Premessa. Lo scioglimento delle amministrazioni locali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, introdotto nel nostro ordinamento nel 1991 (decreto-legge n. 164, interamente abrogato), in uno dei momenti più difficili della lotta tra Stato e mafia, ed oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni, è ora compiutamente disciplinato dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali o Tuel (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000).

Si è in presenza di una misura che non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo di carattere straordinario, in quanto ha come diretti destinatari gli organi elettivi nel loro complesso e non il singolo amministratore (come invece disciplinato dall’art. 142, che prevede la rimozione in caso di «atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico»): incide quindi in maniera rilevante sull’autonomia degli enti locali. Anche sotto questo profilo, in ogni caso, la legislazione è stata ritenuta dalla Corte costituzionale conforme al dettato della Carta fondamentale, proprio in ragione dell’esistenza di elementi attendibili sulle collusioni, anche indirette, degli organi elettivi con la criminalità organizzata: lo scioglimento di tali organi può considerarsi l’extrema ratio dell’ordinamento per salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica (Corte cost. n. 103 del 1993).

Attraverso lo scioglimento degli organi elettivi si vuole interrompere un rapporto di connivenza, ovvero di soggezione, dell’amministrazione locale nei confronti dei clan mafiosi, in grado di condizionarne le scelte attraverso il ricorso al metodo corruttivo o per il mezzo di pressioni e atti intimidatori.

Qui di seguito sono sintetizzati gli aspetti principali della normativa. Per una ricognizione della giurisprudenza amministrativa leggi questa scheda. Per approfondimenti vedi in particolare la Parte III del Rapporto per una moderna politica antimafia, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (gennaio 2014).

Condizioni e procedura dello scioglimento. In base all’art. 143 del Tuel, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (co. 4), al termine di un complesso procedimento di accertamento, effettuato dal prefetto competente per territorio attraverso un’apposita commissione di indagine (co. 2) (peraltro tale passaggio può non essere necessario nei casi in cui emergano elementi certi nel corso delle indagini dell’autorità giudiziaria, come avvenuto in diverse circostanze: ad esempio, per lo scioglimento dei Comuni di Scalea, Nardodipace e Delianuova).

Condizione dello scioglimento è l’esistenza di elementi «concreti, univoci e rilevanti» su collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali (sindaci,  anche metropolitani, presidenti delle province, consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, presidenti, consiglieri e assessori delle comunità montane, etc.) o su «forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali», incidendo negativamente sulla funzionalità dei servizi a queste affidati, oppure in grado di originare un «grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica» (art. 143, co. 1): il testo attualmente in vigore (introdotto dall’art. 2, co. 30, della legge n. 94 del 2009) richiede perciò condizioni più stringenti rispetto alla disposizione previgente, la quale faceva riferimento più genericamente a “elementi” espressione di “collegamenti diretti o indiretti” degli amministratori alla criminalità organizzata ovvero di forme di condizionamento degli stessi. La procedura si applica anche alle aziende sanitarie locali (vedi al riguardo le considerazioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato n. 4765 del 2006, che ha respinto le eccezioni avanzate dalla Regione Campania).
Ai sensi dell’art. 143, comma 13, si può procedere allo scioglimento per infiltrazioni mafiose anche in caso di precedente decreto di scioglimento per le fattispecie di cui all’art. 141: si considerino, per tutti, il caso del Comune di Brescello (per il quale al primo provvedimento ex art. 141, motivato dalle dimissioni del sindaco, ha fatto seguito un decreto ex art. 143) e quello del Comune di San Gennaro Vesuviano (per il quale la nomina di una commissione straordinaria è avvenuta a undici mesi di distanza dallo scioglimento ex art. 141, disposto in conseguenza delle dimissioni dalla carica di nove consiglieri sui sedici totali).

