Premessa. La Commissione di inchiesta ha avviato un ciclo di audizioni sul tema della pirateria informatica. In tale ambito sono stati ascoltati i responsabili della Polizia postale (seduta del 27 gennaio 2016) ed il 3 febbraio 2016 i responsabili della Guardia di finanza; nella seduta del 18 febbraio 2016 sono stati auditi l’avvocato Andrea Caristi ed il professor Ferdinando Ofria. Nella seduta del 3 marzo 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti della Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali – FAPAV, Federazione Industria Musicale Italiana – FIMI e Business Software Alliance – BSA; nella seduta del 10 marzo 2016 sono stati auditi gli esponenti di Indicam, mentre il Comando Carabinieri Tutela della Salute nella seduta del 17 marzo 2016. Il 4 maggio 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti della SIAE, il 18 maggio 2016 esponenti della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale ed il 25 maggio 2016 i rappresentanti del Consorzio del commercio Elettronico Italiano – NETCOMM e dell’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP. Il 21 luglio 2016 è stato il turno dei rappresentati della Interactive Advertising Bureau. Confindustria digitale e Asstel sono stati ascoltati nella seduta del 27 luglio 2016. Il 5 ottobre 2016 ed il  13 ottobre 2016 è stata la volta dei rappresentanti della Ebay Inc e di Alibaba Group. Il 27 ottobre 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti di Facebook Italia ed il 10 novembre 2016 quelli di Google ed il 18 gennaio 2017 i rappresentanti di Amazon; la Guardia di finanza è stata ascoltata nella seduta del 9 marzo 2017 con riferimento al cosiddetto dark web. Il 16 marzo 2017 è stato ascoltato il Presidente dell’International AntiCounterfeiting Coalition (IACC) degli Stati Uniti d’America ed il 27 marzo 2017 sono stati ascoltati il rappresentante dell’OECD, Counsellor Reform of the Public Sector Public Governance and Territorial Development  ed il Vice Comandante dei ROS dell’arma dei Carabinieri. Qui di seguito sono sintetizzati gli aspetti più significativi delle audizioni, sulla base degli stenografici pubblicati.

L’attività della polizia postale. La polizia postale, nell’ambito della propria mission istituzionale (volta principalmente a contrastare gli attacchi alle strutture informatiche, il cyber terrorismo, la pedopornografia on line, il financial crime) svolge anche una serie di significative attività di prevenzione e contrasto della pirateria digitale.

Si tratta infatti di un fenomeno in continua crescita per la presenza sul web di circuiti di condivisione di file e di servizi che consentono agli utenti di accedere ad opere d’ingegno. Accanto alla diffusione illegale su internet di opere protette dal diritto d’autore (per contrastare la quale risulta efficace – almeno per gli utenti meno esperti – l’azione di inibizione dell’accesso svolta dalla polizia postale), una particolare attenzione è posta al c.d. card sharing, cioè la violazione dei sistemi di sicurezza o accesso condizionato, preposti alla distribuzione di contenuti televisivi a pagamento, al fine di consentirne la illecita visione anche ai soggetti non abilitati. Tali attività integrano il reato di frode informatica e accesso abusivo al sistema informatico, oltre che di violazione del copyright, con grave danno delle aziende che producono e diffondono programmi televisivi e che forniscono sistemi di sicurezza digitale.

La contraffazione trova inoltre facile sbocco attraverso l’e-commerce, la piattaforma mediante la quale le aziende vendono i loro prodotti; i siti web possono essere facilmente duplicati e spesso sono difficilmente distinguibili dai siti originali: per ottenere significativi risultati in questo campo risulta essenziale la cooperazione degli operatori privati.

Rilevante è l’impegno della polizia postale nel campo della prevenzione, con campagne di sensibilizzazione degli utenti, a partire dai più giovani nelle scuole, sull’uso corretto della rete e sui modi di difendersi da comportamenti illeciti degli operatori: una maggiore presa di coscienza da parte degli utenti è infatti condizione essenziale per contrastare anche il fenomeno della contraffazione via web.

Viene sottolineata la necessità di un potenziamento degli strumenti a disposizione, attraverso una disciplina comune a livello europeo (nella quasi totalità dei casi queste piattaforme sono allocate all’estero, e molte di esse sono in Paesi che hanno fatto ingresso negli ultimi anni nella comunità europea) ed anche una semplificazione dei controlli: ad esempio, anche la semplice identificazione dell’autore di un reato via internet richiede attualmente l’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, con conseguenze negative sull’attività di prevenzione e repressione. Viene segnalato anche un problema di coordinamento con l’Autorità garante delle comunicazioni, dovuto in particolare al fatto che tale Autorità opera sul piano amministrativo, mentre la polizia postale su quello penale.

L’attività della Guardia di Finanza e la cooperazione internazionale. Anche i responsabili della Guardia di Finanza sottolineano le difficoltà dell’attività di contrasto essendo il Web un terreno ideale per dissimulare la propria identità e spacciare per veri prodotti contraffatti. Particolari difficoltà si incontrano sul terreno distributivo-logistico, poiché i controlli possono essere bypassati “dalle piccole spedizioni che interessano i consumatori finali”.  Una delle criticità più evidenti è rappresentata dalla territorialità digitale, vale a dire la mancanza di territorialità fisica degli illeciti, poiché il maggior numero delle transazioni di prodotti contraffatti avvengono estero su estero, “senza che l’azienda italiana danneggiata ne abbia alcuna notizia”. A rendere tutto più difficile il fatto che produzione e stoccaggio del materiale illegale sono spesso separati territorialmente, a volte gestite da soggetti differenti.  La prima azione di contrasto diventa l’oscuramento dei siti che vendono questi prodotti, ostacolo che rallenta ma non debella l’attività, in quanto superato con la creazione di nuovi siti e la deviazione del traffico illecito.  Altra tecnica utilizzata per la vendita è il defacement, che sonda la vulnerabilità delle piattaforme informatiche che ospitano i siti, consentendo di utilizzarli per pubblicare pagine web di vendita di prodotti contraffatti, all’insaputa degli stessi proprietari delle piattaforme.

Assumono una particolare importanza i gestori dei servizi di vendita, che però si avvalgono delle limitazioni della responsabilità dell’intermediario decretate dalla Corte di Giustizia europea; a tale riguardo, in un mercato globale, risulta fondamentale la collaborazione internazionale e le operazioni congiunte tramite organismi quali Interpol ed Europol: solo tra il 2013 e il 2015 il settore contraffazione della Finanza ha aperto 70 scambi informativi con Paesi esteri , tra i quali spiccano Francia, Germania e Cina.  In tal senso viene citata l’operazione Opson, che ha consentito il sequestro su scala globale di 11.000 tonnellate e 814.000 litri di prodotti agroalimentari contraffatti o nocivi per la salute. La contraffazione delle merci con impatto sulla salute e sicurezza pubblica è una delle 9 priorità criminali individuate come meritevoli di attenzione dal SOCTA, il documento di analisi e valutazione delle dinamiche di diffusione e manifestazione della criminalità organizzata nel bacino dell’Unione europea.

Le stime dell’OCSE riferiscono di un volume d’affari per il mercato della contraffazione pari a 250 miliardi di euro: la Cina risulta essere il Paese leader per provenienza di merci illegali, mentre sono numerose le aree di specializzazione (Egitto per alimentari, Turchia per profumi e cosmetici, Hong Kong per accessori per la telefonia e computer). Negli ultimi anni si è sviluppato in Italia e in alcuni Paesi dell’Unione Europea un radicamento del fenomeno produttivo.

