direttore del Master APC di Pisa per la lotta a corruzione e mafie e membro della Commissione Consultiva permanente di Avviso Pubblico

La corruzione è un’emergenza nazionale. Sostenere e aderire alla campagna Riparte il futuro

L’intervista al Professor Alberto Vannucci

direttore del Master APC di Pisa per la lotta a corruzione e mafie e membro della Commissione Consultiva permanente di Avviso Pubblico
direttore del Master APC di Pisa per la lotta a corruzione e mafie e membro della Commissione Consultiva permanente di Avviso Pubblico

Lo scorso 15 aprile è stata lanciata la nuova Campagna di Riparte il Futuro, promossa da Libera e Gruppo Abele, in collaborazione anche con Avviso Pubblico, in vista delle prossime elezioni europee e amministrative. Quello che si chiede ai nuovi candidati è trasparenza, il primo antidoto per fermare la corruzione, e l’assunzione di specifici impegni. Avviso Pubblico ha intervistato il Professore Alberto Vannucci – direttore del Master APC di Pisa per la lotta a corruzione e mafie e membro della Commissione Consultiva permanente dell’Associazione – per avere un suo parere sulla campagna, sulle conseguenze indirette del fenomeno e sui costi economici che da esso ne derivano.

Prof. Vannucci, cosa ne pensa della nuova Campagna di Riparte il Futuro?

La nuova campagna di Riparte il futuro è un’iniziativa eccellente perché si fa carico di un’emergenza nazionale, non solo accendendo i riflettori ma soprattutto organizzando una forte azione di controllo e responsabilizzazione, non solo in Italia ma anche all’estero. L’estensione anche ai candidati per le elezioni europee, oltre a quelli per le amministrative, impegni forti alla trasparenza, come la pubblicazione del curriculum, della condizione patrimoniale e reddituale, della propria storia giudiziaria e dei potenziali conflitti d’interesse, è fondamentale. Abbiamo bisogno di candidati trasparenti che dimostrino concretamente il proprio impegno contro la corruzione e la criminalità organizzata in Italia e in Europa.

Perché sono importanti campagne di sensibilizzazione di questo tipo?

Campagne di sensibilizzazione di questo tipo sono necessarie per tanti aspetti. Se da un lato permettono di tenere viva l’attenzione su un problema nazionale invisibile, che inquina a fondo la nostra democrazia, dall’altro favoriscono l’emergere di candidati politici trasparenti, che si assumono un impegno credibile di fronte a tutti i cittadini per contrastare questa emergenza. Il percorso avviato lo scorso anno da Riparte il futuro ha portato all’approvazione al Senato della modifica dell’art. 416 ter del Codice Penale sul voto di scambio politico-mafioso, avvenuta lo scorso 16 aprile. L’iter per questa riforma è stato molto travagliato, ma senza la campagna nazionale, l’appoggio di tutte le associazioni e la mobilitazione popolare che si è creata attorno ad essa non credo che si sarebbero ottenuti risultati tangibili come questo.

Quali sono gli ultimi dati sulla corruzione?

L’ultima Relazione della Commissione Europea sulla lotta alla corruzione del febbraio 2014 ha dimostrato che ormai il tema della corruzione accomuna tutti gli stati europei ed incide sempre di più sulla loro vita politica, economica e sociale. La corruzione è la prima minaccia globale numero per la qualità della vita sociale e dello sviluppo, il fattore che si associa in modo più forte alla povertà. A dimostrarlo è anche il Corruption Perceptions Index 2013, la lista dei 177 Paesi più corrotti al mondo, redatta dalla Ong Trasparency International. Una classifica che dimostra come nessun paese sia avulso dal fenomeno, pur con differenze significative.

L’Italia come si colloca all’interno delle classifiche internazionali?