Si tratta di un atto di alta amministrazione, come tale caratterizzato da un’ampia discrezionalità. Per giungere allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi reati perseguibili penalmente oppure che possano essere disposte misure di prevenzione, essendo sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Gli indizi raccolti devono essere documentati, concordanti tra loro e davvero indicativi dell’influenza del crimine organizzato sull’amministrazione (valutazioni realizzabili attraverso una puntuale analisi della legittimità degli atti adottati dall’ente locale), potendosi prescindere dalla prova rigorosa dell’accertata volontà degli amministratori di assecondare le richieste della criminalità. L’attività di indagine può avere ad oggetto anche il comportamento dell’apparato amministrativo (segretario comunale, dirigenti, dipendenti), in ragione delle rilevanti responsabilità e competenze attribuite alla burocrazia locale dalla legislazione vigente.

Quando abbia acquisito elementi in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto è tenuto a trasmettere al Ministro dell’Interno una relazione nella quale si dà conto di tali condizionamenti anche con riferimento al personale non elettivo dell’ente. Nella relazione sono altresì indicati appalti, contratti e servizi interessati dai fenomeni di interferenza mafiosa. Anche qualora non venisse disposto lo scioglimento ma sussistessero comunque collegamenti dell’apparato burocratico con organizzazioni criminali, «con decreto del Ministro dell’Interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto» (art. 143, co. 5), inclusa la sospensione/destituzione dall’impiego dei dipendenti coinvolti. (vedi ad esempio i casi di Roma Capitale e del Comune di Sacrofano, così come descritti nell’audizione del Ministro dell’Interno del 15 marzo 2016). In presenza di elementi «concreti, univoci e rilevanti» circa i collegamenti tra amministratori e organizzazioni mafiose, la suddetta relazione deve essere inviata anche all’autorità giudiziaria ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione (art. 143, co. 8).

Nell’ipotesi in cui non sussistessero i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti, ma siano comunque state perpetrate condotte tali da determinare la compromissione del buon andamento dell’amministrazione, è attribuito al prefetto il potere di individuare (nei limiti dell’area extra-penale) i prioritari interventi di risanamento e i conseguenti atti da assumere; in caso di reiterato inadempimento, esso si sostituisce all’amministrazione inadempiente per il tramite di un commissario ad acta (art. 143, co. 7-bis)[disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza Corte Cost. n. 195 del 2019]

Ricorrendo motivi di urgente necessità, prima dell’emanazione del decreto di scioglimento, il prefetto sospende temporaneamente (per non oltre sessanta giorni) gli organi dalla carica ricoperta e nomina dei commissari che assicurino la gestione dell’ente (art. 143, co. 12).

Sulle caratteristiche di tale istituto leggi anche la scheda sulla giurisprudenza di TAR e Consiglio di Stato.

Nuove elezioni e incandidabilità temporanea. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti da dodici a diciotto mesi, prorogabili a ventiquattro in casi eccezionali (art. 143, co. 10). Esso determina anzitutto la cessazione dalla carica di tutti i detentori di ruoli elettivi e di governo (art. 143, co. 4), nonché la risoluzione di tutti gli incarichi dirigenziali a contratto, salvo il rinnovo degli stessi da parte della commissione straordinaria (art. 143, co. 6).

