Premessa. La seconda edizione del Rapporto Mafie nel Lazio, realizzato dall’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio in collaborazione con Libera, prende in considerazione il periodo che va dal 10 febbraio 2015 al 19 maggio 2016.

Nella fase introduttiva del rapporto si fa una panoramica sulla presenza storica delle organizzazioni mafiose tradizionali (Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra) nel territorio regionale e, in particolar modo, nella città di Roma. Si sottolinea, nello specifico, come tale presenza risalga al periodo compreso tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 dello scorso secolo, e come, a differenza della malavita romana, principalmente dedita alle attività di usura, gioco d’azzardo e commercio di stupefacenti, tali organizzazioni (soprattutto ‘ndrangheta e camorra) abbiano rivolto, e tuttora rivolgano, parte consistente delle loro energie nell’acquisizione – molto spesso per il tramite di prestanome – di immobili, società ed esercizi commerciali nei quali poter poi reimpiegare ingenti risorse economiche provenienti da delitti, così dotandosi di fonti di reddito cospicue ed apparentemente lecite; tutto ciò, peraltro, senza la necessità di entrare in conflitto con la criminalità autoctona, come detto essenzialmente impegnata in altri settori.

Mafia Capitale. Il rapporto prosegue con l’analisi, maggiormente dettagliata, della situazione presente, a partire dall’indagine denominata Mondo di mezzo. Nell’ambito di tale inchiesta, il 2 dicembre 2014 sono state tratte in arresto dai carabinieri trentasette persone. La procura di Roma ha chiesto di procedere per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati. Un centinaio gli indagati coinvolti nell’inchiesta condotta dal Ros e coordinata dai pm Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino con i sostituti procuratori Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli; inchiesta che ha portato al sequestro di beni per un valore di oltre 300 milioni di euro (Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Flavia Costantini a carico di Carminati Massimo + altri, 28 novembre 2014).

Secondo il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, Mafia Capitale è un’organizzazione con un profilo del tutto originale ed originario. Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note; originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali. Questo gruppo criminale costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione di estrema destra, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che evolse, in alcune sue componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana. In vari provvedimenti giudiziari ne è stata sottolineata la differenza con le mafie tradizionali, con modelli organizzativi pesanti, rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili e inderogabili. Un tale modello organizzativo è storicamente e sociologicamente incompatibile con la realtà criminale romana, che invece è stata sempre caratterizzata da un’elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall’assenza di strutture organizzative rigide, compensata però dalla presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale e da rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali operanti sul territorio romano.

Articolando la propria attività fra un “mondo di sotto”, ovvero il mondo della criminalità romana da cui trae origine e in cui opera per il recupero crediti, l’usura e altri reati tipici dell’organizzazione mafiosa e un “mondo di sopra”, quello degli imprenditori, degli operatori economici finanche della pubblica amministrazione, Mafia Capitale, con l’uso del metodo mafioso, sarebbe riuscita a condizionare e alterare le regole del mercato legale e le scelte delle istituzioni legali, per trarne giovamento e profitto e rafforzare la propria posizione sul territorio romano e laziale. Secondo i giudici della Cassazione, «le indagini hanno rintracciato una progressiva evoluzione di un gruppo di potere criminale che si è insediato nei gangli dell’amministrazione della capitale d’Italia, cementando le sue diverse componenti di origine – criminali “di strada”, pubblici funzionari con ruoli direttivi e di vertice, imprenditori e soggetti esterni all’amministrazione – sostituendosi agli organi istituzionali nella preparazione e nell’assunzione delle scelte proprie dell’azione amministrativa e, soprattutto, mostrando di potersi avvalere di una carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare, al fine di controllare gli esiti delle relative procedure e, ancor prima, di gestire gli stessi meccanismi di funzionamento di interi settori della vita pubblica» (Corte di Cassazione, Sezione VI, a carico di Calistri + altri, 10 aprile 2015).

