Premessa. Cittalia e Anci hanno pubblicato anche nel 2016 un Rapporto sulle politiche di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati realizzate dai Comuni. Qui di seguito sono sintetizzati gli aspetti più rilevanti.
Il ruolo dei Comuni. In Italia, con i processi di decentramento (le riforme istituzionali e amministrative che, negli anni Novanta, hanno assegnato ai Comuni un’autonomia sempre maggiore anche nell’ambito delle politiche dei servizi) è aumentato anche il ruolo primario del governo locale all’interno delle politiche migratorie, in particolare nella gestione dell’accoglienza e dell’integrazione sociale sul territorio di fasce particolarmente vulnerabili (profughi, minori non accompagnati e vittime di tratta). Nello specifico, quella dei minori stranieri non accompagnati è una condizione particolarmente difficile perché il loro status li situa all’incrocio di diverse appartenenze giuridiche. Il loro essere minori, stranieri, richiedenti asilo e vittime di tratta, infatti, rende articolato e problematico il rapporto e la relazione fra i diversi rami del diritto.
Il Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati (approvato in Conferenza Unificata il 10 luglio 2014) ha dato il via a un nuovo approccio all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, attribuendo al Ministero dell’Interno la responsabilità dell’organizzazione della loro accoglienza e superando la precedente distinzione tra i minori non accompagnati richiedenti asilo e i non richiedenti asilo. Dai dati rilevati in questi anni e raccolti nei rapporti ANCI precedenti appare sempre più evidente l’impegno delle Amministrazioni nell’accogliere e collocare in luoghi sicuri i minori stranieri non accompagnati. Un impegno che coinvolge non solo i Comuni metropolitani ma che sempre di più interessa i Comuni appartenenti alle fasce demografiche sotto i 100.000 abitanti.
L’arrivo nei centri di accoglienza. Nel 2014 più di un terzo dei minori sono stati accompagnati ai servizi sociali territoriali dalle forze dell’ordine (35%), mentre sono il 15% coloro che sono stati accompagnati direttamente dai parenti e il 10,2% quelli che sono arrivati ai servizi da soli. Le restanti percentuali sono costituite da coloro che vengono accompagnati da connazionali (8,2%), segnalati dal Tribunale o dalla Procura dei minori (8%) e coloro che sono segnalati dalla Prefettura (7,3%). È nella Ripartizione del Centro (41%), del Nord-est (39,8%) e del Nord-ovest (36,4%) che la maggior parte dei minori sono stati accompagnati dalle forze dell’ordine, mentre è al Nord che in prevalenza i minori sono accompagnati da parenti (circa il 50%). Il Sud è invece il territorio nel quale i minori si presentano ai servizi sociali in autonomia.
Composizione e provenienza. La maggior parte dei minori in questione è prossima alla maggiore età e di sesso maschile. Nel 2014, infatti, quasi 6 minori su 10 avevano 17 anni, mentre quasi un quarto 16 anni. Solo l’1% dei 13.523 minori stranieri non accompagnati contattai e/o presi in carico in Italia aveva meno di 10 anni. Abbiamo una netta predominanza maschile (96%) tra i minori stranieri non accompagnati contattati o presi in carico dai servizi sociali dei comuni, molto maggiore rispetto al 2006, dove tra le due annualità si registra una crescita di maschi (109%) e una forte decrescita di femmine (-67,1%). Infatti, la percentuale di presenze femminili ha seguito negli anni una progressiva decrescita.
A livello di provenienza, “nel 2014, considerando le quote più significative, in termini di valori assoluti, prevalgono i minori giunti dall’Africa (8.378), con un incremento del 116% rispetto al 2012. In termini percentuali, un forte incremento è stato registrato anche nella quota di minori giunti dai Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Più dettagliatamente, oltre la metà dei minori proviene da quattro Paesi: Egitto, Bangladesh, Gambia e Albania (53,8%). A questi seguono i minori provenienti da Eritrea (7,5%), Afghanistan (4,9%), Senegal (4,8%), Mali (4,2%), Somalia (3,7%) e Nigeria (3,6%). Questi primi dieci Paesi di provenienza coprono circa l’83% di tutti i minori contattati o presi in carico dai servizi sociali in Italia nel corso del 2014.”