Secondo molti indicatori il problema della corruzione in Italia è più esteso e preoccupante rispetto ad altri paesi sviluppati. Si tratta di un fenomeno difficile e complesso da analizzare, perché per sua natura tende a restare nell’ombra. I dati sulla corruzione infatti non sono mai interpretabili univocamente, perché cercano di misurare una realtà che si manifesta sempre in modo opaco e ambiguo. Ultimamente sono emersi dati apparentemente contradditori. Per esempio assieme all’ultima Relazione della Commissione Europea di cui parlavo prima è stato presentato un sondaggio sulla percezione della corruzione. Secondo lo speciale Eurobarometro del 2013, il 97% dei rispondenti italiani ritiene che la corruzione sia un fenomeno dilagante in Italia (contro una media UE del 76%) e il 42% afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano (contro una media UE del 26%). Inoltre per l’88% dei rispondenti italiani corruzione e raccomandazioni sono spesso il modo più semplice per accedere a determinati servizi pubblici (contro una media UE del 73%).

Qual è il dato contraddittorio?

Il dato contraddittorio è che allo stesso tempo quel sondaggio mostra che quando devono riferire esperienze dirette, ossia il loro coinvolgimento in casi di corruzione, solo il 2% dei rispondenti italiani afferma di essere stato oggetto di richieste o di aspettative di tangenti nell’ultimo anno, contro una media UE del 4%. Inoltre, da un altro sondaggio sempre del 2013, frutto di una ricerca di un istituto universitario svedese, risulta invece che le regioni più corrotte d’Europa sono quelle del Sud Italia. Quasi un quarto della popolazione del Sud Italia conosce l’esperienza quotidiana della corruzione, ma anche nelle regioni più virtuose almeno il 7% dei cittadini si è visto chiedere tangenti. I dati dei due sondaggi sono discordanti, ma comunque preoccupanti. Si potrebbe ipotizzare che forse stiamo facendo “troppo rumore per nulla”, che la corruzione non è poi così tanto diffusa come le nostre preoccupazioni sembrerebbero suggerirci. Ma c’è anche un’altra spiegazione, che trovo più convincente: è possibile semplicemente che la corruzione abbia assunto forme e utilizzi meccanismi che la rendono più sfuggente, difficile da riconoscere, se non attraverso segnali indiretti: anche quando non la viviamo sulla nostra pelle, riconosciamo gli effetti della corruzione diffusa nel degrado della vita sociale e dei servizi pubblici, nell’inefficienza della burocrazia, nel declino delle nostre imprese, nella scarsa capacità della politica di farsi carico dei problemi comuni.

Cosa possiamo fare per provare a contrastare questo fenomeno?

Credo che il primo passo sia l’impegno condiviso, da parte degli amministratori pubblici e di tutti i cittadini responsabili, per un’attività pubblica dove l’integrità e l’attenzione alle istanze dei cittadini siano la bussola che orienta ogni processo decisionale. Nella politica e nell’amministrazione in cui entrano in circuito le tossine della corruzione tutto viene distorto. Per cercare di riattivare dei circuiti democratici, è decisivo sostenere e aderire a campagne come Riparte il Futuro, che riescono a mobilitare centinaia di migliaia di cittadini per rafforzare la normativa anticorruzione. Non possiamo più aspettare l’intervento dall’alto del legislatore. È arrivato il momento di pensare a politiche e strumenti di prevenzione e di contrasto della corruzione costruiti e attuati dal basso. Azioni di questo tipo possono davvero fare in modo, se non di sconfiggere il fenomeno, almeno di porre le condizioni per ricondurlo col tempo entro dimensioni fisiologiche.

A cura di Giulia Migneco

Alberto Vannucci, professore di Scienza politica presso l’Università di Pisa, da anni si occupa di studi e ricerche sulla corruzione. Direttore del Master “Analisi prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione” ha scritto diversi articoli e libri. La sua ultima opera si intitola Atlante della corruzione (Edizioni Gruppo Abele, 2012).

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