Sei mesi dopo l’indagine Mondo di mezzo, il 4 giugno 2015, un secondo provvedimento ha portato all’arresto di altre 44 persone e 21 perquisizioni fra Lazio, Sicilia e Abruzzo (Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Flavia Costantini a carico di Addeo + altri, 29 maggio 2015). Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori e altri reati. L’operazione “Mafia Capitale bis” evidenzia ulteriori relazioni tra il gruppo capeggiato da Massimo Carminati e l’amministrazione di Roma Capitale, con il condizionamento delle attività del municipio di Ostia – poi per questo sottoposto ad un decreto di scioglimento dal Consiglio dei Ministri – ed episodi corruttivi che hanno visto anche il coinvolgimento dell’amministrazione regionale.

Altri gruppi criminali operanti su Roma. Tra le principali consorterie criminali autoctone attive sul territorio romano si rileva la famiglia dei Casamonica, un gruppo di origine nomade da decenni stanziale nella Capitale. «I Casamonica vengono deportati a Roma durante il fascismo – ha spiegato il magistrato Guglielmo Muntoni. Si tratta di un fenomeno criminale complesso, composto da diverse famiglie: Casamonica, Di Silvio, Di Guglielmo, Di Rocco e Spada, Spinelli, tutte strettamente connesse fra loro sulla base di rapporti fra capostipiti, a loro volta sposati con appartenenti alle varie famiglie. Complessivamente parliamo di un migliaio di persone operanti illegalmente a Roma» (Intervista al presidente del Tribunale per le Misure di Prevenzione di Roma, Guglielmo Muntoni, rilasciata ai curatori del Rapporto Mafie nel Lazio il 3 dicembre 2015, Roma). Queste famiglie operano principalmente nella periferia sud di Roma (Tuscolana, Anagnina, Tor Bella Monaca e altre aree meridionali della città), ma sono presenti anche nella zona della Borghesiana, nonché località dei Castelli Romani, a Ciampino, Albano, Marino e Bracciano. I Casamonica sono molto attivi nel settore dello spaccio di stupefacenti, praticano attività usurarie gestite tramite numerose società finanziarie e di recupero crediti, appositamente costituite anche per le truffe.

Il quartier generale dei Casamonica, come dimostrato dalle indagini, è nella borgata Romanina, un popoloso quartiere posto a ridosso dello svincolo del Grande raccordo anulare, verso l’autostrada A/1 Roma-Napoli. Qui il clan ha costituito una “enclave” fortificata creando «una sorta di mercato permanente per i tossicodipendenti di tutta l’area sud di Roma e per quella dei Castelli Romani» (Sentenza del Gup Simonetta D’Alessandro, n. 13000/10, del 26 gennaio 2013, condanna 31 membri del clan per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga).

Il 10 febbraio 2015 l’inchiesta Tulipano ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 61 soggetti per i delitti di associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga ed altri delitti. Le indagini del nucleo investigativo dei Carabinieri del comando provinciale di Roma hanno individuato un’organizzazione di stampo camorristico – come scrivono i magistrati della Direzione nazionale antimafia nella loro relazione annuale – «capeggiata da Domenico Pagnozzi, per lungo tempo al vertice della omonima consorteria familiare operante nelle province di Avellino e Benevento, strettamente legata al clan dei Casalesi. Trasferitosi a Roma, Pagnozzi vi aveva costituito un proprio e autonomo gruppo criminale caratterizzato dall’integrazione tra soggetti di origine campana e criminali romani, del tutto sganciato dalla originaria matrice camorrista» (Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2014 – 30 giugno 2015; febbraio 2016). Al gruppo criminale il Gip distrettuale di Roma, Tiziana Coccoluto, ha contestato il delitto associativo di stampo mafioso e la specificità dell’organizzazione: un tertium generis rispetto alle mafie delocalizzate e alle mafie autoctone.

Nell’anno preso in esame dal Rapporto ha avuto inizio il processo contro il suddetto clan.

Dal 1990 ad oggi, sul territorio romano, in particolare sul litorale corrispondente al X Municipio della Capitale, opera la consorteria criminale riconducibile ai Fasciani. Si tratta di un gruppo di origine abruzzese, attraversato al suo interno da numerosi legami familiari, che ha il suo vertice in Carmine Fasciani. Il sodalizio era essenzialmente dedito all’usura, le estorsioni, il controllo di intere piazze di spaccio, le infiltrazioni negli apparati amministrativi per l’assegnazione di abitazioni popolari nonché il controllo delle attività balneari di Ostia e la gestione delle slot machine (Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso, cit.). Controversa la fattispecie di reato contestata ai membri del gruppo: nella sentenza di primo grado del processo che li vede coinvolti dal 2015, è stata riconosciuta l’associazione mafiosa; riqualificata poi nel secondo grado di giudizio in associazione a delinquere.

