La giurisprudenza in tema di legittimazione attiva. Sulla questione della legittimazione attiva a presentare ricorso avverso il decreto di scioglimento, i giudici nel corso del tempo hanno fornito una serie di chiarimenti e indicazioni. In linea generale, la giurisprudenza ritiene legittimati a ricorrere gli amministratori in carica al momento dell’emanazione del provvedimento se in capo a questi, dall’eventuale accoglimento del ricorso, si determinano effetti utili, ossia il loro reintegro nella posizione di Consigliere Comunale, Sindaco o Assessore. Sul punto si vedano, ad esempio, le sentenze del TAR Lazio 5584/2019, 7575/2019, 9624/2019 e 5582/2020 in cui, in ragione della presentazione del ricorso dopo la scadenza naturale del mandato, ovvero per l’intercorsa dimissione della maggioranza dei Consiglieri (altra causa di scioglimento dell’Ente), il ricorso è stato dichiarato inammissibile o improcedibile perché gli ormai ex amministratori non avrebbero comunque potuto ricavare alcun effetto utile di reintegro della loro posizione.
La giurisprudenza è, inoltre, costante nel negare la legittimazione attiva ai semplici cittadini (o ai candidati nella competizione elettorale): il decreto di scioglimento, infatti, mentre incide sulle situazioni soggettive dei componenti degli organi elettivi (i quali, per effetto del provvedimento, subiscono una perdita di status), non altrettanto incide su quella dell’Ente locale (del cui interesse i cittadini si farebbero portatori), titolare di posizioni autonome e distinte, che, anzi, vede nella misura dissolutoria proprio uno strumento di tutela e di garanzia dell’Amministrazione (si vedano sul punto TAR Lazio 12424 e 3749 del 2017 e TAR Lazio 1935, 4836 e 5584 del 2018).
La giurisprudenza è, invece, meno granitica per quel che concerne la rilevanza dell’interesse “morale” degli amministratori a veder annullato il decreto di scioglimento in quei casi in cui questi comunque non potrebbero (per altre ragioni) riprendere il loro ruolo. In primo grado, infatti, questa motivazione è stata spesso esclusa come presupposto per la legittimazione attiva (TAR Lazio 5584/2019 e 1381/2020), anche affermando che tale interesse riceve già una tutela adeguata e specifica nell’ambito del separato giudizio di incandidabilità (TAR Lazio 5582/2020). Il Consiglio di Stato, invece, ha assunto una posizione diversa, sostenendo che se al momento della trattazione in appello non sussiste più la possibilità per gli amministratori appellanti di ricavare un effetto utile, residua comunque per questi un interesse quantomeno morale a far dichiarare l’erroneità della ricostruzione relativa alle ingerenze della criminalità e quindi l’inesistenza di forme di pressione e di vicinanza della compagine governativa alla malavita organizzata: questo perché, se è vero da un lato che nel decreto di scioglimento non si muovono addebiti personali verso gli amministratori e che comunque il giudice amministrativo accerta solo incidentalmente i fatti (essendo il suo un sindacato estrinseco, come si vedrà a breve), è altrettanto vero che la significatività di tutta la vicenda, e quindi le ricadute sull’immagine pubblica degli amministratori, è legata essenzialmente all’esito del procedimento, rispetto al quale l’interesse degli amministratori permane (CDS 4074/2020 e 2793/2021).
La legittimazione attiva e il giudizio di incandidabilità. È molto più fermo, invece, l’orientamento in merito al rapporto tra il giudizio sullo scioglimento dell’Ente e quello relativo all’incandidabilità degli amministratori (art. 143, comma 11 TUEL). I giudici hanno costantemente negato che, in assenza di un effetto utile per gli amministratori derivante dall’annullamento del provvedimento dissolutorio, la loro legittimazione attiva potesse sorgere da eventuali ricadute dello scioglimento sul giudizio relativo all’incandidabilità. Si tratta, infatti, di due giudizi separati, autonomi e con diversi presupposti: lo scioglimento del Consiglio comunale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti, mentre l’incandidabilità degli amministratori richiede una valutazione delle singole posizioni in nome del diritto costituzionale all’elettorato passivo, per verificare che collusioni o condizionamenti del singolo abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica (tra le tante, si veda TAR Lazio 5584/2019, con ampia giurisprudenza), tant’è vero che allo scioglimento del Consiglio Comunale non fa seguito necessariamente la dichiarazione di incandidabilità di tutti gli amministratori essendo necessario il riscontro di elementi indicativi del condizionamento per ciascuno di essi (CDS 6918/2019).