Va aggiunto che «gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento […] non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo» (art. 143, co. 11). Ciò in conseguenza della novella introdotta dalla legge n. 132 del 2018, in quanto la normativa ante riforma disponeva l’incandidabilità soltanto per la prima tornata elettorale successiva allo scioglimento e limitatamente ai casi di elezioni regionali e sub-regionali.
La valutazione di merito è espressa dal tribunale competente per territorio, cui il Ministro dell’Interno è tenuto ad inviare tempestivamente la proposta di scioglimento (ibid.). La disposizione è volta ad evitare che i soggetti responsabili dello scioglimento possano ricoprire nuovamente i medesimi (o simili) ruoli amministrativi. Sul punto (fino alla predetta riforma) si sono registrate numerose sentenze che hanno contribuito a precisare ulteriormente caratteri e finalità della norma. In particolare, la Corte di Cassazione aveva più volte ribadito che per «prime elezioni» si dovessero intendere tutte le diverse tornate elettorali (regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali) che si svolgono nel territorio regionale interessato dopo che la dichiarazione di incandidabilità abbia assunto carattere definitivo (e non solo, dunque, la prima elezione che si svolga a livello regionale), rendendo così applicabile tale misura anche nel caso in cui si siano già tenute alcune consultazioni elettorali nelle more del procedimento per la dichiarazione di incandidabilità, trattandosi di «una misura preventiva e cautelare nei confronti degli amministratori pubblici che con la loro condotta abbiano dato causa allo scioglimento del consiglio dell’ente locale, a differenza della sanzione di cui all’art. 58 TUEL, e della ineleggibilità ed incompatibilità» (Cass. civ. n. 7316 del 2016). In alcune sentenze del Consiglio di Stato, inoltre, si è ulteriormente precisato che, per quanto suscettibile di diverse interpretazioni, ai sensi dell’art. 143, comma 11, l’incandidabilità deve «riguardare la prima tornata elettorale, di ciascun livello istituzionale, concernente il Comune oggetto dello scioglimento che ha dato luogo all’incandidabilità (e non un qualsiasi altro Comune compreso nella Regione, anche se, in ipotesi, lontano e privo di alcun collegamento diretto con le dinamiche socio-economiche e politiche e con le vicende istituzionali di quello sciolto)» (vedi,  per tutte, Cons. Stato n. 3087 del 2018): in caso contrario, infatti, si finirebbe per «svilire la finalità preventiva che detta misura persegue evitando che a mezzo di una nuova rielezione, a distanza di poco tempo dallo scioglimento dei precedenti organi politico-amministrativi, possano di nuovo prodursi i menzionati fenomeni degenerativi che hanno provocato l’intervento statale» (T.A.R.  Napoli n. 3290 del 2018). Anche alla luce delle modifiche accennate, tuttavia, sembra plausibile attendersi dalle prossime pronunce giurisprudenziali orientamenti coerenti con quelli espressi sinora.

La stessa Corte di Cassazione ha poi puntualizzato che l’assenza di procedimenti penali non preclude l’applicazione di tale misura, che si basa invece sulla responsabilità dei singoli amministratori per «cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio» (Cass. civ. n. 1747 del 2015). A tale riguardo. La più recente giurisprudenza ha affermato che l’incandidabilità non è automatica, occorrendo effettuare un’attenta valutazione delle singole posizioni processuali, al fine di verificare, per ciascuno dei soggetti coinvolti, l’esistenza di concreti elementi atti a dimostrare collusioni o condizionamenti che abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica: viene, infatti, «interessato un fondamentale aspetto di notevole rilevanza costituzionale, quale il diritto correlato all’elettorato passivo» (Cass. civ. n. 19407 del 2017). Non è, in ogni caso, «necessario accertare situazioni di inequivoca volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né forme di responsabilità, anche penali, degli amministratori medesimi» (decreto del Tribunale di Locri n. 847 del 2018). Oltretutto, ai fini della decisione sull’incandidabilità dei singoli amministratori, il giudice potrà far riferimento non solo agli elementi contenuti nella proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno e nell’allegata relazione prefettizia, ma anche ad altre «risultanze probatorie acquisite, nel contraddittorio tra le parti, nel corso del procedimento» (Cass. civ. n. 1747 del 2015).

La Cassazione ha infine ritenuto palesemente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 143, comma 11, che non ha carattere sanzionatorio ma cautelare e si configura come misura interdittiva temporanea volta a «rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali», oltreché ad «evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell’intera collettività nazionale» (Cass. civ. n. 1747 del 2015).