L’azione dei Fasciani, negli anni, si snoda e rafforza anche in interazione con un altro gruppo criminale operante nel territorio ostiense e nella Capitale. Si tratta della famiglia Spada, consorteria di origine nomade, oggi radicata ad Ostia, imparentata con il gruppo Casamonica, con il quale mantiene stretti rapporti criminali. La crescita del gruppo Spada in Ostia e la sua significativa disponibilità nel commettere reati cosiddetti “di manovalanza” hanno spinto Carmine Fasciani – secondo quanto emerso dai processi – ad “inglobare” la famiglia nel suo gruppo criminale. Le recenti vicende giudiziarie con protagonisti i Fasciani, inoltre, stanno determinando un riposizionamento dei rapporti di forza su Ostia, con nuovi spazi aprentisi per il clan Spada (Conferenza stampa presso la sede del comando provinciale dei Carabinieri di Roma, 12 aprile 2016).

La provincia di Roma. Secondo la Direzione nazionale antimafia, storicamente, nella zona di Guidonia e Tivoli «il rischio di infiltrazioni criminali di tipo mafioso si concentra nel CAR – Centro Agroalimentare di Roma – in considerazione dell’entità degli interessi economici che ruotano intorno ad esso, poiché è il polo commerciale più grande d’Italia. Sono soprattutto i clan campani che paiono fortemente interessati ad “investire” nel settore. Diffusi sono gli episodi di usura in danno di commercianti. La presenza di soggetti affiliati alla criminalità organizzata va ricollegata ad una silenziosa infiltrazione economica effettuato con attività di riciclaggio e con il reimpiego dei capitali di provenienza illecita» (Relazione del Presidente della Corte d’Appello di Roma, inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, 25 gennaio 2014).

Nei comuni a nord di Roma, invece, si registra la presenza di elementi collegati a formazioni criminali di origine calabrese della zona di Reggio Calabria, alcuni dei quali pregiudicati per reati di natura associativa. Le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Dda di Roma, Francesco Minisci, hanno confermato tale radicamento di appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese ed in particolare alle famiglie Morabito-Mollica-Bruzzanti-Scriva, divenuti titolari di numerose attività commerciali e/o imprenditoriali (Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip distrettuale di Roma, Giovanni Savio, a carico di Mollica Domenico + 2, 15 dicembre 2014). Inoltre, nel circondario si è rilevato l’incremento dei soggetti locali dediti al traffico delle sostanze stupefacenti, anche in collaborazione con elementi criminali romeni ed albanesi. In alcuni casi le investigazioni hanno acclarato l’esistenza di contatti tra spacciatori locali e fornitori di origine calabrese (Relazione del Presidente della Corte d’Appello di Roma, cit).

Uno «scenario criminale complesso». Il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio Tecnico-Scientifico sulla Sicurezza e la Legalità rileva nel Lazio 92 organizzazioni criminali. Un dato in aumento rispetto al 2015, anno in cui erano stati censiti 88 gruppi operanti sul territorio romano e nel resto della regione. Sulla Capitale e nel territorio della provincia di Roma incidono circa 76 clan; 23, invece, sono le organizzazioni dedite al narcotraffico nei diversi quartieri che compongono il territorio capitolino.

Nonostante si tratti di un percorso giudiziario in pieno sviluppo sotto il profilo investigativo e processuale, è possibile fissare, alla luce della storia criminale della Capitale e delle più recenti indagini giudiziarie, alcuni punti-chiave sulla presenza delle mafie nella città di Roma e in buona parte del territorio provinciale. Il primo elemento che è possibile mettere in evidenza riguarda la confermata esistenza di una “pax mafiosa”: nata negli anni Ottanta, è sopravvissuta sino ad oggi, attraversando cambiamenti economico-sociali, ristrutturazioni interne dei vertici delle proiezioni mafiose sul territorio laziale, e affrontando la stabilizzazione di cosche nella Capitale, perché – come spiega il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone – «a Roma ci sono soldi per tutti e non c’è bisogno di uccidere; Roma non è una città in mano alla mafia, ma sono presenti varie organizzazioni di tipo mafioso. È una città troppo grande per una sola organizzazione criminale di questo tipo e quindi si impone una convivenza pacifica» (Intervento del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, cfr. audio integrale della “Presentazione del IV Rapporto dell’Osservatorio Luiss sulla legalità nell’economia”, 12 aprile 2016, Roma).