La legittimazione passiva del Presidente della Repubblica. In tema di legittimazione passiva, la giurisprudenza è costante, invece, nel negare che possa essere chiamato in giudizio anche il Presidente della Repubblica. Pur trattandosi di un atto emanato nella forma di decreto del Presidente della Repubblica, questo viene assunto nell’esercizio di un potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale su atti di altri organi o autorità, ossia in questo caso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Interno. Pertanto, la legittimazione passiva deve essere riconosciuta non già al Presidente della Repubblica, bensì solo alle autorità il cui atto è fatto oggetto del “controllo” presidenziale e alle quali spetta la qualifica di autorità emanante.
Il giudizio di legittimità. Il giudice amministrativo, in sede di esame dei ricorsi, affidati alla giurisdizione esclusiva del Tar del Lazio, non entra nel merito delle decisioni assunte dall’Amministrazione, limitandosi alla verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione, e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole.
A tal fine assume valore centrale la relazione ministeriale di accompagnamento, che deve esplicitare le situazioni, anche non traducibili in addebiti personali, che rendono plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità; conseguentemente, il giudice amministrativo richiede di norma il deposito di tutta la documentazione, anche se secretata (comprensiva dei verbali delle riunioni tecniche di coordinamento dei vertici delle Forze di Polizia e delle sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, delle relazioni della Commissione di accesso ecc), in quanto indispensabile ai fini della decisione sul ricorso (ordinanza TAR Lazio 12485/2015) anche al fine di assicurare un adeguato diritto alla difesa, che potrà così prendere visione della documentazione istruttoria, fermo restando il rispetto delle disposizioni volte ad impedire la diffusione di informazioni considerate “riservate” (a tale riguardo si veda anche CDS 2454/2016): il giudizio di fronte a TAR e Consiglio di Stato rappresenta così un importantissimo momento di puntuale verifica della validità di tutti gli elementi raccolti, con riguardo sia ai collegamenti instaurati dalla criminalità organizzata con l’ente locale sia ai benefici concretamente e illegittimamente da essa conseguiti.
Il contemperamento tra i principi costituzionali. Tra le altre cose, i giudici si trovano nella posizione di dover accertare se il provvedimento di scioglimento risulta ragionevole anche rispetto al contemperamento tra il principio di rispetto della volontà popolare, inevitabilmente compresso in caso di scioglimento, e quello di imparzialità, buon andamento e regolare svolgimento dell’azione amministrativa, che in primo luogo l’art. 143 TUEL tende a salvaguardare. In realtà, la giurisprudenza più avanzata sul punto ha negato che vi sia contraddizione tra questi principi, sostenendo invece la sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità, in quanto nei casi di scioglimento le pressioni delle cosche sono gli elementi che ostacolano proprio il libero esercizio del mandato elettivo, condizionandolo agli interessi dei clan (CDS 4074/2020) e colpendo così i principi fondamentali della convivenza civile (CDS 5970/2019). In altri casi, invece, si è detto che il decreto di scioglimento e la relazione ministeriale (quali atti di alta amministrazione) tutelano un interesse pubblico legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alle mafie rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali (CDS 6231/2018).
L’assenza di un bilanciamento tra circostanze favorevoli e sfavorevoli. Un altro punto importante è poi costituito dall’orientamento, costantemente affermato in giurisprudenza, secondo cui ai fini dello scioglimento non è necessario un bilanciamento tra circostanze favorevoli e circostanze sfavorevoli all’Ente: ciò anzitutto perché, come si è detto, non vige il principio del giusto procedimento amministrativo; inoltre, anche qualora si riuscisse a dimostrare che in determinati settori vi è stata una corretta gestione amministrativa (o anche un efficace contrasto della criminalità organizzata), ciò andrebbe comunque valutato come attività doverosa dell’Amministrazione, la quale deve sempre attenersi ai principi di legalità e buon andamento, senza che ciò possa costituire una circostanza esimente per altre condotte eventualmente non conformi (TAR Lazio 3675/2018 e 12088/2019; CDS 6435/2019 sul Comune di Lamezia Terme, in cui si sottolinea che le azioni di contrasto all’illegalità non hanno comunque potuto scongiurare l’irrimediabile compromissione della vita politica e amministrativa dell’Ente determinata dall’infiltrazione delle cosche nei più alti livelli della vita cittadina).
