 2013/33/UE, la quale disciplina le condizioni materiali di accoglienza, assistenza e reinserimento sociale di coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale o ne hanno fatto richiesta. Queste due direttive, rinominate dal gergo europeista rispettivamente direttiva ‘procedure’ e direttiva ‘accoglienza’, contribuiscono a rinnovare il pacchetto di norme comunitarie disciplinanti il Sistema europeo di asilo.
Il sistema di accoglienza in Italia. In estrema sintesi, si articola su 3 livelli: primissima, prima e seconda accoglienza.
In primissima battuta vi sono i Centri di primo soccorso e accoglienza. I migranti vi soggiornano il tempo strettamente necessario: qui ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale, prima di essere trasferiti alla prima accoglienza. Questa si realizza nei Centri di accoglienza (CDA) o nei Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA). Talora una medesima struttura esercita ambedue le funzioni, talché una netta distinzione non è agevole. In linea teorica, tuttavia, i primi sarebbero funzionali ad un’operazione di accertamento sulla regolarità della permanenza dello straniero in Italia, mentre i secondi dovrebbero accogliere i richiedenti protezione internazionale durante la fase dedicata all’espletamento delle procedure relative al riconoscimento dello straniero stesso.
La fase della seconda accoglienza ed integrazione si instaura ad opera del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Il sistema, costituito su base volontaria da una rete di enti locali realizza, in forma decentrata e con l’ausilio di enti del terzo settore, una forma di accoglienza ‘integrata’, ossia non limitata alla distribuzione di vitto e alloggio ma estesa a misure di formazione, assistenza e orientamento, anche al fine di tracciare percorsi individuali di inserimento socio-economico nella società italiana.
Diversa funzione hanno i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ove sono collocati gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non facciano richiesta di protezione internazionale o non ne abbiano i requisiti.
I contenuti del decreto legislativo n. 142 del 2015. L’articolato del decreto legislativo si suddivide in tre Capi.
Il Capo I (artt. 1 – 23) reca le disposizioni di recepimento della direttiva dell’Unione europea n. 33 del 2013 (cd. direttiva ‘accoglienza’), relativa alle condizioni dell’accoglienza per i richiedenti protezione internazionale.
I primi due articoli del testo fungono da ‘introduzione’ al Capo I, dato che si occupano di finalità ed ambito applicativo (art. 1) e definizioni (art. 2). Viene ampliata, tramite l’articolo 1, la definizione di territorio nazionale anche alle zone di confine e alle acque territoriali.
I successivi 3 articoli danno informazioni generali e di carattere burocratico circa l’effettività del diritto di informazione dello straniero richiedente sui propri diritti e doveri (art.3), relative al domicilio del richiedente asilo durante l’espletamento della procedura di esame della domanda (art.5) e dei documenti provvisori che vengono forniti loro in questo periodo (art.4). Se i primi due innovano poco o nulla la normativa vigente, l’articolo 4 opera invece un innalzamento della durata del permesso di soggiorno per richiedenti asilo da 3 a 6 mesi.
Gli articoli 6 e 7 recano disposizioni circa un argomento delicatissimo, ovvero la temporanea privazione della libertà tramite detenzione amministrativa, sotto forma di trattenimento, dei richiedenti asilo e le condizioni a cui questo può avvenire. In particolare rileva il lunghissimo articolo 6, il quale postula innanzitutto che il trattenimento, disposto dal questore tramite atto scritto e motivato, avvenga unicamente nei CIE, finché ne sussistano i motivi e per il tempo strettamente necessario ad esaminare la domanda di protezione internazionale (due mesi, prorogabili di altri tre e di un altro mese in casi eccezionali; misure triplicate in caso di manifesta infondatezza della domanda). Esso è applicabile a tutti i richiedenti protezione internazionale i quali: abbiano commesso un grave crimine di diritto comune al di fuori dei confini italiani, un crimine contro l’umanità, contro la pace o di guerra; siano già stati colpiti da provvedimento di espulsione; siano fondatamente sospettati di favorire organizzazioni terroristiche; possano rappresentare un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica; sussista un fondato rischio di fuga. In sintesi, si può dire che l’applicazione del trattenimento risulta più estesa rispetto alla precedente normativa.
Questi imperativi sono mitigati dalle garanzie previste dall’articolo 7 il, quale dispone che il trattenimento non sia lesivo della dignità dei richiedenti asilo, sia compatibile con le loro condizioni di salute, consenta loro visite da parte di alcune categorie espressamente previste, fatta salva l’ipotesi di limitare e/o escludere tali prerogative per ragioni di pubblica sicurezza, ordine pubblico od esigenze amministrative.
Un altro gruppo di articoli molto rilevante e incisivo sul reale funzionamento dell’intero impianto è costituito dal blocco che va dall’articolo 8 al 16 dell’articolato, i quali sono dedicati ad una parziale riformulazione del sistema di accoglienza e dei centri che lo compongono.
Se l’articolo 8 funge da mero collante fra i vari livelli di accoglienza, ricordando la necessità di collaborazione fra i livelli di governo interessati, con l’articolo 9 il legislatore propone la riconversione degli attuali CARA e CDA: la nuova normativa precisa che “L’accoglienza è limitata al periodo di tempo necessario per completare l’identificazione se non ultimata precedentemente, verbalizzare la domanda, avviare le procedure concernenti l’esame, svolgere le visite mediche, verificare le condizioni di particolare vulnerabilità” (vedi sul punto il dossier del servizio studi della Camera).