Il secondo elemento-chiave che è possibile evidenziare riguarda il rapporto sulla piazza romana fra le mafie autoctone e quelle tradizionali. Si può sostenere che queste ultime siano le principali garanti della pace fra i diversi gruppi criminali originari del territorio capitolino e che, in conseguenza di questa loro funzione, intervengano per la risoluzione di eventuali conflitti, ponendo anche attenzione alla rapida ascesa delle nuove consorterie. La criminalità autoctona è d’altronde ben consapevole della diversa storia criminale della ‘ndrangheta, della camorra e di Cosa Nostra, ma non assume nei confronti dei boss, da quel che emerge nelle inchieste, una posizione subalterna. L’aver convissuto gomito a gomito con queste mafie, al contrario, ha generato una sorta di mutazione genetica delle organizzazioni romane, che con un “effetto contagio” avrebbero acquisito il modus operandi delle mafie tradizionali.

Il terzo elemento che emerge dalle indagini e dalle constatazioni di magistrati e investigatori riguarda il rapporto che queste mafie hanno con il tessuto economico della Capitale, con le attività del commercio e dell’imprenditoria in genere. Il “potere di relazione” che le mafie possono esercitare su detto tessuto economico e sociale è ben evidenziato dall’indagine Mondo di mezzo, ed è particolarmente vantaggioso per la quantità e la qualità di questi contatti.

Il sud del Lazio. La seconda parte del Rapporto focalizza l’attenzione sulla rimanente parte della regione, a partire dal cosiddetto “Basso Lazio”. Questa zona, oltre alla ben nota presenza della camorra – favorita anche dalla contiguità geografica – ha fatto di recente registrare attività in pianta stabile d’una famiglia ‘ndranghetista. Il 22 ottobre 2013, infatti, il Tribunale di Velletri ha accertato in sede giudicante «l’esistenza tra Anzio e Nettuno di un clan di stampo mafioso denominato clan Gallace» (Sentenza n. 2684/2013 emessa dal Tribunale penale di Velletri, Gallace Agazio + altri). La sentenza segna un passaggio “storico” per le mafie nel Lazio poiché accerta, da parte di un Tribunale penale, l’esistenza di un locale di ‘ndrangheta sul territorio della provincia di Roma.

La criminalità organizzata presente nella provincia di Latina – come evidenziato nei lavori della Commissione parlamentare antimafia – ha caratteristiche simili a quelle delle mafie del sud Italia. In particolare, ricalca il modus operandi della camorra, per quel che riguarda le infiltrazioni nel tessuto socio-economico. Secondo la relazione della suddetta Commissione, infatti, «nella zona si sono insediate organizzazioni criminali camorriste casertane dedite, particolarmente, all’usura, alle rapine, alle estorsioni ed al riciclaggio dei proventi delittuosi. È stato segnalato che intorno al Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF) ruotano gli interessi dei gruppi criminali presenti sul territorio nonché l’alta frequenza della costituzione e successiva estinzione, di società finanziarie, di distribuzione alimentare e di abbigliamento e dell’apertura di supermercati con capitali di dubbia provenienza. Si deve sottolineare, inoltre, che a Latina opera una criminalità organizzata locale di elevata pericolosità e capacità criminale, che si è a volte manifestata in scontri violenti e che è dedita all’usura, alle estorsioni ed al traffico di sostanze stupefacenti».

