La natura giuridica della confisca in materia di prevenzione

Premessa. Il presente lavoro analizza la natura giuridica dei provvedimenti di confisca, alla luce dell’evoluzione del quadro normativo e della giurisprudenza, fino alla recente sentenza della Cassazione a sezioni riunite del 2 febbraio 2015.

La disposizione del codice antimafia in materia di Confisca. Art. 24  del D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) – ex art. 2 ter legge n. 575/1965

  1. Il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
  2. Il provvedimento di sequestro perde efficacia se il Tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario. Nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, tale termine può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per periodi di sei mesi e per non più di due volte. Ai fini del computo dei termini suddetti e di quello previsto dall’articolo 22, comma 1, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili. Il termine resta sospeso per il tempo necessario per l’espletamento di accertamenti peritali sui beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente.
  3. Il sequestro e la confisca possono essere adottati, su richiesta dei soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione di una misura di prevenzione personale. Sulla richiesta provvede lo stesso Tribunale che ha disposto la misura di prevenzione personale, con le forme previste per il relativo procedimento e rispettando le disposizioni del presente titolo.

Impostazione tradizionale. Sulla base dell’orientamento prevalente, risalente alla sentenza Simonelli delle Sezioni Unite Corte di Cassazione (n. 18 del 1996), la confisca ex art. 2 ter l. n. 575/1965 “non ha un carattere sanzionatorio di natura penale, né quello di un provvedimento di prevenzione, ma va ricondotta nell’ambito di quel “tertium genus” costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza prescritta dall’art. 240 c.p., comma 2”.

Equiparare tale forma di confisca ad una misura di sicurezza conduce alla possibilità applicare la disciplina dell’art. 200 c.p., secondo cui “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”. La giurisprudenza italiana ha, infatti, sempre consentito l’estensione dell’ambito di applicazione di tale sanzione ai beni acquistati prima dell’entrata in vigore della legge 646/’82, proprio perché il principio di irretroattività non si applicherebbe alla confisca in questione che, invece sarebbe regolata dal principio del “tempus regit actum”.

Ad avviso della giurisprudenza tale conclusione non viola l’art. 2 c.p., che si riferisce alle pene inflitte per un determinato fatto-reato e non alle misure di prevenzione; tale norma di diritto penale non sarebbe violata poiché l’art. 25 della Costituzione non pone limiti di irretroattività alle misure di sicurezza e, quindi, stante l’equiparazione tra le due categorie, nemmeno alle misure di prevenzione.

Evoluzione normativa. Con i “Pacchetti sicurezza” 2008 e 2009 si realizza l’affrancamento dal requisito dell’attualità della pericolosità del proposto. Ne consegue che ai fini dell’applicazione delle misure patrimoniali non è più necessaria l’attualità della pericolosità e quindi l’applicazione delle misure personali.

Le innovazioni legislative apportate, per le misure di prevenzione patrimoniale di cui alla legge n. 575/1965, dall’art. 10, comma 1, lettera C, n. 2 del D.L. n. 92 del 23 maggio 2008 (convertito nella legge n. 125/2008) e dall’art. 22, comma 2, della legge n. 94/2009 hanno mutato il tenore dell’art 2 bis, comma 6 bis, della citata legge n. 575/1965, definitivamente recidendo il rapporto di accessorietà necessaria tra misure di prevenzione personali e patrimoniali, in modo tale da consentire l’irrogazione di queste ultime a prescindere dalla applicazione delle prime (“le misure di prevenzione patrimoniali e personali possono essere richieste e applicate disgiuntamente”).

Orientamento evolutivo, minoritario (Sent. Corte Cass., V Sez. pen., sent. 13 novembre 2012 (dep. 25 marzo 2013), n. 14044/13 Ric. Occhipinti). Con tale arresto la Corte di Cassazione riconosce natura spiccatamente e “oggettivamente sanzionatoria” all’ipotesi di confisca in esame, con la conseguente  inammissibilità di ogni applicazione retroattiva.

A fronte delle modifiche intervenute nel 2008 e 2009 non è più possibile, secondo tale impostazione ermeneutica, equiparare la confisca di prevenzione ad una misura di sicurezza, dovendo invece questa essere ricondotta nell’alveo delle sanzioni penale. Ed infatti nella sentenza in questione la Corte osserva che non è più possibile equiparare la confisca misura di prevenzione ad una misura di sicurezza laddove è venuto meno il comune presupposto e cioè il giudizio di pericolosità sociale attuale.

Conseguenza di siffatta interpretazione è l’applicazione del principio di irretroattività sfavorevole dettato dal legislatore penale per le pene.

Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 4880/2015. Al fine di dirimere tale contrasto sorto in sede pretoria è stato richiesto l’intervento delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite hanno affermato la natura preventiva dell’ipotesi di confisca introdotta nell’ordinamento con la legge n. 646/1982 ed attualmente disciplinata dagli artt. 16 e ss. del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. “codice antimafia”). Sulla base scorta di tale qualificazione, il Massimo Collegio ha così ammesso l’efficacia retroattiva della misura.

La Corte risolve la questione  accentuando il presupposto della pericolosità, come elemento giustificatore della misura espropriativa nel vecchio e nel nuovo quadro normativo, indipendentemente dall’epoca del suo manifestarsi.

Le modifiche introdotte all’art. 2 bis della legge n. 575 del 1965 non hanno, infatti, modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, di guisa che rimane tuttora valida l’assimilazione alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità in caso di successione di leggi nel tempo della previsione di cui all’art. 200 c.p e cioè il principio del “tempus regit actum”.

Anche la Corte EDU ha escluso l’inquadramento dell’istituto nella categoria sanzionatoria, escludendo di conseguenza l’operatività dei principi penali di irretroattività e ne bis in idem  ex art. 7 CEDU; viene, infatti, sottolineato come la confisca di prevenzione sia uno strumento necessario destinato bloccare i movimenti di capitali sospetti, ad essa si ricorre per colpire i beni di cui l’autorità giudiziaria ha contestato l’origine illegale evitando che il soggetto possa utilizzarli al fine di incrementare il vantaggio proprio o dell’associazione criminale a cui appartiene.

In conclusione la Suprema Corte ritiene il nuovo quadro normativo ancora fortemente legato alla pericolosità del soggetto, in particolare per la sua riconducibilità ad una delle categorie soggettive previste dalla normativa di settore, potendo dunque prescindere dalla verifica in concreto dell’attualità di tale condizione, ma comunque non della sua esistenza. Viene pertanto precisato che ad assumere rilievo non è tanto la qualità di pericoloso sociale del titolare, bensì la circostanza che egli lo fosse stato al momento dell’acquisto del bene; un bene quindi può essere aggredito in quanto il suo acquirente fosse stato in quel momento soggetto pericoloso, venendo di conseguenza in risalto la finalità preventiva dell’istituto per impedire la commissioni di ulteriori condotte costituenti reato. La pericolosità, dunque, segna la misura temporale del provvedimento ablatorio, ma non della qualità personale del soggetto.

(A cura di Benedetta Rossi, dottoranda in diritto penale presso l’università degli studi dell’Insubria)