Premessa. Il decreto legislativo n. 18 del 21 febbraio 2014, in attuazione della legge di delega al Governo per il recepimento di direttive europee e l’attuazione di altri atti comunitari, si occupa di introdurre la disciplina dettata dalla direttiva 2011/95/UE all’interno dell’ordinamento italiano. Il decreto consta di soli 4 articoli, dei quali solo il primo si occupa di introdurre modifiche al decreto legislativo n. 251 del 19 novembre 2007, il quale a sua volta recepiva la direttiva 2004/83/CE c.d. Qualifiche.
La direttiva Qualifiche. Tale direttiva è stata concepita al fine di fissare criteri comuni per l’identificazione delle persone richiedenti protezione internazionale e di assicurare a tali persone almeno un livello minimo di garanzie e protezione in tutti gli Stati membri. L’obiettivo da perseguire per creare il sistema europeo comune di asilo è l’instaurazione di una procedura comune d’asilo e di uno status uniforme valido in tutta l’Unione. Nonostante gli ottimi intenti, probabilmente questo strumento non ha svolto fino in fondo la sua missione, al punto che il 21 ottobre 2009 la Commissione ha stabilito di presentare un proposta di modifica della direttiva qualifiche e della ben più problematica direttiva procedure. Nelle parole della Commissione stessa si evince qual è stato l’input che ha portato a questa decisione: “la valutazione dell’attuazione della direttiva dimostra che, in pratica, pochi Stati membri ricorrono alla possibilità di stabilire differenze fra rifugiati e beneficiari della protezione sussidiaria in termini di contenuti della protezione offerta. D’altro canto, il livello della protezione è diverso nei vari Stati membri, il che influenza i flussi delle richieste di asilo ed è causa di movimenti secondari”.
Il decreto legislativo n. 18 del 2014. La direttiva 2011/95/UE fissa le regole inerenti la possibilità, per cittadini di Paesi terzi o apolidi, di ricevere la qualifica di persona bisognosa di protezione internazionale; essa si propone, inoltre, sia di standardizzare i criteri di demarcazione riguardanti rifugiati e titolari di protezione sussidiaria, che di parificare la protezione effettivamente prestata verso queste due categorie di richiedenti protezione in misura maggiore rispetto al testo precedente. Scendendo nel dettaglio, notiamo che la suddivisione rimane fedele agli altri testi normativi a livello di Unione Europea: i 42 articoli componenti la direttiva sono suddivisi in IX capi, e come di consueto sono preceduti da un elevato numero di consideranda, ben 53.
Il capo I (art. 1- 3) riveste in questo caso un’importanza maggiore al mero compito di cappello introduttivo e definitorio rivestito in altri testi. Sebbene tratti di obiettivi (art. 1) del testo e definizioni (art. 2), sono proprio queste ultime che rivestono un grande interesse, se consideriamo la materia trattata dalla direttiva, ed effettivamente una delle conquiste più rilevanti dell’intero articolato è stato l’allargamento del concetto di famiglia (anche se la Commissione aveva proposto una definizione ancora più ampia). Rilevante anche l’articolo 3, il quale lascia libertà agli Stati di legiferare in senso più ampio rispetto a quanto faccia la direttiva; in tal senso non si parla più di norme minime.
Il capo II (art. 4 – 8) valuta diversi aspetti nella domanda di protezione internazionale. Innanzitutto dispone che sia effettuato, da parte dello Stato ricevente, un accurato esame delle circostanze in cui si trova il richiedente (art. 4), quindi passa ad elencare la lista (esaustiva) dei soggetti individuati come possibili responsabili della persecuzione (art. 6) e coloro che possono offrire protezione internazionale (art.7). L’articolo 8 è una delle fondamenta del testo: esso chiarisce che gli Stati possono escludere chi, in almeno una parte del proprio territorio di origine, abbia accesso alla protezione; questa condizione, tuttavia, è subordinata al fatto che la persona in questione possa legalmente e senza pericolo recarsi e stabilirsi in tale territorio.
I successivi capi (art. 9 – 19) dispongono riguardo i requisiti necessari per essere considerati rifugiati (capo III) e titolari di protezione sussidiaria (capo V) ed i motivi di cessazione ed esclusione dagli stessi, mentre il capo IV e ed il capo VI definiscono, rispettivamente, le condizioni di riconoscimento, revoca cessazione o mancato rinnovo dello status di rifugiato e titolare di protezione sussidiaria.
Altro capo di fondamentale importanza è il numero VII (art. 20 – 35), il quale tratta riguardo il contenuto della protezione internazionale: questo lungo capo muove passi in avanti verso l’equiparazione dello status dei titolari di protezione sussidiaria a quello del rifugiato, soprattutto in materia di occupazione (art. 26), assistenza sanitaria (art. 30) e accesso agli strumenti di integrazione (art. 34). Viene prolungata a due anni la durata del permesso di soggiorno per i beneficiari di protezione sussidiaria e le loro famiglie (contro i 3 proposti dalla Commissione, art. 24) ed in generale vengono riconosciuti alcuni diritti fondamentali come il divieto di respingimento (non refoulement, art. 21), l’unità del nucleo familiare (art. 23), l’accesso all’istruzione (art. 27), all’assistenza sociale (art. 29), all’alloggio (art. 32), alla libera circolazione nel territorio dello Stato ospitante (art. 33), con la previsione di ulteriori accorgimenti per i minori non accompagnati (art. 31).
Il capo VIII richiama alla cooperazione fra Stati prima che il capo XI chiuda l’articolato elencando le disposizioni finali, con recepimento (art. 39), abrogazione (art. 40), entrata in vigore (art. 41) e destinatari di tali obblighi, ovvero gli Stati (art. 42), oltre alla previsione di una relazione della Commissione al Parlamento ogni 5 anni (art. 38).
La direttiva qualifiche del 2004 costituiva uno dei pilastri del sistema europeo di asilo, e, nonostante i problemi elencati nella prima parte di questo testo, era uno degli strumenti meno problematici, talché la sua modifica ha apportato poche novità rispetto al testo originario. Da rilevare che alcune importanti modifiche sono pervenute dalla sua interpretazione, ossia per via giurisprudenziale, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia Europea, ed in special modo dalle sentenze Abdulla e Elgafaj.
(a cura di Francesco Casella, Master in analisi, prevenzione e contrasto della corruzione e della criminalità organizzata – anno 2016 – Università di Pisa)