Significativa, in merito alla situazione in cui versa l’area presa in esame, l’audizione del questore di Latina, Giuseppe De Matteis, innanzi alla Commissione parlamentare antimafia nel maggio 2015. De Matteis ha parlato di una provincia divisa in quattro zone di influenza da parte delle organizzazioni criminali: «la prima zona, il sud pontino, Formia e Gaeta, dove operano famiglie affiliate ai casalesi; una seconda è quella di Fondi, dove imperversa la ‘ndrangheta; l’area nord, rappresentata da Aprilia e Cisterna, dove insistono organizzazioni riferibili alla ‘ndrangheta; e poi l’ultima area, Latina, dove insiste il clan Ciarelli-Di Silvio collegato con il clan romano Casamonica. Residuale, in quest’ultima zona, risulta la cellula della famiglia Baldascini, collegata con il clan dei Casalesi (Relazioni annuali sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2010 – 30 giugno 2015).

La presenza della ‘ndrangheta in provincia di Latina, invece, è certificata dalla sentenza Damasco 2che, passata in giudicato, ha statuito l’operatività del clan Tripodo a Fondi, evidenziando i condizionamenti di “pezzi” della pubblica amministrazione e del MOF (Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2013 – 30 giugno 2014, gennaio 2015).

La città di Aprilia è condizionata da anni dall’azione criminale di organizzazioni mafiose – in questa zona essenzialmente dedite al traffico di stupefacenti – come attestano le relazioni della Commissione parlamentare antimafia, quelle della Direzione nazionale antimafia e numerose sentenze della magistratura. La presenza del clan dei Casalesi è confermata dalle inchieste che hanno colpito il gruppo Noviello, già operativo tra Nettuno, Anzio ed Aprilia (Sentenza, n. 1277/12, emessa dal Tribunale di Latina, Noviello Pasquale + altri, 16 novembre 2012; sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 2160, Sezione I, Noviello Pasquale + altri, 2012; sentenza del Gup di Roma, Rosalba Liso, n. 1849/12, Buono Enzo + altri, 2012). Significativa, sul medesimo territorio, anche la presenza della ‘ndrangheta ed in particolare del clan Alvaro (Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Reggio Calabria, Massimo Minniti, a carico di Alvaro Giuseppe + altri, 11 maggio 2015). Va poi ricordato che nella città di Aprilia sono anche presenti esponenti delle famiglie Casamonica e Di Silvio.

La provincia di Frosinone è interessata, da decenni, dalla presenza di organizzazioni camorristiche, come attestano numerose sentenze della magistratura e relazioni della Commissione parlamentare antimafia. Gli insediamenti più significativi si registrano nell’area del cassinate. «Nel circondario di Frosinone – spiega il suo procuratore capo, Giuseppe De Falco – sono presenti numerose consorterie criminali ex nomadi e da tempo stanziali. Si tratta dei già citati gruppi Di Silvio e Spada, attivi nel traffico e nello spaccio di stupefacenti e nell’usura, nel capoluogo in oggetto e nelle zone limitrofe» (Colloquio con il procuratore capo di Frosinone, Giuseppe De Falco, 20 aprile 2016).

Il nord della regione. La cittadina di Ladispoli, in provincia di Roma, è situata a nord della Capitale. Qui, significative indagini del centro operativo della Direzione investigativa antimafia hanno individuato presenze di soggetti collegati alla camorra e dediti all’usura.

Gli insediamenti mafiosi tendono a dislocarsi nei territori secondo le opportunità che questi offrono, alla luce delle caratteristiche del contesto economico, istituzionale e sociale. La geografia criminale delle province di Rieti e Viterbo, dunque, presenta un quadro variegato, con aree in cui l’insediamento mafioso assume forme embrionali e territori caratterizzati invece da accordi criminali che incidono sul piano delle attività economiche di tipo legale. Per tali province, scrivono i magistrati della Dna, si «segnalano presenze sporadiche di soggetti riconducibili prevalentemente a gruppi di ‘ndrangheta e camorra. Risultano interessati i settori finanziari, degli appalti pubblici e del ciclo dei rifiuti. Negli ultimi anni la moltiplicazione degli sportelli bancari e alcuni sequestri di beni immobili e attività economiche indicano il rischio che si tratti di un primo stadio per successive espansioni» (Fondazione Res, Mafie del Nord, Donzelli Editore, Roma, 2014).

