Premessa. La Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, nell’ambito degli approfondimenti sul tema delle bonifiche dei SIN (Siti di Interesse Nazionale), nella fattispecie quello di Brindisi, ha ascoltato in audizione il 2 maggio 2016 i rappresentanti della società Basell Poliolefine Italia Srl, Guido Bechi, amministratore delegato di Chemgas Srl, Daniele Ferrari, amministratore delegato di Versalis Spa e Giovanni Milani, amministratore delegato di Syndial Spa. Il 3 maggio 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti di Cementir Italia Spa di Taranto, di Taranto Energia srl e dell’amministratore unico di Italcave con riferimento al SIN di Taranto.

Il petrolchimico. La superficie dell’intero sito del petrolchimico è di circa 460 ettari: 70 destinate ad attività produttive e le restanti ad attività ausiliarie, trattamenti e depurazione, stoccaggio di prodotti finiti e sottoprodotti. Dal 2003 al 2006 sono state completate le attività di caratterizzazione. Nel 2006, secondo quanto riferiscono i rappresentanti della Basell, “le società insediate presso il sito multisocietario Basell, Versalis, Syndial, Chemgas, Enipower, hanno attivato un sistema di sbarramento idraulico delle acque della falda costituito da pozzi di emungimento con invio delle acque all’impianto di trattamento acque di falda, denominato TAF… L’efficacia della barriera è stata più volte oggetto di verifiche e di studi specifici, che hanno permesso di confermare la bontà delle scelte operate presso il sito”. Una nuova linea TAF è stata avviata nel 2010 con Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) prorogata fino al 2019.

Le bonifiche dell’area Basell. La Basell occupa il 10% dell’intera area (circa 45 ettari). Uno studio del 2010 ha evidenziato un potenziale rischio per l’inalazione vapori da composti organoclorurati nella sola area ex magazzino perossidi. A seguito dei monitoraggi eseguiti nell’area nel 2014, “è stato possibile escludere condizione di potenziale rischio per la salute dei lavoratori sia in ambienti aperti sia confinanti”. Nel 2013 è stato presentato un piano di indagine sui terreni.  “Le indagini di caratterizzazione ambientale e la conseguente analisi di rischio sanitario ha permesso di individuare pochi e circoscritti superamenti delle CSC, la concentrazione soglia di contaminazione, nei terreni insaturi esclusivamente per i composti arsenico, IPA, idrocarburi leggeri e pesanti”. Sul versante rifiuti, le attività di caratterizzazione del 2005 hanno riscontrato la presenza di un quantitativo pari a circa 4.000 tonnellate di rifiuti tra pericolosi e non pericolosi. L’attività di rimozione si è conclusa nel 2015. L’accordo di programma prevede “l’onere da parte della pubblica amministrazione di procedere alla messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda inquinate da realizzarsi ai confini delle aree demaniali, mentre Basell è tenuta alla bonifica dei suoli e alla verifica di concerto con gli enti di controllo che non vi sia il superamento dei limiti normativi vigenti e l’esposizione per i lavoratori”. Stando a quanto riportato dagli esponenti della Basell, al momento la parte pubblica non è ancora intervenuta con l’applicazione della prevista barriera fisica.

Le aree Chemgas. Chemgas è la società a cui negli anni Novanta è stata affidata la gestione dei gas tecnici con impiego industriale (azoto per l’industria chimica, allo scopo di evitare che i serbatoi abbiano fuoriuscite di vapori “non accettabili”; ossigeno e argon per le saldature). L’area occupata dallo stabilimento Chemgas è di circa 17mila metri quadri. Pur non avendo problemi diretti di inquinamento, l’area “galleggia” sulla falda in cui sono giunti degli inquinanti, pur non facendo riscontrare inquinanti nella matrice suolo. La Chemgas si è affidata alla Syndial (ENI), che si occupa delle bonifiche.

La bonifica dell’area Enipower. L’area Enipower si estende per circa 36 ettari (l’8% del totale) e produce energia elettrica e acqua demineralizzata. Non viene più utilizzato né immagazzinato dal 2007 l’olio combustibile. La centrale pertanto “non è a rischio di incidenti rilevanti, proprio perché non utilizza questa fonte….Il processo produttivo è un processo co-generativo ad alto rendimento, e di conseguenza a basso impatto ambientale”.