La pirateria audiovisiva. Risulta in forte calo l’utilizzo della tecnica peer to peer nella pirateria digitale audiovisiva, in quanto divenuto facilmente tracciabile dalle forze di polizia. Crescono invece i sistemi definiti cyberlocker, file sharing illegale che consente una schermatura societaria e di ‘parcheggiare’ i file pirata in server noleggiati. La differenza sostanziale tra la pirateria audiovisiva e la contraffazione di prodotti sul web risiede nel fatto che la prima rende anche con la pubblicità: i pirati audiovisivi guadagnano non solo dalla vendita del prodotto piratato, ma anche dalla notorietà e gratuità del sito su cui le opere sono caricate, che attirerà la vendita sempre maggiore di spazi pubblicitari. Per l’azione di contrasto è stato utilizzato l’approccio Follow the money, auspicato anche dalla Commissione Europea sul fronte della difesa del diritto d’autore, che vede l’aumento di approfondimenti sulle imprese che tramite la pubblicità sostengono questi siti online, allo scopo di chiarire la consapevolezza o meno di agire in un contesto illegale. A livello prettamente numerico il numero dei siti oscurati dalla Guardia di Finanza nel 2015 ammonta a 622, un incremento notevole rispetto al centinaio del 2013.

Peculiarità della contraffazione ed atteggiamento dei consumatori. L’economista Ofria ha illustrato alcune caratteristiche del fenomeno.

1) La contraffazione è un affare per la criminalità in quanto il profitto è elevato, ma i rischi sono minori rispetto a settori come il traffico di stupefacenti.

2) Offre prestazioni a “persone consenzienti”, un elemento che la accomuna a contrabbando e prostituzione. Non sono necessarie intimidazioni a chi “acquista consapevolmente il bene”.

3) E’ un fenomeno internazionale. Ofria offre un esempio che sintetizza il concetto: “Il profumo Chanel n.5 è prodotto a Napoli da personale nordafricano, ma le boccette vengono prodotte in Olanda, le etichette in Spagna, mentre le essenze arrivano dal Messico”.

Sul versante della domanda, in base ad uno studio commissionato dalla Direzione generale per la lotta alla contraffazione, emerge che “il 90 per cento dei consumatori sa che è un reato, il 70 per cento non si sente in colpa e il minor prezzo diventa l’elemento base per la domanda”. Il 96 per cento inoltre è consapevole che “il bene è dannoso”. Citando altro studio, Ofria si sofferma sulla definizione di bene inferiore, la cui domanda, al crescere del reddito, si riduce invece di aumentare. Secondo questo studio condotto a Messina c’è una forte correlazione tra il reddito e la domanda dei beni contraffatti. Ne emerge secondo l’economista “un elemento di debolezza nella ‘cultura’ del cittadino che preferisce questo tipo di bene: mostrare ad altri un certo bene diventa un elemento di status sociale e di apparenza”.

Le anomalie del sistema di contrasto. L’avvocato Andrea Caristi si sofferma su quelle che indica come le anomalie del sistema di contrasto agli illeciti perpetrati su internet, in particolare sulla regolamentazione dei prestatori di servizi. Questi sono ritenuti responsabili se a conoscenza dell’illiceità del fatto e la condotta illecita viene interrotta solo alla comunicazione dell’autorità giudiziaria. Ma, spiega l’avvocato, “a causa di un altro buco normativo che consente una forma di anonimato diffuso nella rete” spesso viene preclusa la possibilità di coinvolgere l’autorità giudiziaria. Altro elemento anomalo secondo il consulente è la conservazione dei dati di log (registrazione) per soli 12 mesi, in rispetto della normativa sulla privacy, ritenuta “incompatibile con la durata reale delle indagini preliminari” spesso prorogate oltre i 6 mesi canonici. Il consulente evidenzia la differenza con quanto prevede la normativa in materia di obbligo di conservazione dei tabulati telefonici, che è di 24 mesi. In conclusione Caristi si chiede se “gli organismi interni e comunitari non dovrebbero decidere se intendono dare una regolamentazione alla rete” perché “spesso una regolamentazione non è l’ostacolo allo sviluppo di un fenomeno, ma una tutela per il più debole. La mancanza di regole certe e coercibili da parte dell’autorità lascia spesso campo libero ai player più forti”.

I danni della pirateria alla filiera audiovisiva. Federico Bagnoli Rossi è segretario generale della FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) che raccoglie i soggetti che si occupano di intrattenimento audiovisivo. Cita uno studio redatto nel 2011 con l’IPSOS che aveva per la prima volta analizzato il fenomeno della pirateria, suddividendola in tre tipologie principali: fisica, digitale e indiretta. Secondo questi dati all’epoca la filiera dell’audiovisivo, che comprende produzione e distribuzione, perdeva circa 500 milioni di euro l’anno a causa della pirateria. Perdite che si sono riversate sul settore occupazionale: il segretario della FAPAV cita 600mila posti di lavoro in meno all’interno delle imprese di carattere culturale.

Dati allarmanti sulla catena distributiva della pirateria. “Più del 90 per cento delle volte in cui viene catturato e quindi rubato l’audio, il video o entrambi, questo accade nella sala cinematografica…poi c’è l’editing, una vera e propria industria che con una vera e propria filiera arriva allo stadio finale, che è quello di uplodare il contenuto su internet nelle varie modalità”. Altro dato citato dal segretario FAPAV è l’intervallo tra l’uscita del film nelle sale e la presenza in rete: oltre la metà (58%) finiscono online entro 72 ore dall’inizio delle programmazioni nei cinema. Una “fetta importante” di questo dato si riferisce a film già online prima dell’uscita ufficiale.

Regole e priorità del FAPAV. Nonostante questi dati allarmanti, viene sottolineato come l’Italia sia “senza dubbio tra le migliori a livello europeo per quanto riguarda la tutela dei contenuti audiovisivi e culturali” a livello di contrasto investigativo e giudiziario. Dal punto di vista normativo, pur lodando l’efficacia del regolamento AGCOM, si auspica una implementazione dello stesso, “perché ad oggi si riesce a bloccare attraverso il blocco del DNS in soli 12 giorni una piattaforma massiva di pirateria, però sarebbe auspicabile una crescita e quindi un’implementazione del blocco congiunto con l’indirizzo IP, facendo risultare ancora più efficace un regolamento molto soddisfacente”. Sull’autoregolamentazione viene citato come “fondamentale” l’approccio Follow the money, sponsorizzato dalla Commissione Europea e citato in una precedente audizione dai responsabili della Guardia di Finanza. Il segretario conclude sintetizzando le tre priorità indicate della Federazione nel contrasto alla pirateria: maggiore responsabilità degli intermediari, destinati a imporsi come venditori di contenuti; impegno delle istituzioni nel contrasto agli illeciti; cooperazione fra Paesi.

Il mercato della musica digitale. Enzo Mazza, Presidente della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), spiega come i ricavi digitali siano in crescita e come il mercato si stia spostando sull’area dello streaming, passando dal possesso all’accesso dei contenuti. “Nel 2014 il mercato è cresciuto del 4 per cento, quest’anno del 15 e la crescita sarà ancora superiore, con un passaggio dal 38 al 40 per cento della fetta rappresentata dal digitale”. In questo settore il fenomeno la pirateria utilizza le piattaforme torrent e ai cyberlocker, che consentono agli utenti di scaricare i contenuti desiderati.

La direttiva sull’enforcement e le responsabilità degli intermediari. Mazza è d’accordo su molti punti toccati in audizione dal segretario FAPAV: l’efficacia dell’azione di contrasto penale, la richiesta di implementazione del regolamento AGCOM, un coinvolgimento degli altri Paesi per una regolamentazione comunitaria e la definizione delle responsabilità degli intermediari che operano attraverso le piattaforme, modificando la direttiva sull’enforcement.

“Gli intermediari di oggi non sono gli intermediari del 2013, sono soggetti attivi nel processo, mentre la direttiva fu concepita per inquadrare società di telecomunicazioni, quelle che mettevano i cavi ed erano totalmente innocue e trasparenti rispetto al processo. Oggi abbiamo realtà che fanno tutto e che si nascondono dietro all’esenzione di responsabilità sulla base della direttiva sul commercio elettronico, e su questo tema pongono anche delle problematiche in relazione alle contrattazioni e ai negoziati con titolari di diritti. Le piattaforme illegali cercano di ottenere ulteriori vantaggi nascondendosi nelle pieghe delle normative comunitarie”.