Per entrambe le province, in sintesi, la lettura del fenomeno criminale, che qui si manifesta in maniera molto diversa rispetto al resto della regione, risulta ancora di difficile comprensione – anche sotto il profilo investigativo – e, al contempo, in evoluzione, come segnalato nei rapporti istituzionali prodotti in questi anni.

Le mafie straniere nella regione. La terza parte del Rapporto Mafie nel Lazio è dedicata a quattro focus relativi ad altrettanti approfondimenti tematici, a carattere regionale, che riguardano: la presenza e l’attività criminale delle mafie straniere; le infiltrazioni criminali nella filiera del gioco d’azzardo e i reati delle reti usurarie commessi con l’aggravante del metodo mafioso; i beni sequestrati e confiscati; e, infine, il traffico illecito di rifiuti.

Nel Lazio sono presenti diverse organizzazioni criminali di matrice straniera, in particolare di etnia nigeriana, albanese, cinese e georgiana. I clan nigeriani, principalmente attivi nel narcotraffico internazionale e nello sfruttamento della prostituzione, hanno da decenni una dimensione transnazionale, pur mantenendo i centri di comando in Nigeria, nella Capitale e nelle province di Roma e Viterbo.

Negli anni, la penetrazione della malavita organizzata albanese sul territorio di Roma e nel suo hinterland si è rafforzata. Il suo ruolo ed i suoi rapporti criminali sono cresciuti, così come è cresciuta la considerazione di questa da parte delle organizzazioni di stampo mafioso già radicate nel tessuto economico e socio-culturale. Indagini di particolare spessore attestano il sempre maggior ruolo di narcotrafficanti ed esponenti della criminalità organizzata del paese delle aquile.

Alla criminalità cinese operante su Roma in alcuni casi è stato anche contestato il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso. Recentemente diverse indagini l’hanno riguardata per la detenzione e il commercio di capi d’abbigliamento contraffatti.

Usura e gioco d’azzardo. A Roma e nel Lazio l’usura si configura come uno dei reati cui sono dedite tutte le organizzazioni che operano sul territorio, come dimostrano le inchieste giudiziarie e i processi degli ultimi vent’anni. Si tratta d’un reato, spesso commesso con modalità mafiose, che consiste nel «fornire prestiti a tassi di interesse considerati illegali, socialmente riprovevoli e tali da rendere il rimorso molto difficile, quando non impossibile» (M. Mareso, L. Pepino, Dizionario enciclopedico di mafia e antimafia, Edizioni Gruppo Abele, Torino, p. 494). Nel Lazio, conferma una recente stima di Confesercenti, sarebbero 28.000 i commercianti colpiti dall’usura, pari a quasi il 35% delle attività economiche della regione, per un giro d’affari stimato in 3,3 miliardi di euro. Roma, in particolare, sarebbe luogo per eccellenza dell’usura. Negli anni, questo reato ha aperto le porte dei circuiti economico-finanziari della Capitale ai clan che cercano investimenti a basso rischio e massimo rendimento, per immettere liquidità proveniente principalmente dal narcotraffico, e ripulire il denaro attraverso attività di riciclaggio.

Sebbene a gestire l’ampia fetta di mercato dell’usura siano le potenti e ricche consorterie criminali tradizionali (camorra e ‘ndrangheta, principalmente), le mafie e le altre organizzazioni autoctone si muovono all’interno del business dei prestiti usurari con una propria specificità: hanno una conoscenza approfondita del territorio, controllano alcune aree attraverso la pratica dello spaccio in “piazze chiuse”, sono cresciuti “porta a porta” con i commercianti e i piccoli imprenditori del quartiere cui prestano i soldi e – delle loro vicende economiche – sanno individuare punti deboli e necessità.

Da oltre vent’anni, è ampiamente dimostrata da indagini e processi la presenza stabile di molteplici clan mafiosi nella filiera del gioco d’azzardo, anche online. Nel Lazio – secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia, in risposta ad una interrogazione parlamentare – nel 2015 sono stati immessi nel gioco d’azzardo 7.611 milioni di euro; una cifra che posiziona la regione al secondo posto in Italia, dietro soltanto alla Lombardia (Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, Finanze (VI)). In questo vorticoso giro di affari le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono presenti attraverso differenti modalità d’azione: dalla gestione delle scommesse online, all’imposizione delle slot machine a bar ed esercenti pubblici; dal controllo delle forniture, alla sofisticazione delle macchinette in danno all’Erario; sino al prestito usurario ai giocatori d’azzardo.

