Premessa. La direttiva 2001/55/CE, meglio conosciuta come direttiva protezione temporanea, si occupa di garantire almeno un livello minimo di protezione a coloro che rispondono alla definizione di “sfollato” (inserita nell’art. 2 del testo), la quale risulta più ampia rispetto a quella di rifugiato, in caso di ingenti afflussi di questa categoria di individui. Questo strumento si propone, inoltre, di regolare l’equilibrio dello sforzo di accoglienza fra gli Stati membri, di modo che gli Stati riceventi i flussi non siano lasciati da soli nella gestione dell’emergenza. Entrata nell’ordinamento italiano tramite il decreto legislativo n. 85 del 2003, questa direttiva nacque con l’intento di fornire una risposta comune al problema degli sfollati kosovari: sostanzialmente si tratta di un meccanismo di ausilio a quegli Stati membri i quali si trovino investiti dalle conseguenze di crisi umanitarie in Paesi terzi e debbano conseguentemente gestire un ingente flusso di migranti. Da notare che questa direttiva si applica a tutti gli Stati membri dell’Unione tranne la Danimarca, la quale ha fatto valere il suo diritto di opt out riguardo a questo strumento.
Contenuti del provvedimento. Il testo della direttiva, ripreso in maniera piuttosto sintetica dal decreto legislativo di recepimento, è introdotto da 26 consideranda, ed è diviso in 34 articoli raggruppati in 9 capi.
Il primo capo (artt. 1- 3), dedicato alle disposizioni generali, consta di 3 articoli e, fra le altre cose, fissa gli obiettivi della direttiva e fornisce le definizioni di alcuni termini chiave, come “sfollato” ed “afflusso massiccio” (questa definizione risulta, tuttavia, piuttosto vaga e lasciata all’interpretazione).
Il successivo capo (artt. 4 – 7) è dedicato alla durata massima dello strumento (art. 4), fissata in 1 anno prorogabile di un ulteriore anno, salvo casi eccezionali, alle condizioni che permettono ad uno Stato di impugnare tale direttiva e l’iter necessario per l’attivazione da essa prevista (art. 5). Gli articoli 6 e 7 si occupano di disciplinare la cessazione della protezione temporanea e le eccezioni previste.
Il capo III (artt. 8 – 16) si occupa di regolare gli obblighi nei confronti dei titolari dello status di protezione temporanea in capo agli Stati membri e dei diritti concessi a tali individui; si tratta perlopiù di una serie di dichiarazioni di principio molto generali ed in linea con quelle espresse in altri testi analoghi, come ad esempio la direttiva qualifiche. A questo capo segue il brevissimo capo IV (artt. 17 – 19), il quale sancisce la possibilità, per i titolari di protezione temporanea, di poter senza alcun discrimine presentare domanda di asilo senza alcun pregiudizio per lo status acquisito, né svantaggi in sede di valutazione della propria domanda.
La fase successiva alla scadenza della protezione temporanea viene regolata dal capo V (artt. 20 – 23), ed in particolar modo il rimpatrio, anche forzato, degli ex titolari dello status di protezione temporanea nel loro Paese di origine. Vengono dedicati alla solidarietà i successivi capi VI (artt. 24 – 26) e VII (art. 27): rimanda ad una non meglio definita “solidarietà comunitaria”, oltre che alla cooperazione fra Stati e con le ONG attive nel settore il primo, mentre il secondo è più specificamente rivolto alla cooperazione amministrativa. L’articolo 26, in particolare, espressa che tale solidarietà non si limita ai versamenti di denaro nel Fondo europeo per i rifugiati, ma obbliga gli Stati membri ad indicare la propria capacità di accoglienza e di cooperare fra di loro in caso di trasferimento della residenza delle persone, previo accordo con le stesse, da uno Stato all’altro, con il conseguente passaggio di responsabilità in capo allo Stato membro di arrivo.
Prima di chiudersi con le disposizioni finali (capo IX, artt. 29 – 34), recanti le condizioni e le date di recepimento ed entrata in vigore della direttiva, il testo aggiunge un capo monoarticolato (capo VIII, art. 28) riguardante le disposizioni specifiche di esclusione dal beneficio della protezione temporanea.
L’attuazione concreta della disciplina. Sebbene nei quasi 15 anni di applicazione di questo strumento le crisi umanitarie dovute ad eventi specifici o a situazioni di gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, e che abbiano quantomeno interessato uno o più Paesi dell’Unione, siano state molte ed eccezionalmente virulente, si deve constatare che i dispositivi inaugurati da questo strumento non siano mai stati utilizzati. Il nostro Paese ha tentato di richiedere la sua applicazione nei primi mesi del 2011, in seguito agli sbarchi provenienti dalla Tunisia, ma il clima di ostilità in seno all’Unione ha fatto sia che tale tentativo venisse abortito. La mancata reiterazione di tale richiesta in risposta alle successive crisi è probabilmente da imputare a tale clima di ostilità, unita ad una sostanziale sfiducia nel sistema di accoglienza italiano, il quale non permetterebbe, a parere dei governanti, di raggiungere la maggioranza necessaria in sede di Consiglio.
(a cura di Francesco Casella, Master in analisi, prevenzione e contrasto della corruzione e della criminalità organizzata – anno 2016 – Università di Pisa)