Gioco d’azzardo, evasione fiscale e mafie. Intervista a Maurizio Fiasco

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Nel 2013 il mercato dell’azzardo ha movimentato ufficialmente circa 85 miliardi di euro. Una parte importante di risorse legate al comparto del gioco d’azzardo sfugge al controllo dello Stato. Per sottrare denaro in “nero”, basta infatti manomettere le slot machine autorizzate, e così, alterando o addirittura cancellando i movimenti di soldi, non si versano le tasse allo stato e non si pagano le percentuali prefissate di “premi” ai giocatori. La porzione non contabilizzata del gambling si aggiunge al sistema esplicitamente illegale di bische e allibratori “paralleli” delle scommesse. Dell’incidenza della parte illegale del fenomeno ci parla il sociologo Maurizio Fiasco, autore della ricerca “Il gioco d’azzardo e le sue conseguenze sulla società italiana. La presenza della criminalità nel mercato dell’alea”, presentata a Roma dalla Consulta Nazionale Antiusura, nel corso dell’Assemblea Annuale delle Fondazioni associate.

Quali sono i principali risultati di questa sua ricerca?

Vi è un risultato qualitativo ed uno quantitativo. Penso di esser riuscito a dimostrare l’esistenza di un modello d’illegalità, che né il governo, né il parlamento e, a maggior ragione, nemmeno l’amministrazione dei Monopoli hanno voluto prendere in considerazione. Ed è che la criminalità ha occupato uno spazio largo della stessa offerta “formalmente” legale. Insomma, l’inflazione del mercato “pubblico” dell’azzardo ha incentivato la conquista di nuovi territori da parte della criminalità. Dall’odierno lavoro, con il conforto della parte quantitativa dell’indagine, tutti possono disporre del paradigma di come avvenga l’interazione tra legale e illegale.

Il risultato “numerico”, inoltre, permette di osservare la diffusione delle slot machine illegali nel dettaglio delle province italiane, e dunque di dedurre la correlazione inversa tra “spesa registrata” e incidenza della criminalità mafiosa nelle varie aree. Laddove i Monopoli contabilizzano meno “entrate” dal gioco con slot machine, vi è – all’inverso – più margine dell’azzardo “in nero”, consumato con i medesimi apparecchi automatici.

Spesso si sostiene che la legalizzazione del gioco d’azzardo contribuisce a contrastare quello illegale. Cosa emerge a questo proposito dalla sua ricerca?

Ho iniziato questa ricerca cercando tra le altre cose di analizzare quali sono le dimensioni del gioco sommerso per poi cumularlo con quello registrato dall’Erario, visto che sino ad oggi si era sempre sostenuto che il gioco legalizzato aveva “estirpato” quello criminale. Il risultato è stato invece sconcertante. L’aspetto paradossale è il dato oggettivo che all’espansione del mercato del gioco d’azzardo legale corrisponde, in modo proporzionale, quella del gioco d’azzardo illegale. In altre parole, i due mercati non si separano e non entrano in concorrenza, ma si potenziano reciprocamente, provocando un consistente impatto sociale ed economico sul paese reale.

Qual è il ruolo della mafie nel campo del gioco d’azzardo?

Il gioco legale non ha mai sostituito quello illegale anzi, gli ha solo fatto da apripista. Se da un lato la criminalità propone, in concorrenza con lo Stato, l’offerta dei propri caratteristici sistemi (“totonero”, bische clandestine, scommesse illegali eccetera), dall’altro lato, proprio a fronte di quest’aggressiva induzione criminale al gioco d’azzardo clandestino, lo Stato rilancia promuovendo “prodotti” di gioco pubblico d’azzardo più semplici, più diffusi capillarmente, più rapidi nel pagamento. Ma di tale meccanismo gli unici soggetti che ne beneficiano realmente sono le mafie: sotto l’ombrello di molte “rivendite” autorizzate espandono il loro dominio in una zona grigia dove legale e illegale si mischiano pericolosamente.

Gli italiani erano conosciuti in Europa come grandi risparmiatori, ma oggi, come sottolineato nella sua ricerca, giocano d’azzardo in misura imponente. A cosa è legato questo cambiamento?