Il Presidente FIMI sottolinea ancora un paio di criticità. Da una parte l’assenza del cosiddetto notice and stay down, vale a dire l’impossibilità per le piattaforme di rendere disponibile lo stesso contenuto dopo un breve lasso di tempo una volta che questo è stato segnalato come ‘pirata’. Dall’altra il mancato obbligo della registrazione dell’identità dei clienti. “Il provider che offre a un altro soggetto business uno spazio per ospitare il contenuto deve chiedere a questo soggetto i suoi dati e questo soggetto deve essere identificabile, in modo tale che poi su richiesta della magistratura o delle autorità tali dati possano essere messi a disposizione per un contrasto efficace”.

Software illegali e competitività. Paolo Valcher, presidente di BSA Italia (Business Software Alliance) informa la Commissione dell’evoluzione che sta attraverso il mercato di riferimento, con lo sviluppo del cloud computing che consente a piccole e medie aziende l’utilizzo di tecnologie a prezzi notevolmente più bassi del recente passato, quando a permettersele erano solo le grandi imprese. Un aspetto particolarmente significativo per l’Italia, Paese notoriamente popolato soprattutto da PMI.

Il fatturato dell’information technology e dei software in Europa ammonta a 200 miliardi di euro, mentre secondo una ricerca BSA il volume d’affari globale dei software piratati è pari a circa 63 miliardi, con un tasso di pirateria in Europa del 29%, per cui un’azienda su tre utilizzerebbe prodotti illeciti. Sotto questo aspetto l’Italia è indietro nella classifica europea, con una percentuale decisamente superiore alla media, pari al 47%. Secondo un’altra ricerca condotta dalla BSA “se questo tasso di pirateria del software potesse diminuire di 10 punti in quattro anni, cosa che può essere considerata fattibile, di 2,5 punti all’anno, si potrebbero recuperare più di 7.000 posti di lavoro e 5 miliardi di valore di attività, perché vuol dire che su questo software puoi costruire dei servizi”.

Valcher cita anche il World Economic Forum, che in merito al tema della competitività “ha dimostrato che i 20 Paesi con la più forte tutela della proprietà intellettuale nell’ambiente IT sono anche quelli che crescono a livello di competitività più velocemente rispetto ad altri”. L’utilizzo di software illegali diventa anche un problema di cyber security per le Pubbliche Amministrazioni, poiché “il 79 per cento dei software illegali subisce ad esempio attacchi di tipo malware, quindi di oggetti che entrano nel computer e creano danni”. A tal proposito Valcher sottolinea come la BSA operi da consulente della Finanza durante le cicliche operazioni di controllo sul territorio. Citando un report dello scorso novembre sottolinea come su un totale di 22 ispezioni in 9 province, solo 9 siano risultate in regola.

Le criticità a livello europeo e internazionale. Il 10 marzo 2016 è stato audito Claudio Bergonzi, segretario generale di INDICAM (Istituto di Centromarca per la Lotta alla Contraffazione) che riunisce 140 imprese italiane e multinazionali. Il giro d’affari della contraffazione viene stimato dalla Camera di Commercio Internazionale attorno ai 1.300 miliardi di dollari, cifra notevolmente superiore alle stime OCSE sopracitate, perché viene tenuto conto anche delle merci “prodotte nazionalmente” e non solo quelle scambiate. A livello globale Bergonzi sottolinea le criticità che provengono da Paesi quali Turchia ed Egitto.

“In questi giorni la situazione è drammaticamente bloccata nei controlli doganali, a seguito di due sentenze abbastanza infauste della Corte di giustizia del 2009, note come sentenze Nokia e Philips. Le dogane non hanno più avuto possibilità di intervenire su istanza di un titolare di diritti, qualora chiedesse l’intervento se la merce dichiarata in transito recava un marchio contraffatto. Perché, se veniva dichiarata solamente in transito, non c’era possibilità di intervento. Se uno falsifica merce, può anche falsificare la dichiarazione di transito. La Commissione UE aveva da subito stabilito un principio, che era molto simile allo USA ACT, principio americano che prevedeva che qualsiasi merce recante un marchio contraffatto che transitasse sul territorio dell’unione – in questo caso americana – potesse essere bloccata su istanza del titolare. Ovviamente questo era l’auspicio della Commissione, ma in ambito di Consiglio e di Parlamento non si è mai arrivati ad una soluzione definitiva”.

Una situazione parzialmente sbloccata dalla proposta di regolamento e direttiva approvata a dicembre 2015 dal Parlamento europeo. La proposta viene considerata migliorativa, ma non risolutrice. “Le merci possono essere bloccate sul territorio comunitario qualora destinate a un Paese terzo, se il detentore della merce non è in grado di dimostrare che il titolare di diritti non ha eguali diritti nel Paese terzo di destinazione…ma esistono Paesi nel mondo che non contemplano la registrazione, quindi basta indicare come Paese terzo di destinazione uno di questi e il gioco è fatto”. Il regolamento, entrato in vigore il 23 marzo, deve essere adottato dagli Stati entro il 14 gennaio 2019. L’auspicio di INDICAM è che tale direttiva venga recepita dall’Italia e che il nostro Paese faccia pressione sugli altri membri dell’UE affinché facciano altrettanto.

Analoghe criticità a livello comunitario vengono sottolineate sul Digital Market, in crescita del 25% ogni anno. Obiettivo indicato dall’INDICAM è lavorare sul Digital Single Market, “fare in modo che lo spazio europeo sia un unico mercato digitale” e che si affronti il tema della direttiva e-Commerce regolante il commercio elettronico. Una direttiva datata (risale al 2000, recepita con legge nazionale del 2003), ritenuta obsoleta perché “si parlava di un digitale che non ha nulla a che vedere con quello di oggi” e che classifica gli attori della Rete in tre modi, senza tenere conto che le figure degli intermediari oggi sono notevolmente cambiate. “La responsabilità degli intermediari è il passo fondamentale perché in questo mercato, che è dicotomico tra marche e consumatori, ci sia qualcuno in mezzo che agisca nelle garanzie degli uni e in collaborazione con gli altri”.

La tutela della salute. Il 17 marzo è stata la volta di Claudio Vincelli, Comandante del comando Carabinieri tutela della salute. I Carabinieri del NAS hanno quattro aree di intervento: alimentare, sanitaria, luoghi di lavoro e chimica. E’ preposto alle attività di controllo e di sicurezza su tutta la filiera alimentare. Agisce a livello internazionale in sinergia con Europol e opera con Interpol in riferimento a progetti nel settore farmaceutico e alimentare. Nel corso dell’ultimo semestre europeo di presidenza italiana si è proposto per definire un documento politico-strategico denominato “Conclusioni del Consiglio d’Europa sul ruolo della cooperazione di polizia in materia di crimine alimentare”, sulle criticità nell’attività commerciale tra i Paesi, allo scopo di stabilire rapporti reciproci tra le Polizie europee.

Il Comandante spiega che “questi rapporti di collaborazione hanno dato vita a una serie di attività in corso in tema di integratori alimentari, prodotti fitosanitari e contraffazione dei siti  web. Ci sono piattaforme di e-learning per le attività di addestramento tra le varie forze interessate in modo particolare al contrasto della frode alimentare. Si stanno condividendo iniziative per la realizzazione di un museo del falso alimentare, con l’individuazione e l’acquisizione di prodotti che riguardano soprattutto il falso made in Italy”.

