A cura dell’Avv. Stefano Maria Sisto – Cultore della materia in Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Il T.A.R. Lazio con sentenza n. 3675 del 3 aprile 2018 si è pronunciato sul ricorso presentato da alcuni esponenti politici che ricoprivano la carica di sindaco e consigliere comunale per l’annullamento del decreto del Presidente della Repubblica del 24/01/2017 che disponeva lo scioglimento dell’intera compagine politica ex art. 143 d.lgs. n. 267/00 per infiltrazioni mafiose.

Tra le varie motivazioni alla base del ricorso vi erano la contestata violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/00, eccesso di potere manifestatosi sotto forma di irragionevolezza e illogicità; difetto di istruttoria, travisamento dei fatti; inesistenza di irregolarità dell’attività amministrativa; violazione del principio di proporzionalità; mancanza del nesso di causalità tra le ingerenze mafiose e il regolare funzionamento dell’Amministrazione.

Tanto premesso, i giudici amministrativi hanno ripercorso brevemente la giurisprudenza in materia di scioglimento dei Consigli Comunali per infiltrazioni mafiose e i presupposti in base ai quali può essere adottato un provvedimento in tal senso. Tra le  sentenze più recenti viene citata la  n. 96 del 10.01.2018 del Consiglio di Stato e quanto da essa statuito e in particolare la natura preventiva e non sanzionatoria di tale provvedimento, essendo a tal fine sufficienti degli indizi che possano far ritenere presente una infiltrazione mafiosa; il carattere straordinario di tale misura a fronte di una situazione altrettanto straordinaria; la valutazione nell’insieme degli elementi di fatto e non in maniera <<atomistica>>; l’ampia discrezionalità che vi è alla base dell’adozione del provvedimento di scioglimento e il conseguente controllo di tipo estrinseco che ne deriva e che può riguardare tutto ciò che è strettamente collegato alla figura sintomatica dell’eccesso di potere.

Il condizionamento di tipo mafioso, ricordano i giudici amministrativi richiamando una pronuncia del Consiglio di Stato del 2016, deve consistere in una alterazione della formazione di volontà degli organi politici e amministrativi con conseguente compromissione dei princìpi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e deve essere caratterizzato da elementi che siano univoci, rilevanti e concreti.

Inoltre, i fatti posti a base del provvedimento di scioglimento devono essere valutati nel loro insieme e può capitare che assumano rilievo <<situazioni non traducibili in episodici addebiti personali, ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata>> a nulla rilevando, quindi, che tali comportamenti abbiano o meno anche una valenza penale ed essendo importanti, invece, le <<circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio>>.

Sulla base di ciò il T.A.R. Lazio evidenzia come, nel caso di specie, alla base dell’adozione del provvedimento ex art. 143 TUEL vi siano stati diversi elementi di fatto importanti come ad esempio la continuità sostanziale nella gestione dell’ente tra i diversi personaggi politici coinvolti, un ruolo attivo della mafia nelle elezioni politiche, la totale paralisi dell’urbanistica, la “carenza di strumenti regolamentari in diversi settori” e l’assenza di controlli che aveva comportato un ampliamento di discrezionalità burocratica (tra queste in particolare la mancata adesione alla Stazione Unica Appaltante), l’inadeguatezza della struttura amministrativa a garantire i princìpi di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.

Così il T.A.R. dichiara l’infondatezza del primo motivo di ricorso in quanto la motivazione si deve desumere dall’insieme degli elementi e della documentazione prodotta.

Stessa sorte per il secondo motivo di ricorso poiché si ritiene che le azioni di contrasto al fenomeno mafioso messe in atto non hanno fatto venire meno la gravità della situazione di condizionamento. A tal fine richiamando una precedente pronuncia si ricorda come <<il provvedimento di scioglimento ex art. 143 cit. non richiede alcun giudizio di bilanciamento di circostanze favorevoli e non favorevoli, alla stregua di quanto avviene nel procedimento penale, dato che l’azione amministrativa deve sempre essere ispirata ai princìpi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele che a tali princìpi non sono conformi>>.

Respinto anche il terzo motivo di ricorso basato sulla contestazione delle modalità di valutazione degli elementi di fatto che, si ribadisce, non devono essere valutati in maniera atomistica, ma nel loro insieme. Stessa valutazione riservata ai legami di parentela oggetto del quarto motivo di ricorso.

Né viene data importanza al fatto che la rappresentanza politica eletta nel 2010 si sia presentata divisa e in coalizioni contrapposte nella tornata elettorale del 2015 in quanto si è dimostrato che di fatto vi era una sostanziale continuità data dalla presenza negli anni degli stessi amministratori.

Sulla circostanza, poi, della sussistenza di irregolarità amministrative il Collegio fa notare come queste non siano addebitabili esclusivamente all’apparato burocratico, ma anche agli esponenti politici. Inoltre,  i giudici amministrativi evidenziano come per l’adozione del provvedimento ex art. 143 TUEL sia sufficiente il solo condizionamento dell’apparto burocratico soprattutto se si pensa alla giurisprudenza che in più occasioni ha ribadito che seppure i dirigenti abbiano <<compiti di amministrazione attiva, decisionali e di responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno non rende tali ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione>>.

Insomma, il T.A.R. Lazio conclude affermando che <<proprio la mancanza di un efficace controllo o vigilanza costituisce un elemento di forte rilevanza al fine di individuare una riconducibilità all’organo politico dei vantaggi acquisiti a causa di tali omissioni da parte di soggetti “vicini” o direttamente appartenenti alla malavita organizzata, dato che – come detto – la funzione dei provvedimenti impugnati non è “sanzionatoria” verso i singoli, ma rivolta ad evitare il perdurare dell’infiltrazione “mafiosa”, oggettivamente considerata>>.

Tutto ciò comporta la legittimazione allo scioglimento sia in caso di diretto coinvolgimento dell’apparato politico-amministrativo sia nel caso di <<inadeguatezza>> dello stesso nel regolare compimento dei poteri di vigilanza e regolare gestione burocratica dell’amministrazione pubblica.

(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista “La Gazzetta degli Enti Locali” – Maggioli Editore. Per approfondimenti sulla giurisprudenza di Tar e Consiglio di Stato in materia leggi questa scheda)