Scadono il 31 ottobre i termini del bando per l’assegnazione di mille beni confiscati alle mafie. Tante e importanti le novità ma mancano ancora risorse adeguate. Qui il link al bando
Sono mille i beni confiscati da assegnare che sono stati inseriti nel bando pubblicato dall’ANBSC, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. La corsa si conclude il 31 ottobre, termine per la presentazione della domanda di assegnazione. Ma per la prima volta i protagonisti indiscussi sono gli Enti del terzo settore, a cui l’Agenzia può assegnare “direttamente” i beni confiscati senza passare per gli Enti locali. Non solo, il bando prevede finalmente assegnazioni definitive.
Il bando però ha dei limiti. Come spiega su Avvenire Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, viene infatti previsto uno stanziamento simbolico di un milione di euro, che spalmato su mille beni, rischia di vanificare le importanti novità previste dal bando.
Assegnare non basta, è necessario far funzionare la macchina del riutilizzo dei beni liberati dalle mafie e per fare questo servono risorse adeguate. Fondazione per il sud ha perciò proposto di dotare con 200 milioni di euro l’Agenzia per i beni confiscati, attingendo al Fondo unico giustizia alimentato da liquidità e titoli sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata. Le buone pratiche costruite negli anni in tutta Italia sul riuso dei beni confiscati hanno spesso attivato processi di riscatto sociale sui territori, producendo economia sana.
Ma c’è ancora molta strada da fare. Sono oltre 65mila i beni mobili, immobili, conti correnti e aziende sottratti ai gruppi criminali fra il 2010 e il 2018. Tuttavia i beni riassegnati sono stati solo 15mila fin dagli anni Ottanta, ovvero da quando esiste la legge Rognoni-La Torre. L’assegnazione diretta ora può fare la differenza è accorciare la strada che porta al riutilizzo di altre migliaia di beni in attesa di destinazione.
Le battaglie si vincono «se i beni non restano inutilizzati, se la loro gestione è autosostenibile; se diventano presìdi di socialità e, in molti casi opportunità di sviluppo e di buona occupazione – prosegue Borgomeo – A quel punto sui territori il consenso verso le mafie subisce un colpo durissimo, perché si vede che la legalità, oltre ad essere un irrinunciabile valore, conviene». Ecco perché è importante partecipare al bando e che anche le istituzioni locali facciano la loro parte, segnalando e incitando associazioni, cooperative e imprese sociali a presentare la domanda e a farlo con progetti utili alle proprie comunità.