Il clan dei Casalesi e altri gruppi delle camorre casertane hanno occupato il mercato illegale del gioco d’azzardo nel sud pontino, quasi in regime di monopolio. Nella Capitale, invece, la situazione è maggiormente complessa e sul business dell’azzardo si manifesta una spartizione del mercato nell’ambito della “pax mafiosa” fra i diversi clan.

Ecomafie e illegalità ambientali. Sul territorio regionale, secondo le statistiche fornite dalla Dda competente, nell’anno 2015 sono stati avviati 16 procedimenti per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti. Nel 2013 erano stati 12 con 220 indagati; nel 2014, 20 con 64 persone coinvolte nelle indagini. Si tratta di un business che ha due aspetti principali messi in luce dalle inchieste giudiziarie: da un lato i danni relativi alla salute dei cittadini e dell’ambiente, dall’altro l’alterazione del libero mercato per le imprese che si occupano di smaltimento legale dei rifiuti, anche speciali. Secondo il Rapporto Ecomafie 2015, nel Lazio sono state accertate 2.255 infrazioni contro l’ambiente, ovvero il 7,7% del totale nel Paese, a fronte di 2.022 denunce, 6 arresti e 540 sequestri. L’Osservatorio di Legambiente, come ogni anno, distingue le tipologie di reati commessi in danno al cosiddetto “ciclo dei rifiuti” e quelli relativi al “ciclo del cemento”, ovvero il comparto edilizio-immobiliare. In quest’ultimo, secondo i dati rielaborati da Legambiente a partire dai numeri forniti dalle forze dell’ordine, nel Lazio sono state accertate 545 infrazioni, a fronte di 664 denunce e 139 sequestri (nessun arresto). Per quel che riguarda il complesso iter del “ciclo dei rifiuti”, invece, 486 sono state le infrazioni accertate, 449 le denunce, 175 i sequestri (nessun arresto anche in questo caso).

I beni sequestrati e confiscati nel Lazio. Secondo uno studio commissionato dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità (Anbsc), nel Lazio i beni immobili confiscati alle mafie risultano 1.270 (il numero dei beni immobili confiscati si riferisce alle particelle catastali singole e non all’intero bene. Nella maggior parte dei casi, infatti, un terreno o un appartamento sono formati da più particelle, che rappresentano (per l’Anbsc) più beni): il 65,7% di questi è attualmente sotto la gestione dell’Anbsc; la parte restante è già stata destinata. Oltre il 90% di tutti gli immobili confiscati si trova nelle province di Roma e Latina. A livello regionale, circa il 52% degli immobili è stato destinato, come previsto dalla normativa, ai comuni. La tipologia prevalente di immobile confiscato è rappresentata per il 31,3% dall’appartamento in condominio, il 15,6% da box, garage e posti auto, e il 10% da terreni agricoli. In tutte le province laziali, eccezion fatta per Viterbo, la quota degli immobili che risulta “in gestione” supera quella relativa ai beni “destinati”. I comuni del Lazio interessati dalla confisca di almeno un bene sono 86 (su 378), ossia il 28%. Del totale dei beni immobili confiscati nella regione, 435 sono già “destinati” e 835 sono “in gestione”.

Per quel che riguarda invece le aziende confiscate ai clan, nel Lazio sono complessivamente 523, di cui 98 risultano già “destinate” (18,7%), 389 “in gestione” (74,4%) e 36 “uscite dalla gestione” (6,9%). Il fenomeno coinvolge tutte le province, in misura minore quella di Viterbo (che ne conta soltanto 4). La quasi totalità delle aziende confiscate è localizzata nella provincia di Roma (88%) e Latina (8,6%). La forma giuridica nettamente prevalente per le aziende “in gestione” è quella della società a responsabilità limitata. Le società per azioni sono praticamente tutte localizzate nei comuni di Roma e Aprilia.

 

(a cura di Luca Fiordelmondo, Master APC dell’Università di Pisa)