La gestione straordinaria. Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente; essa «è composta di tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza» (art. 144, co. 1), che operano con il sostegno e sotto il monitoraggio del Ministero dell’Interno (art. 144, co. 2). Viene dunque affidata ad un organo composto da personale estraneo all’ambiente corrotto e dotato di comprovata professionalità e rettitudine la gestione dell’Amministrazione, in vista di una regolare ripresa del suo funzionamento. Sempre in conseguenza delle novità apportate dalla legge n. 132 del 2018, peraltro, i componenti della commissione vanno individuati nell’ambito di un apposito nucleo istituito presso il Ministero dell’Interno (art. 32-bis, co. 1), di cui fanno parte non oltre cinquanta unità: «dieci con qualifica di prefetto e quaranta con qualifica fino a viceprefetto» (art. 32-bis, co. 2).
La commissione straordinaria ha il compito di definire un piano di interventi prioritari (art. 145, co. 2) e, nel caso in cui siano accertate infiltrazioni di natura mafiosa, procedere ad una verifica puntuale di appalti e concessioni, potendo anche disporre la revoca delle deliberazioni già adottate o la rescissione dei contratti già conclusi (art. 145, co. 4). Su richiesta della commissione e al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi dell’ente commissariato, il prefetto può disporre in favore di questo l’assegnazione temporanea di personale amministrativo e tecnico (art. 145, co. 1); per agevolarne il risanamento e la stabilità finanziaria sono, invece, previste norme speciali (vedi l’art 145-bis e le prescrizioni della legge finanziaria per il 2017 e della legge di stabilità 2011).

Disposizioni specifiche per le amministrazioni in gestione straordinaria sono poi dettate dall’art. 6 del decreto -legge n. 78 del 2015 (convertito nella legge n. 125 del 2015) con riguardo alla possibilità di richiedere anticipazioni di liquidità che permettano a tali enti di far fronte, da un lato, ai pagamenti in corso e, dall’altro, all’assunzione di alcune unità di personale a tempo determinato (uffici alle dirette dipendenze degli organi di direzione politica, direttori generali, dirigenti): non si applica, in tali circostanze, la disposizione che proibisce alle amministrazioni pubbliche in forte ritardo nei pagamenti di effettuare assunzioni di personale. La copertura dei relativi oneri è posta a carico del bilancio del Comune interessato (leggi anche questa scheda).

Obblighi ulteriori. Vanno pure ricordate le disposizioni previste dal codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011), in base alle quali l’ente locale sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata deve acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia in relazione alla stipula, approvazione o autorizzazione di qualsiasi contratto, ovvero in occasione del rilascio di qualsiasi concessione o erogazione di cui all’art. 67, indipendentemente dal valore economico degli stessi (art. 100). Lo stesso ente locale, inoltre, può decidere di avvalersi temporaneamente della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di sua spettanza (art. 101).

Proposte di revisione della normativa. L’esperienza derivante da questi quasi tre decenni di attuazione ha evidenziato l’opportunità di modificare alcuni aspetti della legislazione vigente. Proposte in tal senso sono contenute in particolare nel Rapporto per una moderna politica antimafia a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sopra citato, con riferimento soprattutto ai seguenti profili:

  • ulteriore estensione della pubblicazione degli atti conclusivi dei procedimenti di accertamento;
  • possibilità di intervento sul personale degli enti sottoposti a procedure di scioglimento (sia in termini di licenziamento/trasferimento che di nuove assunzioni) durante il periodo di gestione straordinaria;
  • nuove regole in tema di appalti, con l’obbligatorietà di ricorrere alla stazione unica appaltante;
  • allargamento dei controlli sulle infiltrazioni mafiose alle società partecipate ed ai consorzi pubblici anche a partecipazione privata.

Per le proposte avanzate dalla Commissione antimafia al termine della XVII Legislatura leggi invece questa scheda.

 

(Ultimo aggiornamento: dicembre 2018)