In merito all’attività di gestione di rifiuti, essi vengono trattati in aree dedicate. Sono di due tipi: rifiuti speciali pericolosi come i filtri delle unità di produzione dei cicli combinati, oli esausti di lubrificazione, solventi. E rifiuti non pericolosi come imballaggi e materiale ferroso.  Una terza tipologia di rifiuti è legato alle attività di bonifica, definiti di decommissioning e demolizioni. Essendo unità di produzioni datate vi è anche una presenza di amianto. In merito alla bonifica viene evidenziato come “l’attività delle centrali non comporta interferenze con le matrici suolo, sottosuolo e acque sotterranee….  I volumi trattati sono stati 15.000 metri cubi prima, con un processo di fitodepurazione. È stato realizzato un progetto sperimentale della durata di quattro anni, in cui tramite un ciclo vegetativo piante quali il mais sottraggono al terreno materiali inquinanti. Il processo ha funzionato per parte dei materiali contaminanti quali rame, piombo, zinco, non ha funzionato per il mercurio”. Sul mercurio si è proceduto con attività di scavo e smaltimento. Le bonifiche sono terminate nel 2008.

Vi è una seconda area, acquisita nel 2005 e relativa agli impianti di demineralizzazione dell’acqua. Sono stati effettuati dei “campionamenti da cui si evidenziava un superamento in termini di CSR, quindi la concentrazione soglia di contaminazione era superata… Enipower ha svolto sotto il suo controllo l’analisi di rischio come da testo unico, che ha evidenziato «un rischio accettabile per la salute umana»…quindi dal punto di vista del decreto legislativo n. 152 del 2006 i terreni risultano non contaminati”.

L’area Versalis. Si estende per circa 220 ettari, quasi la metà dell’intero Petrolchimico, e l’attività principale è la produzione di materia plastiche, quali olefine, vale a dire etilene e propilene: 450.000 tonnellate di polipropilene e altrettanti di polietilene. Vi è una sinergia con Enipower: “Produciamo del vapore ad alta pressione che diamo ai colleghi di Enipower per la produzione di energia elettrica. Produciamo anche un fuel gas export, metano con una componente di idrogeno, che è un buon combustibile, nonché poco dannoso, che diamo ai colleghi di Enipower per la produzione di energia elettrica”.

Per quanto riguarda l’attività di bonifica, dal 2004 al 2011, “Versalis ha gestito, con un mandato senza rappresentanza dalle società coinsediate, la messa in sicurezza e la bonifica della falda. Poi Versalis si è occupata anche della realizzazione dell’attuale barriera idraulica per il trattamento delle acque di falda e della gestione dell’iter di bonifica”. Per la bonifica e messa in sicurezza sono stati spesi 32,5 milioni di euro: 5 milioni per caratterizzazione e monitoraggio, 17 milioni per messa in sicurezza e bonifica, il resto per costi di gestione. Dal 2012 le attività sono coordinate da Syndial.

La bonifica di Syndial. La società di proprietà dell’ENI gestisce su 5800 ettari di SIN (Sito di Interesse Nazionale) relativi a Brindisi, circa 320 (200 dei quali relativi all’area esterna). Per quanto riguarda l’area interna “si tratta di due aree di messa in sicurezza permanente che erano state autorizzate dal comune di Brindisi anni fa e che sono state chiuse e completate”.  Sulle attività di bonifica che riguardano la falda, vengono estratti oltre 1.500.0000 metri cubi di acqua, una parte della quale viene lavorata fino a raggiungere un grado di purezza elevato e recuperata per la centrale di Enipower.

Attraverso il trattamento di acque di falda nel corso di un decennio (2006-2015) sono stati eliminate “2,5 tonnellate idrocarburi totali, aromatici per 8,8 tonnellate, organici per 83 tonnellate e metalli per 44 tonnellate”. Un lavoro, relativo al processo autorizzativo della bonifica della falda, prossimo alla conclusione. Una volta approvato il progetto operativo di bonifica della falda, ci sarà un’implementazione del trattamento delle acque e, successivamente, una dealogenazione riduttiva che si protrarrà fino al 2029.

Per quanto concerne i terreni, relativi ad un’area di 84 ettari (36 Syndial, 48 del Comune), l’area maggiormente interessata è relativa alla vecchia discarica, che “vede come soggetto attuatore della messa in sicurezza permanente il Comune”. Nel 2014 è stato firmato un accordo che prevede la cinturazione completa dell’area interessata dalla discarica, “un confinamento fisico, un diaframma impermeabile, semiplastico, in cemento e bentonite”. L’opera dovrebbe essere avviata nel secondo semestre del 2016 e concludersi entro tre anni. In una seconda area interessata, relativa all’Oasi protetta, dove sono stati rilevati contaminanti quali diossina, arsenico e metalli, si prevede la rimozione di 50mila tonnellate di rifiuti in 3 anni e mezzo.