Il volume complessivo del risparmio e dei patrimoni familiari in Italia, tanto per fare un esempio, era sette/otto volte superiore a quello delle famiglie inglesi. Ed è stata proprio l’esistenza di risparmi imponenti della nostra popolazione che ha fatto concentrare sull’Italia delle fortissime operazioni di marketing volte a sponsorizzare il gioco. Non è stato semplice, agli inizi, perché gli italiani erano un popolo a bassa propensione al gioco di fortuna. Poi però l’espansione del gioco legale è avvenuta, grazie alla formidabile spinta impressa dallo Stato. Invece di svolgere il suo ruolo di regolatore a tutela degli interessi dei cittadini italiani, il governo è diventato la “banca dell’azzardo” promuovendo e finanziando il mercato dell’alea e inducendo la società a scommettere sempre di più. E’ avvenuto così che gli italiani, da popolo di risparmiatori, sono divenuti un’immensa plebe di consumatori d’azzardo.

Chi ha voluto tutto questo?

Qui la responsabilità, diretta, è della classe politica. Scomparsi i vecchi, grandi partiti-istituzione si è incrementato all’inverosimile il peso del denaro nella politica, che ruota attorno a singoli esponenti o a piccoli gruppi in combine. Non più azione comune e collettiva, la politica è divenuta un investimento personale. Del resto, la politica comanda sempre meno sull’economia, da quando sono state privatizzate le banche, le industrie e le altre aziende del vecchio “stato interventista” (IRI, EFIM ecc.). Per via “politica” si tenevano in piedi carrozzoni con bilanci ultradecennali “in rosso”. Restava, ed è così ancora, il campo del gioco d’azzardo. Qui senza lo snodo della decisione politica, un privato imprenditore non può investire su un mercato che – ed è un paradosso – riguarda un’attività tuttora formalmente vietata dal codice penale. Solo con atto “politico” (legge, decreto ecc.) si può fare business con l’azzardo. A ogni legge Finanziaria segue il lancio “legale” di un nuovo azzardo. In una rincorsa tra partiti impressionante. È stato così che una vasta classe politica lo ha incrementato fino a livelli senza corrispettivi in Europa. E negli anni della crisi si è imposto il consumo di alea di massa come una delle cause principali dell’indebitamento di famiglie e imprese e della crescita del debito pubblico del nostro Paese.

Quanto incassa lo stato dal gioco d’azzardo?

Oggi si calcola che in media, oltre un euro su dieci che le famiglie spendono normalmente è drenato verso qualcuno dei modi di scommettere. La cosa più assurda è che lo Stato continua a pubblicizzare il gioco nonostante, in termini di risorse, il mercato dell’alea bruci più di quanto trasferisca effettivamente all’erario. Lo Stato, infatti, nel gioco d’azzardo, attraverso il prelievo erariale unico (PREU) che sostituisce e assorbe tutti gli altri incarichi indiretti (IVA, accise, eccettera), riesce a guadagnare al massimo il 12% sulla spesa iniziale.

E allora perché continua a fare una campagna di promozione così spinta?

Perché – si sostiene – la quota fiscale è incassata in anticipo. Come ben sappiamo, lo Stato ha bisogno continuo di soldi freschi e subito. E allora cosa fa? Li chiede ai concessionari in cambio del gettito immediato. Questi ultimi, a loro volta, per organizzare l’offerta del gioco hanno bisogno di anticipazione bancarie enormi. Le ricevono, ovviamente, ma con interessi piuttosto alti, che erodono il margine pur “garantito” al loro business. Ne nasce un sistema che, se continuerà a mantenersi così, rischia di trasformare l’azzardo di Stato nella matrice di una bolla finanziaria.

Cosa possono fare i singoli Comuni per ridurre il fenomeno?

Con la ricerca che la Consulta Nazionale Antiusura ha pubblicato, possono oggi disporre di un dato pervicacemente loro negato: quello del numero preciso degli apparecchi automatici istallati nelle rispettive province e il correlato valore del “nero”. Attraverso questi dati sarà per loro più facile svolgere dei controlli capillari, frequenti e qualificati. Possono esercitare un ruolo importante se propugnano l’idea che recuperare le risorse provenienti dal gioco d’azzardo contribuisce alla ripresa del nostro Paese. Debbono, insomma, spingere lo Stato a far ridurre drasticamente e con urgenza l’offerta di gambling. Secondo me, oggi i comuni posseggono l’autorevolezza per passare da una rivendicazione “difensiva” a una posizione attiva o “offensiva”. Ridurre l’ampiezza del gioco d’azzardo entro confini “tollerabili” sarà un vero contributo a rilanciare l’economia dei loro territori. Meno spesa per i giochi a soldi, più domanda al mercato dei beni e dei servizi “normali”.

A cura di Giulia Migneco

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