Tipologia di intervento. In merito agli interventi volti alla tutela e all’integrazione, è possibile evidenziare un progressivo aumento dei minori che rimangono all’interno delle strutture di accoglienza nelle quali sono stati collocati dai servizi sociali, riferendosi a un primo semplice indicatore della permanenza costituito dal numero di minori che sono rimasti nelle rispettive strutture per almeno un mese rispetto al totale dei minori accolti. Ma durante il percorso di accoglienza può anche verificarsi la possibilità di affidare il minore a parenti o connazionali per favorirne l’accoglienza in una dimensione familiare, procedendo all’apertura della tutela legale e alla conseguente nomina di un tutore. Nella prima fase dell’accoglienza, i Servizi Sociali territorialmente competenti sono tenuti a segnalare i minori al giudice tutelare affinché vengano avviate le procedure per la nomina di un tutore (un parente, cittadini volontari adeguatamente formati per ricoprire il ruolo di tutori, ecc.). “Nel 2014 il 5,7% dei minori accolti sono stati affidati: di questi, il 25,3% a connazionali, il 23,8% a parenti, il 15,2% a italiani e il 4,8% a stranieri non connazionali. Rispetto al 2013, risulta diminuita l’incidenza sia degli affidi a parenti (dimezzata rispetto al 47,2% del 2013), sia quella degli affidi a connazionali (-5,3 punti percentuali), mentre risultano aumentate quelle degli affidi a italiani (+4,6 punti percentuali) e a stranieri non connazionali (+2,3 punti). Va tuttavia tenuto presente che nel 2014 la percentuale di valori non disponibili è molto alta (30,4%), decisamente più che nel 2013.”
I minori vengono inizialmente accolti in una struttura di prima/pronta accoglienza, e, dopo essersi accertati dell’impossibilità di un affidamento o di un rimpatrio volontario, i Servizi Sociali del Comune elaborano un progetto educativo a lungo termine, individuando la soluzione più idonea in base a ogni caso specifico. “Gli interventi più frequenti in materia di assistenza e protezione predisposti a tutela dei minori soli accolti indicati dai Comuni, sono risultati i colloqui con i minori (11,3%), il collocamento del minore in un luogo sicuro (10,7%), la richiesta di apertura della tutela a favore del minore (10,1%), la segnalazione alla Procura (9,6%), l’iscrizione al Sevizio Sanitario Nazionale (9,3%) e la richiesta del permesso di soggiorno (9,3%).” La somma di queste sei tipologie di interventi corrisponde a oltre il 60% degli interventi realizzati complessivamente negli ultimi due anni. Gli altri interventi che sono stati compiuti riguardano in particolare la segnalazione del minore alla Direzione Generale Immigrazione e Politiche per l’Integrazione, la segnalazione alla Questura, la presa di contatto con la famiglia del minore, le attività volte all’accertamento di età e identità del minore, la richiesta dell’avvio delle indagini familiari e la richiesta di rimpatrio volontario assistito. “Nella fase della seconda accoglienza sono previste diverse forme di accoglienza per il minore: il collocamento presso una comunità, l’affidamento presso famiglie o persone singole, il trasferimento in abitazioni autonome, spesso condivise con altri ragazzi, nelle quali sono sperimentate progettualità fortemente orientate allo sviluppo dell’autonomia. Nella maggior parte dei casi i minori sono accolti in strutture residenziali di tipo familiare e comunità di accoglienza, dove possono rimanere sino al compimento della maggiore età.”
Analizzando le informazioni ricevuto dagli enti locali risulta evidente la presenza dei minori richiedenti o titolari di protezione internazionale tra gli accolti in prima/pronta accoglienza: se nel 2013 era pari all’8,8%, nel 2014 ha raggiunto il 20,3%, segnando un aumento di 11,5 punti percentuali in un solo anno. “Nel 2014 la presenza di richiedenti o titolari di protezione internazionale tra i minori in seconda accoglienza è del 24,3%, mentre nel 2013 era del 13,8%: si è quindi avuto un incremento di 10,5 punti percentuali, in linea con quanto accaduto tra i minori presi in carico accolti in prima/pronta accoglienza.”
L’attività di integrazione. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’inserimento di questi minori non accompagnati nella società. L’intervento più frequente indicato dai Comuni riguarda l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione e insegnamento della lingua italiana (11,1%), la possibilità di usufruire di un mediatore linguistico-culturale (9,9%) e l’inserimento scolastico nella scuola dell’obbligo (9,7%). Complessivamente, questa tipologia di interventi raggiunge oltre il 30% degli interventi di integrazione sociale messi in campo nell’ultimo biennio. Ci sono poi gli interventi che riguardano attività di assistenza primaria e sanitaria del minore, come quelli di utilità quotidiana (igiene personale, fornitura di vestiario, pasti ecc.) (il 10,6%), di tutela della salute (10,2%) e di assistenza psicologica (7,3%). Complessivamente questi interventi raggiungono il 28%. Da segnalare, inoltre, le attività più direttamente indirizzate all’integrazione del minore nella comunità in cui è inserito, come la pratica di attività sportivo-ricreative (9,9%) e le attività che accompagnano il minore prima alla formazione professionale (7,7%) e all’apprendistato (3,6%) e poi all’inserimento lavorativo (4,2%). Infine ci sono gli interventi che provano a collocare il minore in un’altra dimensione dell’accoglienza considerata maggiormente protettiva per il minore stesso, come le attività a sostegno dell’affidamento familiare (4,7%) e i ricongiungimenti con i parenti (4,6%). “Da segnalare poi l’attività di orientamento legale che viene posta in essere per indirizzare ed accompagnare il minore nelle scelte di maggior tutela e programmazione del percorso amministrativo da intraprendere (5,8%).”
(A cura di Giulia Luciani, giornalista pubblicista)