Le attività di prevenzione e contrasto. Vincelli, riferendosi alla fase operativa, sottolinea come in genere vengano fissate delle “attività mirate” su settori specifici. Come esempio cita una serie di operazioni sulla filiera dell’olio che hanno condotto al “sequestro di 325.000 chili di olio e di 68.000 chili di olive, la contestazione di 26 infrazioni penali e di 295 infrazioni amministrative, la denuncia di 22 persone alle competenti autorità giudiziarie, il deferimento di 179 persone all’autorità amministrativa, la chiusura e il sequestro di 10 strutture di produzione e imbottigliamento di olio per carenze autorizzative”. Analoghe operazioni sono state condotte sulla produzione di mozzarella di bufala campana e nei settori dei prodotti ittici, ortofrutticoli e dell’alimentazione etnica.

Nel triennio 2013-2015 “su 115.699 controlli, sono state rilevate 38.007 non conformità (circa il 33 per cento).  Oggetto della non conformità sono frodi in commercio, adulterazione e contraffazione di alimenti, igiene degli alimenti, etichettatura, tracciabilità e carenze igienico-infrastrutturali. Per quanto concerne le sanzioni penali, che nel 2013-2015 sono state ben 9.198, il 19 per cento ha riguardato reati di frode in commercio, il 6 per cento l’adulterazione e la contraffazione, il 23 per cento l’igiene degli alimenti. Delle sanzioni amministrative, che sono state in totale 52.174, il 9 per cento ha riguardato l’etichettatura e la tracciabilità degli alimenti e il 66 per cento le carenze igienico-infrastrutturali”. Nel confronto sui tre anni precedenti viene registrato un aumento dei controlli a fronte di un “tendenziale decremento delle irregolarità”. Viene segnalato il mercato legato alla contraffazione dei farmaci, un “grosso business” per strutture criminali e illegali.

L’erosione del porto sicuro dei provider. Affrontando i problemi della legislazione europea in merito al diritto d’autore, i rappresentanti della SIAE mettono in risalto l’aspetto più controverso, già affrontato in precedenti audizioni, nell’applicazione del regime di responsabilità degli intermediari, in particolare in riferimento agli hosting provider: “L’assenza di un obbligo di sorveglianza sulle informazioni memorizzate trasmesse si traduce di fatto nell’escludere che si possa imporre al provider, anche a posteriori, un filtraggio su specifici contenuti”.

Si evidenzia però come a livello mondiale venga “eroso” quello che è definito il “porto sicuro dei provider”, una dimensione di limitata responsabilità agli operatori della rete per tutto ciò che attiene al transito di contenuti sulle loro strutture tecnologiche di riferimento. E viene citata in tal senso una recente sentenza della Corte federale della Virginia che ha condannato un internet service provider degli Stati Uniti, non consentendo l’invocazione della clausola del porto sicuro, prevista nella legislazione americana da una norma che è “corrispondente” alla direttiva europea sul commercio elettronico. “E’ un segnale molto forte di un passaggio concettuale dal cosiddetto notice and take down, che consiste nell’intervenire quando c’è una notizia di violazione e rimuovere, al cosiddetto notice and stay down”. Concetto che riprende quanto già affermato nell’audizione del presidente della FIMI. “Occorre che l’operatore si attivi responsabilmente perché, una volta rimosso, il contenuto illecito non possa essere più ricaricato.  È un concetto che sta penetrando adesso anche nella nostra legislazione, con il ruolo che il regolamento AGCOM sta svolgendo nel nostro ordinamento”. Regolamento, in vigore da 2 anni (aprile 2014), che colpisce chi consente la messa a disposizione di materiale non autorizzato.

Dati sul contrasto dal nuovo regolamento AGCOM. Delle 493 istanze presentate, poco meno della metà riguardano il settore audiovisivo, un centinaio a testa si riferiscono al settore musicale e a quello editoriale. Nel settore musicale la nascita di piattaforme legali ha di fatto tolto margine di manovra ai ‘pirati’, mentre l’audiovisivo resta ancora “appetibile”. Restano comunque estremamente significativi i dati della pirateria in campo musicale, il cui valore di mercato stimato dalla SIAE (200 milioni) è più che doppio rispetto al mercato legale digitale (60-70 milioni). L’audiovisivo, pur avendo un mercato inferiore se paragonato al musicale, vede la pirateria superare 10-15 volte il valore del mercato legale.

“Di queste istanze ne sono state avviate 314. 139 provvedimenti hanno prodotto un blocco amministrativo delle property web. L’avvio del procedimento ha portato a questi numeri sul blocco e a circa 120 adeguamenti spontanei, che sono una forma più avanzata rispetto al processo preliminare di notice and take down . …La SIAE ha prodotto solo sul mondo musicale circa la metà dei provvedimenti che sono stati avviati. Dei 50 provvedimenti che ha avviato 43 hanno portato al blocco…SIAE ha richiesto la rimozione selettiva, su 122 portali di circa 20.000 link. Dietro a un link ci può essere una sola canzone o un solo contenuto audiovisivo oppure l’intera discografia di un artista. Stimiamo che dietro a questi 20.000 link abbiamo rimosso circa mezzo milione di opere. Inoltre, abbiamo aggredito due piattaforme di aggregatori di web radio, che aggregano circa 400 web radio. Pertanto, abbiamo bloccato queste 400 web radio che trasmettevano illecitamente”.

In merito alle azioni da mettere in atto per rafforzare il regolamento AGCOM, viene sottolineata una criticità dell’attuale situazione. Il regolamento infatti agisce sul nome del dominio (DNS) ma non sull’Internet Protocol (IP). In questo modo un DNS “può facilmente rinascere” con lo stesso IP ma su un altro dominio. Poter agire anche sull’Internet Protocol consentirebbe “un livello ancora più robusto di deterrenza e di impatto sul blocco di questi provider illegali”.

Modelli contro la pirateria musicale: un nuovo mercato del digitale. La Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale (FPM) riunisce circa 600 etichette musicali. Il segretario Luca Vespignani evidenzia come non sia possibile contrastare la contraffazione e la pirateria senza affiancare alle operazioni di enforcement “una sana politica di distribuzione digitale”, rivoluzionando quelli che sono i modelli di business, giungendo ad una distribuzione gratuita per una parte del catalogo digitale. La metà del fatturato della musica mondiale è prodotta dal digitale. In Italia siamo al di sotto, con il 41%. “Questo accade per un motivo molto semplice: in Italia è ancora più difficile usufruire dei servizi in digitale rispetto all’estero. C’è poca propensione all’utilizzo dei pagamenti in forma digitale” e persistono i problemi in alcune zone d’Italia sulla banda larga. “Dopo dieci anni in cui l’industria musicale ha perso circa il 70 per cento a valore, da due anni cresce…. quel famoso momento del cosiddetto «raggiungimento del livello di compensazione», fra il fisico che cala e digitale che cresce è probabilmente arrivato”. Sul fronte del contrasto, il segretario FPM segnala dati positivi: i fenomeni legati alla pirateria (cyberlocker, ripping etc.) sono numericamente in calo. Ma 5 milioni di italiani ancora utilizzano servizi illegali di distribuzione della musica.

“In Italia, sono più di 500 i siti bloccati dal 2008 a oggi – solo di musica – con blocchi IP/DNS per via penale. Stiamo parlando, a livello internazionale, di più di 100 milioni di richieste di delisting a Google. Chiedere il delisting vuol dire chiedere ai motori di ricerca di eliminare, dai risultati della ricerca, i link a sistemi illegali. Parliamo di più di 25 milioni diffide, inviate alle piattaforme per la richiesta di rimozione di contenuti illeciti, e parliamo di più di 4.000 applicazioni, rimosse dai due principali marketplace, quindi da Google Play e Apple Store”.  Vespignani indica dunque tre priorità:

1) creare, come si diceva, un ambiente digitale di distribuzione della musica. Il tutto passa da investimenti e contrasto al mercato illegale;

2) convertire gli investimenti pubblicitari. Molti siti illegali attirano pubblicità che finisce per drenare risorse e frenare gli investimenti. “Le agenzie che si occupano di gestire questo traffico pubblicitario hanno la possibilità di creare blacklist e di impedire che la pubblicità vada a finire su determinati siti…. Il problema è che quasi tutti ormai utilizzano agenzie pubblicitarie su internet che sono borderline, cioè sono agenzie che non aderiscono, per esempio, a IAB o ad associazioni di categoria degli advertiser pubblicitari”. Altra criticità sottolineata è che le agenzie in questione, in base alla normativa vigente, “non hanno responsabilità nello sfruttamento e nella posizione dei banner pubblicitari sui siti pirata”;

3) tutelare il mondo on-line, gli asset digitali dal punto di vista normativo, allo stesso modo del mercato ‘fisico’.