Lo stabilimento Cementir. Nasce a Taranto nel 1962, in sinergia con l’impianto siderurgico, per produrre cementi in altoforno. Si situa all’interno del SIN di Taranto, assieme ad ENI e Ilva, e ha una superficie di oltre 300mila metri quadrati. Materia prima è la loppa d’altoforno, un prodotto secondario della siderurgia. La produzione massima dello stabilimento, raggiunta nel 2007, è di quasi 2 milioni di tonnellate di cemento. I volumi attuali, dovuti anche alla drastica riduzione del mercato, è pari a 300mila tonnellate. E’ in possesso di AIA, autorizzazione integrata ambientale, fino al 2020.

Gli studi di caratterizzazione. L’area è stata interessata a bonifiche e indagini dal 2000 al 2005. E’ stato proposto un piano di monitoraggio, in accordo col Ministero dell’ambiente, gli enti locali e l’ARPA regionale. I primi risultati, risalenti al 2005, hanno evidenziato che “per quanto riguardava i terreni non risultava nessun inquinamento, mentre si era riscontrato il superamento di alcuni parametri relativi a ferro e solfati nelle acque di falda”.

Il trattamento delle acque di falda. Sono state richieste altre caratterizzazioni del terreno, concluse nel 2009, che hanno fatto emergere la “piena conformità ai limiti di legge riguardanti le zone industriali”, mentre per le acque di falda “il superamento di alcuni parametri, tra cui quelli relativi a ferro, solfati, idrocarburi, piombo, rame e composti organici aromatici… Durante la conferenza tecnica ARPA Puglia ha riconosciuto che tale inquinamento non era riconducibile direttamente all’attività di Cementir perché tutti i superamenti erano dovuti a sostanze non presenti nel nostro ciclo industriale”. Nel 2011 è stato presentato un piano di bonifica per le acque di falda, che prevedeva l’installazione di un impianto di trattamento dell’acqua di falda (TAF), installato nel 2013.  “L’impianto, dopo la sua installazione, ha cominciato la sua fase di monitoraggio nel 2013. In questo momento abbiamo finito la fase di collaudo della barriera e abbiamo tutti i dati. Siamo quindi in attesa di completare con l’ARPA l’analisi di questi dati, per poi procedere alla messa in esercizio a regime dell’impianto”.

Lo stabilimento di Taranto Energia. E’ una società controllata dall’Ilva, che nel 2011 ha acquisito due centrali elettrice di Edison. I gas dell’Ilva vengono “addizionati” con il metano per produrre energia elettrica.

Contaminazioni del terreno e della falda. Nel 2004, gestione Edison, è stato avviato un piano di caratterizzazione, da cui è emersa una contaminazione della falda e una contaminazione “puntuale” del terreno. E’ stato avviato un piano di messa in sicurezza operativa della falda. Edison “ha evidenziato che la natura dell’inquinamento che si trovava nella falda non era direttamente ricollegabile alle attività realizzate dalla centrale.  Questo è stato riconosciuto dal TAR…. Taranto Energia sta continuando la messa in sicurezza operativa”. Per il terreno sono emersi quattro punti di superamento delle soglie di contaminazione, legato a idrocarburi e rame (parte superficiale del suolo). Il progetto di bonifica prevede la rimozione del terreno intorno al punto contaminato, per un totale di 25 metri cubi.

Italcave. Al confine con il Comune di Statte, Italcave occupa un’area di circa 300 ettari, in cui sono siti una discarica per rifiuti speciali non pericolosi (che si estende in buona parte all’esterno del SIN) e un deposito di combustibili solidi, attività estrattive e una zona agricola non coltivata (circa 80 ettari). Dal 2002 al 2015 l’intera area è stata caratterizzata e “in nessuna di queste sono emersi superamenti dei valori tali da richiedere delle bonifiche. Solo per l’ultima attività manca la validazione di ARPA, che dovrebbe arrivare entro fine maggio. I dati dei nostri laboratori, comunque, ci confermano che anche in questo caso non ci sono superamenti”.

 

(ultimo aggiornamento: 13 giugno 2016)

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)