Del resto, sottolineano a varie riprese i giudici (ad esempio, CDS 4578/2017 e TAR Lazio 8488/2018), se all’Ente sottoposto a condizionamento o pressione della criminalità organizzata bastasse porre in essere qualche operazione di facciata per lenire il rischio di scioglimento, si consentirebbe di eludere agevolmente il contenuto stesso dell’art. 143 TUEL.
La pubblicità delle decisioni dei giudici amministrativi. La giurisprudenza amministrativa ha svolto un’azione meritoria per una più puntuale definizione dell’istituto dello scioglimento di cui all’art. 143 TUEL, contribuendo così in maniera significativa anche al miglioramento dell’istruttoria svolta dalle commissioni di accesso e alla raccolta di tutti gli elementi utili per una approfondita analisi del contesto in cui si inserisce un così penetrante intervento statale sulle amministrazioni locali.
Al tempo stesso, va peraltro sottolineato l’emergere negli ultimi tempi di una impropria applicazione della normativa sulla privacy anche alle decisioni riguardanti lo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata. Ad esempio la sentenza CDS 5782/2017 dispone espressamente che “a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata… l’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i sig.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, …. , l’ONLUS “-OMISSIS- -OMISSIS-“, l’AVIS, la -OMISSIS-la -OMISSIS-., la -OMISSIS-, la -OMISSIS-., -OMISSIS-la -OMISSIS-la -OMISSIS-la -OMISSIS-, la “-OMISSIS-”, la “Lista -OMISSIS–”, l’indirizzo email -OMISSIS- nonché tutte gli altri soggetti e tutti i luoghi, gli enti e le società menzionati nel presente provvedimento”: e, in applicazione di tale disposto vengono “oscurati” non solo i nominativi dei ricorrenti (peraltro non si tratta di semplici cittadini ma titolari di cariche elettive) ma anche gli estremi della precedente sentenza del Tar e del decreto di scioglimento, e perfino della gazzetta ufficiale dove sono pubblicate le relazioni governative. E nella sequela di “OMISSIS” finisce per essere “oscurato” addirittura il nome del comune oggetto dello scioglimento.
Tale indirizzo risulta in chiaro contrasto con l’esigenza di garantire all’opinione pubblica, e in primis ai cittadini e alle forze politiche del territorio interessato, la più ampia conoscenza degli elementi che hanno condotto all’adozione di un provvedimento di così assoluta rilevanza e delle responsabilità accertate, a partire dalla denominazione delle aziende collegate alla criminalità organizzata che hanno tratto illecitamente benefici da specifici provvedimenti dell’ente locale.
Il problema degli omissis, peraltro, si è posto anche rispetto alla Relazione della Commissione, sollevato da alcuni ricorrenti che lamentavano una lesione del loro diritto di conoscenza e di difesa: secondo il TAR Lazio (5843/2020), tale prassi è dovuta a norma di legge, ma rimane ferma la possibilità che il giudice ordini all’Amministrazione il deposito di tutti gli atti in forma integrale, consentendo così al ricorrente di tutelarsi pienamente coi motivi aggiunti (TAR Lazio, 9105/2019 e 5843/2020).
Proprio in ragione del grave allarme sociale determinato dal fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali, appare necessaria una sollecita revisione di queste prassi applicative, conciliando il diritto alla riservatezza dei soggetti diversi dalle parti in causa (magari solo indirettamente citati negli atti processuali) con l’esigenza, ribadita anche dalla Commissione Antimafia nella sua relazione finale su mafie e potere locale, di assicurare la massima trasparenza del procedimento di cui all’art. 143 TUEL, a partire dall’istituzione della commissione di accesso e in tutte le fasi successive, ivi inclusa la gestione commissariale, al fine di consentire un giudizio anche sulle misure concretamente adottate per modificare le decisioni illecitamente assunte ed assicurare il pieno rispristino della legalità.