Sul blocco IP, in aggiunta al blocco DNS, da inserire nel regolamento AGCOM, sulla responsabilità degli intermediari e sul passaggio dal sistema “notice and take down” al sistema “notice and stay down”, le considerazioni di Vespignani ricalcano quanto già espresso nelle precedenti audizioni.

Il sigillo NETCOMM per il commercio elettronico. NETCOMM è un’associazione che raggruppa i 200 principali “giocatori” del commercio elettronico in Italia, dove per giocatori si intende chi vende e trasporta prodotti (Poste, DHL) e chi si occupa dei pagamenti (le banche). Allo scopo di favorire il settore del commercio elettronico, NETCOMM ha creato un’associazione europea (Ecommerce Europe) con gli omologhi francesi e olandesi. Ha inoltre inventato un bollino, un sigillo, “un trustmark, che si chiama sigillo NETCOMM. Esso ha l’obiettivo di verificare l’adeguatezza in termini di regole, norme e leggi, da parte dei siti che hanno accettato di sottomettersi a queste verifiche…Dopo che il soggetto ha accettato e ci ha permesso di verificare il proprio sito – la verifica è in termini di privacy o di adeguatezza rispetto alla legislazione relativa alla Digital Consumer Directive – noi attribuiamo questo sigillo, che garantisce al consumatore che il sito è verificato”. Analogo sigillo è stato introdotto su scala europea tramite l’Ecommerce Europe, chiamato Ecommerce Europe Trustmark. “Un soggetto italiano che ha il nostro sigillo può automaticamente mettere anche il sigillo europeo per garantire il consumatore francese, tedesco o inglese, il quale naturalmente è più garantito nel suo acquisto”. Tramite queste piattaforme il consumatore può anche attivare il contenzioso attraverso l’Alternative Dispute Resolution, inserita nelle direttive europee.

La reputazione italiana e le difficoltà sui canali online. Il mercato elettronico in Italia è in crescita (circa 19 milioni di consumatori), ma il Paese resta indietro rispetto al panorama europeo. in Italia in ci sono 40mila imprese che vendono prodotti online, in Francia sono 200mila: “Fatto 100 il totale delle vendite, l’8 per cento è intermediato dal canale online – la Francia, la Germania e l’Inghilterra hanno il 62 per cento di questo mercato. L’Italia ne ha il 3,7 per cento”. A livello di saldo commerciale l’Italia è in debito sul canale online: importa più di quanto riesca ad esportare. Un’anomalia per il Paese del made in Italy, che evidenzia una potenzialità ampiamente inespressa. Una situazione che è dovuta non solo al numero limitato di imprese che vende online (cinque volte meno della Francia) ma anche alla reputazione dell’Italia, intesa come “credibilità del sistema Italia nei confronti dei soggetti acquirenti a livello internazionale, come francesi, tedeschi e inglesi”.

Altra anomalia segnalata è che il commercio elettronico in Italia sia stato sviluppato prevalentemente da “società native digitali e non da quei soggetti (produttori, grande distribuzione) che hanno trasformato le loro vendite utilizzando il canale digitale. Essi hanno visto in questi anni sempre come pericolosa per loro la disintermediazione che il digitale poteva effettuare”. Ma le difficoltà si incontrano anche con i “piccoli soci”. Viene sottolineato come ogni 100 richieste da parte di aziende che vogliono ricevere il sigillo NETCOMM, 50 si concludono con un rifiuto. Questo perché “non riescono a mettersi in regola. Non riescono a capire neanche quello di cui stiamo parlando. Hanno difficoltà semantiche, lessicali e interpretative per adeguarsi alle norme”.

Blocco IP e blocco DNS. L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP), sulle differenze tra blocco DNS e blocco IP, questione già sollevata in precedenti audizioni, specifica che “c’è una differenza sostanziale sulle modalità di blocco…L’avvelenamento del server DNS, relativo alla gestione dei domini non è un blocco della comunicazione in quanto tale. Quello che, invece, chiamiamo dev/null, cioè il buttare via la comunicazione in un pozzo nero, che è un’attività di blocco sull’IP, rientra sotto le previsioni dell’articolo 15 della Costituzione: «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». Che cosa succede? Mentre fare il blocco sul DNS non viola la comunicazione – semplicemente non ti fornisco un servizio di traduzione – il blocco sull’IP è proprio una violazione della comunicazione. A questo punto, un’autorità amministrativa non può intervenire. C’è un’eccezione, ovviamente definita sempre dall’articolo 15: a meno che a farlo non sia l’autorità giudiziaria, che ha questo potere di bloccare la comunicazione”.

Sollecitato dai commissari, il rappresentante del’AIIP evidenzia un paio di criticità del sistema italiano e relative proposte per migliorare la situazione: 1) adozione di un metodo coerente nella modalità di blocco: il 50% delle volte i “decreti di attuazione sono contraddittori”; 2) creazione di un archivio dei siti bloccati. “Nessuno in Italia sa quanti siano” sottolineano dall’AIIP.

Mercato della pubblicità online. IAB è un’associazione che rappresenta l’intera filiera del mercato della pubblicità on line, da Google alle concessionarie e piattaforme tecnologiche o produttori di content digitali. Nel 2015 il mercato in Italia ha toccato i 2,15 miliardi di “perimetro di investimenti”, cifra calcolata da IAB e Politecnico di Milano. In questa cifra sono compresi coloro i quali vengono definiti “over the top”, ossia Google e Facebook (quest’ultimo non associato a IAB), che assieme pesano per 2/3 (il 65%) degli investimenti.

Follow the money. “I mercati che hanno prodotto delle linee guida antipirateria – spiega in audizione il Direttore Generale di IAB –  sono UK, Francia, Olanda, Slovacchia, Spagna e Polonia, ma tutti i Paesi stanno approntando linee guida per disciplinare una maggior attenzione, tesa a far sì che questi siti che possono ospitare pubblicità avendo contenuti piratati vengano inibiti, quindi che la pubblicità non vada ad alimentare i siti stessi. L’obiettivo delle azioni realizzate a livello europeo nei Paesi citati e in particolare in Italia è seguire il concetto del follow the money, quindi tagliare i finanziamenti che, in larga parte dei casi per quanto riguarda il mondo del web, derivano dall’attività di sfruttamento dei bacini pubblicitari. La maggioranza dei siti internet a livello globale quando non ha E-commerce vive di pubblicità, quindi inibire la pubblicazione di formati pubblicitari all’interno di quei siti che hanno contenuti non legali significa comprometterne la sussistenza. Questo è l’obiettivo”.

Il memorandum of understanding. IAB, assieme a FAPAV E FPM, nel 2013-2014 ha messo a punto il memorandum of understanding (MOU), allo scopo di recepire l’articolo 4 del Regolamento AGCOM, in cui “si promuove l’adozione di codici di condotta che contrastino il diffondersi della pirateria e la possibilità che siti che gestiscono contenuti non legali possano ospitare pubblicità… Il MOU fa in modo che, a fronte di una segnalazione che arriva dalle associazioni, IAB si attivi per far sì che il sito ospitante o meglio l’ad network, la concessionaria che gestisce la vendita di spazi pubblicitari su quel sito oggetto di attenzione, venga inibita e si blocchi la pianificazione di campagne pubblicitarie sul sito stesso”.  IAB ritiene sia più utile promuovere codici di autoregolamentazione, anziché imporre regole “all’esterno del web” che avrebbero come possibile conseguenza l’inibizione della capacità di generare business.