L’articolo 10 elenca invece i principi ai quali si devono improntare tali centri di accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo: il rispetto della sfera privata, delle esigenze imposte da età e salute e la salvaguardia dei vincoli familiari più stretti; la libera circolazione nelle ore diurne; la possibilità di accesso a parenti, rappresentanti legali e dell’UNHCR e la possibilità di comunicare con essi.
L’articolo 11 dispone riguardo le strutture temporanee da utilizzare nei casi di flussi molto intensi e ravvicinati, mentre il 12 compie un riepilogo del nuovo sistema di accoglienza così come modificato dal testo in esame ed il 13 delinea la posizione di coloro i quali si allontanano ingiustificatamente dai centri.
Le nuove funzioni della rete SPRAR, la quale si trasforma da importante risorsa a strumento cardine nel sistema di accoglienza italiano, configurandosi come il centro ricettivo ordinario per coloro che abbiano ricevuto protezione, sono invece disciplinate dagli articoli che vanno dal 14 al 16, comprese le modalità di accesso al sistema (art. 15) e le forme di coordinamento fra i vari livelli di governance dell’accoglienza (art. 16), al cui vertice è previsto un Tavolo di coordinamento nazionale.
Altro blocco di articoli estremamente importante ed innovativo rispetto alla precedente normativa, nel senso dell’estensione di diritti e soprattutto nei riguardi delle categorie più deboli, è quello contrassegnato con numeri dal 17 al 19. Se l’articolo 17, così come modificato, inserisce nuove categorie fra quelle considerate vulnerabili (le vittime della tratta di esseri umani, le persone afflitte da gravi malattie o disturbi mentali e le vittime di mutilazioni genitali) e ne prevede specifici percorsi di recupero, è proprio l’inserimento degli articoli 18 e 19 la maggiore innovazione in questo senso. Questi articoli infatti si inseriscono in una politica che, se da un lato non vuole perdere di vista le garanzie offerte agli adulti, dall’altra si rende conto che i minori necessitano di forme di garanzia ancora più incisive ed efficaci: in questo alveo sono stati concepiti l’articolo 18, il quale sancisce anche in tema d’asilo il “carattere di priorità del superiore interesse del minore che costituisce criterio guida nell’applicazione delle misure di accoglienza” e soprattutto l’articolo 19, il quale definisce la posizione dei minori non accompagnati, ovvero una categoria ancora più bisognosa, se possibile, di cure e attenzioni.
L’articolo 20 rafforza i meccanismi di controllo e monitoraggio del buon funzionamento di tale sistema, mentre gli articoli 21 e 22 si occupano di assistenza sanitaria ed istruzione dei minori il primo e di lavoro e formazione professionale il secondo, rimanendo in buona sostanza invariati. L’articolo 23 tratta il tema della revoca delle condizioni di accoglienza, mentre spetta al successivo articolo dare atto all’abrogazione del precedente dispositivo normativo.
Il Capo II (artt. 25 – 27) reca le disposizioni di recepimento della direttiva dell’Unione europea n. 32 del 2013 (cd. direttiva ‘procedure’), relativa alle procedure circa l’ottenimento o la perdita della protezione internazionale. In particolare, l’articolo 25 introduce nell’ordinamento le nuove procedure così come stilate nella direttiva ‘procedure’, mentre gli articoli 26 e 27 sono dedicati, rispettivamente, all’aggiornamento dei riferimenti normativi e alle controversie nel riconoscimento della protezione internazionale.
Il Capo III (artt. 28 – 30) reca le disposizioni finali, tra le quali la più volte citata clausola di invarianza finanziaria rispetto agli stanziamenti previsti, il trasferimento da un atto all’altro degli obblighi finanziari e le condizioni di entrata in vigore del testo.
Le novità introdotte dal decreto legge n. 13 del 2017. Recentemente, importanti cambiamenti sono intervenuti a modificare il testo del d. lgs 28/2008, il quale attua la direttiva 2005/85/CE c.d. procedure, ovvero uno dei testi sui quali si innestano le norme contenute nel dispositivo qui in analisi. Tali modifiche sono state introdotte dal cd d.l. Minniti (ora legge n. 46 del 2017), e riguardano l’art. 11 sugli obblighi dei richiedenti asilo, gli art.12 e 14 disciplinanti il colloquio personale, il 32, 33 e 35, rispettivamente sulla decisione della Commissione territoriale, la revoca e la cessazione della protezione internazionale riconosciuta e i casi di impugnazione delle decisioni della Commissione territoriale.
Lo stesso strumento legislativo ha apportato sostanziali modifiche al d. lgs. 142/2015, in particolare all’art. 4, in tema di documentazione rilasciata, e all’art. 14, riguardante il sistema SPRAR. Le più importanti e gravose modifiche a questo strumento sono state invece introdotte tramite l’emendamento dell’art. 6, riguardante le modalità, i tempi ed ogni singolo aspetto afferente al trattenimento del migrante e la possibilità (art. 22 bis), su base volontaria, di coinvolgere i richiedenti protezione internazionale in attività di utilità sociale.
Per ulteriori approfondimenti vedi il dossier del Servizio Studi della Camera.
(Ultimo aggiornamento aprile 2017)
(a cura di Francesco Casella – Master in analisi, prevenzione e contrasto della corruzione e della criminalità organizzata – anno 2016 – Università di Pisa)