Premessa. La Regione Umbria, con la Legge Regionale 21/2014, ha disciplinato, con l’art. 6, il distanziometro regionale. Attualmente (dopo la modifica introdotta con la Legge regionale 15 giugno 2017, n. 7) in essa si prevede il divieto dell’apertura di sale gioco, di sale scommesse e della nuova collocazione di apparecchi per il gioco lecito in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 mt. rispetto a una serie di luoghi sensibili.

Nel caso di specie, il ricorrente ha presentato dapprima ricorso al TAR, che lo ha respinto (sentenza 433/2021), e quindi appello al Consiglio di Stato, in relazione alla chiusura di un punto scommesse, facendo riferimento alla disciplina previgente rispetto alla modifica del 2017 e lamentando che non si potesse applicare il distanziometro alle sale scommesse (in assenza di una esplicita previsione).

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia 7099/2024, ha confermato la sentenza di primo grado e ha rigettato l’appello.

Sale gioco e sale scommesse. Sostengono i giudici di Palazzo Spada, in particolare, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato è conforme nel ribadire la parificazione tra sale gioco e sale scommesse. In particolare si afferma che “in ambito nazionale, ed in particolare ai fini della tutela della salute (art. 32 Cost.), l’attività di gestione delle scommesse lecite … è parificata alle sale da gioco. (…) Le norme attuative della singola legge regionale, pertanto, devono essere interpretate secondo una interpretazione logica e sistematica e, malgrado le espressioni letterali impiegate, non possono che essere riferite ad entrambe le attività, fonti entrambi di rischi di diffusione della ludopatia”.

Il rischio, continuano ad argomentare i giudici, sarebbe quello di incorrere in “seri dubbi di costituzionalità” anzitutto rispetto al rapporto “con l’art. 32 Cost. e con il diritto alla salute, che ovviamente prevale sul pur rilevante valore dell’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica, ndr), in quanto le attività economiche non possono svolgersi in contrasto con la tutela della dignità umana”.

La non retroattività della disciplina. Il Collegio, infine, respinge l’ipotesi che si possa parlare di retroattività della disciplina: infatti la normativa sul distanziometro si caratterizza, secondo i giudici, per un effetto di conformazione, richiamando in sostanza l’esigenza di uniformare nel tempo le attività in questione (che peraltro si svolgono in un arco di tempo indefinito o comunque non prestabilito).