Il doppio binario. Durante l’audizione del Presidente di Confindustria Digitale, associazione che rappresenta circa 250mila addetti e un giro di affari da 70 miliardi di euro, viene messa in evidenza la politica del cosiddetto doppio binario: contrasto alla pirateria digitale e salvaguardia del diritto d’autore. A tal proposito viene sottolineata l’esperienza, ritenuta positiva, del già citato regolamento AGCOM, il quale prediligerebbe fin qui il secondo aspetto.

Come già sottolineato nelle precedenti audizioni, anche Confindustria Digitale pone l’accento sulla necessità di “identificare misure efficaci e in grado di ripartire correttamente azioni e responsabilità fra i diversi attori di una filiera complessa”. Viene inoltre sostenuto il concetto che le segnalazioni di illeciti debbano giungere solo da chi detiene i diritti “o da soggetti titolari di un interesse diretto alla tutela dei diritti violati, per esempio distributori di marchi”. Questo per evitare l’utilizzo opportunistico di tali segnalazioni.

Confindustria Digitale ritiene essenziale salvaguardare alcuni principi:

  1. esonero da ogni responsabilità legale e patrimoniale per i soggetti cosiddetti Internet service provider
  2. tempi certi e rapidi di azione
  3. segnalazione degli elementi necessari a individuare univocamente il contenuto che non deve essere più disponibile in rete
  4. diritto al contraddittorio e a ricorrere eventualmente contro le decisioni sfavorevoli.

La tecnologia Fingerprint. L’ultima parte dell’audizione, con la responsabile rapporti istituzionali e regolamentazione di Asstel, vede la proposta di sviluppo di tecnologie “innovative” per la riconoscibilità online del contenuto. A tal proposito viene citato il progetto Fingerprint.

Quando un soggetto produce un’opera intellettuale, la registra a Youtube, il quale identifica un “fingerprint” attraverso un algoritmo “una sorta di identificativo di quell’opera che viene inserito nei sistemi. Pertanto i sistemi sono in grado di riconoscere l’opera senza violare la riservatezza delle comunicazioni di chi quell’opera sta visualizzando o caricando. A quel punto, scatta per il titolare del diritto un’opzione: può decidere di chiedere la rimozione tutte le volte che l’opera passa sulle reti tramite i server, oppure decidere di partecipare ai revenue, ossia ai ricavi che l’utilizzo di questa opera genera tramite la pubblicità”. La quota dei ricavi a favore del titolare del diritto è pari al 70 per cento.

I “player” dell’E-commerce: eBay. A partire dal mese di ottobre 2016 la Commissione ha dato il via ad una serie di audizioni dedicate alle principali aziende impegnate nel campo dell’E-commerce, per approfondire il capitolo dei problemi legati alla contraffazione in questo specifico settore.  La prima ad essere audita è stata eBay, piattaforma internet che consente ai venditori e agli acquirenti di trovarsi e di compiere delle transazioni per la vendita di beni di qualunque genere. L’80% delle merci disponibili sono affidate da venditori professionisti che intendono piazzare merce “nuova” e non di seconda mano o legate al mondo del collezionismo, un mercato precedentemente identificabile con eBay. “eBay non è Amazon” (che si occupa di vendita al dettaglio) viene specificato durante l’audizione.

Quando i problemi legati all’espansione del mercato online di prodotti contraffatti sono diventati ingestibili, le società dell’e-commerce si sono riunite attorno ad un tavolo assieme alle autorità comunitarie. Il risultato di questo confronto è stato un memorandum, firmato anche da numerosi marchi di moda. “Da quando abbiamo firmato questo memorandum nel maggio 2011 abbiamo visto la scomparsa dei contenziosi e un aumento dei rapporti di collaborazione, il che ha segnato un enorme successo”.

I problemi legati alla gestione di un mercato enorme sono riassumibili in un dato: un miliardo di oggetti è in vendita a livello globale e decine di milioni di nuovi oggetti, che “non vediamo fisicamente”, vengono immessi sul mercato ogni giorno.  L’altra difficoltà è legata ad una seconda caratteristica: è un sistema aperto. In Italia vi sono 30mila venditori professionali e 5mila acquirenti. Solo su eBay oltre 100 imprese fatturano cifre superiori al milione di euro. Per eBay la contraffazione è un problema: “chi compra un oggetto contraffatto sul sito e lo riceve è ovviamente deluso dall’acquisto e non torna”. O si limiterà ad acquisti di valore più basso, perché non rischierà di comprare un prodotto ad alto prezzo col pericolo di ricevere merce contraffatta. “Noi abbiamo un sistema di garanzia per gli utenti, tra l’altro recentemente introdotto anche in Italia, che fa sì che qualora si acquisti qualcosa su eBay e non ci si dichiari soddisfatti perché l’oggetto non è conforme alla descrizione o è contraffatto, eBay subentra e rende i soldi all’acquirente, quindi ogni oggetto contraffatto è per noi potenzialmente una perdita secca”.

Tre livelli di controllo e sicurezza. “Il primo è il livello proattivo: il nostro obiettivo è identificare noi stessi il più velocemente possibile oggetti a rischio di contraffazione ed eliminarli dalla piattaforma, facciamo questo con un mix di tecnologie, quindi regole automatiche che arrivano a identificare oggetti a rischio, abbiamo dei sistemi di intelligenza artificiale che guardano i pattern di abitudini e di comportamento dei venditori e riescono a capire i comportamenti che di solito sono correlati ad oggetti contraffatti. Il secondo livello di protezione viene dato di solito dai brand stessi o dai right owners, cioè dai detentori dei marchi, che tramite il programma Verify right owners (VeRO) ci aiutano ad individuare oggetti contraffatti, ci presentano una notice and takedown in formato elettronico, ci dicono quali sono gli oggetti che secondo loro sono contraffatti e noi verifichiamo e li eliminiamo dalla piattaforma”.

L’intesa con i marchi, ovviamente fondamentale, si esplica anche in una collaborazione continua attraverso incontri bilaterali di “formazione”, in cui rappresentanti delle aziende si recano presso i centri eBay per spiegare come riconoscere un oggetto o capo contraffatto. L’ultimo livello di protezione sono gli utenti stessi che indicano eventuali oggetti che ritengono contraffatti o segnalano l’acquisto di oggetti che si rivelano contraffatti. Il 60% delle merci contraffatte vengono bloccate già al primo livello (proattivo). Le sanzioni si esplicano su varie fasi, fino alla sospensione dei venditori. Vengono utilizzate “misure tecnologiche” per assicurarsi che venditori sospesi non ritornino sotto falso nome. La collaborazione esterna si applica non solo ai marchi, ma viene allargata anche alle forze di polizia. Le categorie più a rischio si confermano gli articoli di moda e l’elettronica di consumo.

Audizione di Alibaba Group. Il gruppo cinese rappresenta una delle principali società di commercio al dettaglio per volumi di vendita, con 430 milioni di utenti attivi in Cina. Il primo ufficio europeo è stato aperto nel 2015 in Italia, con lo scopo di collegare marchi e aziende italiane al mercato cinese.

Programma Market Safe.  Fondamentale per il gruppo è la collaborazione con i marchi (sono circa 100mila quelli che operano sulle piattaforme Alibaba). Tra le numerose partnership citate durante l’audizione, spicca quella con la IACC (Coalizione Internazionale per la lotta alla contraffazione) per consentire ad Alibaba di ricevere direttamente dai marchi le richieste di rimozione di inserzioni di prodotti contraffatti, secondo la tecnica notice and take down request. Dallo scorso mese di giugno sono 15 i marchi che hanno presentato tali richieste, che hanno consentito alla piattaforma di rimuovere in modo permanente 6807 venditori e quasi 200mila inserzioni potenzialmente illecite.

“La versione ampliata del programma MarketSafe sarà disponibile per tutti i marchi, grandi e piccoli, che siano membri o meno della IACC e che siano clienti o meno di Alibaba. Il programma sarà completamente gratuito: Alibaba metterà a disposizione fondi per aiutare i marchi più nuovi, che non conoscono il programma, a orientarsi. Nella fase iniziale i marchi non avranno oneri finanziari per presentare le loro eventuali richieste. Contiamo di arrivare a questo lancio, insieme alla IACC, alla fine di marzo 2017”.

I memorandum d’intesa con governi e operatori europei. Sono stati inoltre firmati memorandum d’intesa tra il gruppo cinese con governi e  detentori di diritti europei. Il memorandum, sostenuto dalla Commissione Europea, fa parte delle infrastrutture promosse dalle autorità comunitarie per difendere la proprietà intellettuale. Nel mese di agosto Alibaba ha firmato un altro memorandum con il governo italiano, in particolare con il Ministero Italiano delle Politiche Agricole, in relazione alle denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche, per esempio l’olio extravergine d’oliva toscano. Analogo e precedente memorandum d’intesa, firmato nel 2014, aveva consentito “di prevenire la vendita mensile di 99.000 tonnellate di parmigiano reggiano contraffatto, un quantitativo dieci volte superiore a quello del prodotto autentico, e la vendita di 13 milioni di bottiglie di Prosecco che non provenivano dal Veneto”.

L’efficienza del sistema di protezione Alibaba, secondo quanto viene sottolineato dai suoi rappresentanti, consente di analizzare circa 7 milioni di inserzioni al giorno attraverso scansioni proattive (esamina le caratteristiche dei prodotti, marchio, prezzo, geolocalizzazione, identità del compratore e del venditore, feedback dei consumatori). Dall’agosto 2015 all’agosto 2016 sono state rimosse, tramite questo tipo di sistema, circa 380 milioni di inserzioni.

La collaborazione con le forze di Polizia. Il sistema di collaborazione si allarga anche alle forze di Polizia. “Tra settembre 2015 all’agosto 2016 con il nostro aiuto è stato possibile chiudere circa 675 operazioni di produzione, stoccaggio o vendita di prodotti contraffatti. Negli ultimi tre anni con il nostro aiuto sono finite in carcere centinaia di contraffattori. Per poter assistere marchi internazionali e marchi cinesi in Cina abbiamo ampliato la portata geografica della nostra collaborazione con le autorità di polizia cinesi, passando da una sola provincia nel 2015 a diciotto province nel 2016”.

La prevenzione. Su questo fronte è stato sviluppato un sistema di “strike” (penalizzazioni) rivolto ad esercenti che pubblicano inserzioni poi rimosse. Penalizzazioni che vanno dalla sospensione della vetrina al congelamento dei fondi, fino alla riduzione della pubblicità a disposizione e alla chiusura permanente del negozio virtuale.

La posizione dei rappresentanti di Facebook. Laura Bononcini, a capo dei rapporti istituzionali di Facebook per l’Italia, spiega come siano 28 milioni gli italiani che utilizzano il social network (altri 9 milioni utilizzano Instagram, piattaforma acquistata da Facebook nel 2012). Come i rappresentanti di altre società durante le precedenti audizioni tenute in Commissione, anche la Bononcini sottolinea la necessità di tutelare le aziende dal fenomeno della contraffazione, non solo per ragioni etiche o legali, ma puramente commerciali (l’azienda che non si sente tutelata smetterà di utilizzarne i servizi). Fondamentale nel prevenire e contrastarne la diffusione resta la collaborazione con i marchi, allo scopo di capire in trend sulle violazioni della proprietà intellettuale ed effettuare le dovute verifiche.

Termini e condizioni dei due social network prevedono il divieto a pubblicare i contenuti che violano i diritti della proprietà intellettuale. Tra gli strumenti utilizzati per contrastare tali violazioni:

  • la segnalazione, basato sul DMCA (Digital Millenium Copyright Act), con cui i titolari dei diritti su marchi segnalano eventuali violazioni attraverso formulari dedicati, i quali sono necessari anche a Facebook per verificare che la segnalazione venga effettivamente da chi possiede la titolarità dei diritti. A verificare le segnalazioni è un team di persone, non algoritmi, attivo h24 sette giorni su sette. Gli account responsabili di ripetute violazioni vengono disattivati.
  • le ricerche sugli annunci pubblicitari, uno strumento in fase di sviluppo che consente all’azienda di verificare in quali annunci pubblicitari viene utilizzato il suo marchio. In questo modo è possibile identificare chi sta promuovendo invece beni contraffatti. E’ in fase di progettazione analogo strumento per la verifica non solo delle pagine Facebook, ma anche dei gruppi creati sui social network.
  • revisione automatica degli annunci pubblicitari prima della pubblicazione online (basandosi, ad esempio, sui criteri di costo del bene pubblicizzato)
  • prevenzione sulla creazione di nuovi profili falsi, attraverso l’identificazione di device e indirizzi IP
  • collaborazione con le forze dell’ordine e le autorità preposte ai controlli

L’utente di Facebook che si rende conto di aver acquistato un bene contraffatto attraverso annuncio pubblicitario sulla piattaforma social “lo segnala al titolare del diritto, quindi al marchio stesso che, trovandosi davanti a un trend, si mette in contatto con Facebook che può svolgere attività di indagini legate a questo tipo di violazioni”.

Audizione dei rappresentanti di Google. L’impegno di Google si focalizza su tre obiettivi: allargare la disponibilità di contenuti per gli utenti europei, contribuire all’aumento della remunerazione per i detentori dei diritti d’autore, impegnarsi nel contrasto alla pirateria e contraffazione. Viene presentato l’esempio di Youtube, piattaforma web che consente la condivisione e visualizzazione dei video, uno spazio utilizzato da “creator” (giovani creativi) e da detentori di diritti che hanno una storia, tra cui televisioni e case discografiche.

La valorizzazione del diritto d’autore. Ad esempio, per la visualizzazione e condivisione dei videoclip musicali, il sistema Content ID consente ai detentori dei diritti di monetizzare la raccolta pubblicitaria anche se altri utenti utilizzano la canzone per video personali. Il Content ID, introdotto nel 2007, è un sistema scalabile e automatizzato tramite il quale i titolari dei diritti possono identificare i video di YouTube che includono contenuti di loro proprietà.

“YouTube ha pagato più di 3 miliardi di dollari all’industria musicale, 2 dei quali grazie al sistema di Content ID” viene specificato durante l’audizione.  Sistema che consente pertanto di “valorizzare il diritto d’autore”: la messa a disposizione sempre maggiore di contenuti legali rappresenta una delle migliori risposte di contrasto alla pirateria. Inoltre, come già evidenziato in altre precedenti audizioni, anche i rappresentanti di Google evidenziano l’importanza dell’approccio “follow the money”, allo scopo di interrompere il flusso di denaro che supporta e alimenta le aziende che sviluppano business illegali basati sulla contraffazione.

Il funzionamento del Content ID su Youtube. Quando viene caricato un video sulla piattaforma, prima che questo venga reso disponibile online, viene confrontato con milioni di file di riferimento forniti dai detentori dei diritti (i quali hanno precedentemente stretto un accordo di partnership con Google). Al termine di questo confronto automatico, i detentori dei diritti possono chiedere a Google di bloccarne il contenuto, ricevere informazioni sulle visualizzazioni o monetizzarle. E’ possibile diversificare le decisioni da Paese a Paese.

Contrasto alle violazioni. Per quanto riguarda l’azione di contrasto, ecco alcune cifre fornite dai rappresentanti di Google sull’ultimo anno: annullamento di 670mila annunci su AdWords per violazione del copyright, esclusione di 91mila siti e chiusura di 11mila account per violazioni del copyright sulla piattaforma AdSense (annunci pubblicitari). Su segnalazione dei titolari dei diritti sono stati rimossi dai motori di ricerca circa 900 milioni di risultati. “Le segnalazioni valide nei confronti di un sito producono anche quello che noi chiamiamo un «segnale», che viene analizzato dagli algoritmi nel motore di ricerca e riconosciuto come indicatore di scarsa qualità del sito, che risulterà conseguentemente declassato nel ranking dei risultati per le ricerche future”.

Le perplessità sulla proposta di Direttiva europea. Google ha sottoscritto un accordo con la FIEG, Federazione Italiana Editori e Giornali, che mira sulla collaborazione e non su “sussidi e regolamentazione”. Google ritiene infatti poco efficace alcuni punti della proposta di direttiva elaborata dalla Commissione Europea sulla protezione delle pubblicazioni a carattere giornalistico, in particolare la cosiddetta “link tax”. Come controproposta Google ha sviluppato la ”Digital news initiative (DNI), una collaborazione a livello europeo tra Google e un gruppo di organizzazioni europee operanti nel campo dell’informazione. L’iniziativa è cresciuta ed è arrivata a contare oltre 1.000 organizzazioni che collaborano insieme.  Grazie a DNI sono state sviluppate nuove soluzioni innovative open source, è stato istituito un fondo di 150 milioni per tre anni per sostenere progetti innovativi in ambito giornalistico aperti a tutti gli editori europei”. Critico anche il giudizio sulla proposta che obbliga le piattaforme user generated content, ad esempio Youtube, a concludere accordi preliminari con i titolari di diritti, allo scopo di impedire la diffusione illecita di materiali protetti sulle piattaforme.  “La norma, come formulata ora nella proposta di direttiva, non è solo di difficile applicazione, ma rischia anche di essere molto dannosa – sostengono da Google – Da un lato incentiva le piattaforme a oscurare o bloccare tutti quei contenuti per i quali non vi è un accordo commerciale e, inoltre, costituisce una barriera all’ingresso nel mercato di nuove piattaforme o un ostacolo per la loro espansione”.

La vendita di beni contraffatti. Google offre diversi tipi di servizi: piattaforme di hosting pubblicitario (AdWords e Shopping), piattaforme di hosting non pubblicitarie (YouTube, Blogger e Google+); altri tipi di piattaforme non di hosting, come il motore di ricerca web Search. Sulle prime piattaforme, meramente commerciali, vengono applicate misure di tutela definite “aggressive”, sia proattive che reattive, nei confronti di annunci e inserzioni che “promuovano o tentino la vendita di beni contraffatti”. Sulle piattaforme non pubblicitarie sono state sviliuppate policy anticontraffazione, con strumenti messi a disposizione dei titolari dei marchi interessati, “per segnalare condotte contraffattive a seguito delle quali Google procede a rimuovere i contenuti ospitati o a chiudere l’account nei casi più gravi”. Nel 2012 sono stati chiusi 82.000 account di Adwords per violazione di norme anticontraffazione, nel 2015 appena 18mila. Questo viene giudicato come segnale del buon funzionamento del sistema di protezione applicato dalle piattaforme”.

Audizione Amazon. Tra le principali aziende di commercio elettronico statunitensi fondata nel 1994, Amazon ha aperto il proprio sito italiano nel novembre 2010. Il concetto aziendale della società è everything store, vendere qualsiasi cosa: dai libri all’elettronica, passando per la musica o le applicazioni. L’azienda compra al dettaglio dai produttori e rivende ai propri clienti.  Dal 2011 Amazon offre un servizio di marketplace per venditori terzi (in Italia principalmente piccole e medie imprese), offrendo loro un servizio di hosting provider. L’azienda ha lanciato un negozio interno al sito dedicato al made in Italy, primo servizio dedicato ai prodotti di eccellenza di un unico Paese. In Italia sono impiegate in Amazon 2350 persone.

Proprio per tutelare il made in Italy e i clienti la società ha sviluppato un rapporto di collaborazione con le istituzioni locali allo scopo di verificare l’effettiva identità dei venditori.

Le politiche anticontraffazione. I venditori del marketplace, dove il rischio di infiltrazione di prodotti contraffatti è maggiore, sono obbligati ad accettare le policy anticontraffazione prima di potersi registrare sul sito di Amazon. L’azienda è tra i firmatari del Memorandum of Understanding della Commissione Europea in tema di contraffazione, che prevede l’impegno a segnalare e rimuovere i prodotti anche solo “probabilmente contraffatti” attraverso il sistema del notice and take down già descritto durante le precedenti audizioni tenute dalla Commissione.

Key perfomance indicator. Allo scopo di rafforzare tali tutele, Amazon ha firmato protocolli d’intesa con i detentori dei diritti sulla proprietà intellettuale dei prodotti in vendita (Nike, Adidas, Chanel, Luxottica, Moncler). Questi protocolli includono indicatori di prestazione o key performance indicator (KPI). Questi indicatori saranno analizzati dalla Commissione europea due volte all’anno per valutare il processo del Memorandum of understanding. Gli indicatori di prestazione sono riportati sulla percentuale dei prodotti ritenuti contraffatti, sulla percentuale delle offerte rimosse e sulla percentuale delle sospensioni.

Come altre aziende ascoltate in precedenza dalla Commissione, anche Amazon prevede l’immediata sospensione dell’account di un rivenditore di merce contraffatta e, in aggiunta, la distruzione della merce senza che sia previsto alcun tipo di risarcimento.

Amazon ha costruito inoltre un programma “product quality” che vede la collaborazione di avvocati, esperti e investigatori che analizzano le segnalazioni ricevute dai titolari dei diritti. Sul fronte della prevenzione sono in continuo sviluppo una serie di strumenti tecnologici interni, per analizzare dati e cogliere possibili segnali d’allarme provenienti da profili di potenziali venditori di merce contraffatta. I settori in cui si registrano il maggior numero di segnalazioni sono la moda, l’agroalimentare e l’elettronica.

Audizione IACC. L’International AntiCounterfeiting Coalition (IACC) è un’organizzazione no profit nata negli Stati Uniti, finalizzata a combattere la contraffazione e la pirateria digitale, di cui fanno parte oltre 250 società internazionali. L’approccio dell’associazione in merito alla contraffazione online è quello di neutralizzare la capacità di elaborare i pagamenti e di trarre vantaggio da operazioni illeciti.

L’approccio Follow the money attraverso la piattaforma Rogue Block. Lo IACC ha sviluppato e lanciato nel 2012 il programma RogueBlock, allo scopo di tutelare i diritti della proprietà intellettuale attraverso il principio del follow the money, anche quando il denaro fluisce oltre i confini nazionali e le linee tradizionali giurisdizionali. Rogue Block è una piattaforma che condivide informazioni relative alla contraffazione on line, fornisce ai titolari di diritto una procedura semplificata per denunciare i siti illeciti che vendono beni contraffatti.

Dal 2012 al 2017 l’utilizzo di questa piattaforma ha consentito la chiusura di oltre 5mila conti commerciali utilizzati per servire traffici illeciti di beni contraffatti. Agire sui conti, la cui creazione o migrazione richiede tempi lunghi, rappresenta una metodologia di contrasto molto più efficace rispetto alle azioni messe in atto contro i domini, perché i siti al contrario possono essere sostituiti molto rapidamente. “Poiché molti contraffattori utilizzano un unico conto per elaborare i pagamenti attraverso reti di siti, un’azione di successo contro l’esercente che vi si celi dietro può avere un effetto esponenziale. Calcoliamo che i 5.300 conti commerciali chiusi, a seguito dell’attuazione del programma, hanno avuto diretto impatto su oltre 200.000 siti illeciti”.

Il successo del programma è dovuto anche alla continua evoluzione dello stesso, attraverso collaborazioni sempre più strette con gli operatori finanziari, fornendo anche opportunità di formazione diretta alle banche sulle tecniche di acquisizione e monitoraggio degli esercenti ad alto rischio.

Relazione finale. Il 2 febbraio 2017 la Commissione ha avviato la discussione sul documento finale riguardante la contraffazione via internet: il documento finale è stato approvato il 23 marzo 2017.

 

(ultimo aggiornamento: 10 maggio 2017)

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)