13 settembre 1982, è legge la Rognoni – La Torre. “Se oggi parliamo di mafia con consapevolezza è grazie a quel testo”

Si è tenuto nel pomeriggio di martedì 13 settembre, presso la sede della CGIL Nazionale a Roma, il convegno “A trentaquattro anni dalla legge Rognoni-La Torre”, per celebrare l’anniversario dell’entrata in vigore della legge 646/1982, che introdusse nel nostro ordinamento il reato di associazione di stampo mafioso e norme per contrastare il potere economico delle Mafie.

Sono intervenuti Vito Lo Monaco, Presidente Centro Studi Pio La Torre; Francesca Chiavacci, Presidente ARCI; Roberto Montà, Presidente di Avviso Pubblico; Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia; Rosy Bindi, Presidente Commissione Parlamentare Antimafia; Andrea Orlando, Ministro della Giustizia; Susanna Camusso, Segretario Nazionale CGIL. Presente anche Franco La Torre.                  

Con uno sguardo al passato e la mente rivolta al futuro, si è discusso sul presente della legislazione di contrasto alla criminalità organizzata, con una particolare attenzione rivolta al nuovo Codice Antimafia, sulla capacità corruttiva dei mafiosi e sulla necessità di formazione e selezione della classe dirigente.

“La legge Rognoni – La Torre nasce dal contributo di tanti – ha sottolineato Vito Lo Monaco, Presidente del Centro Studi Pio La Torre – Da allora sono stati fatti notevoli passi in avanti, perché per applicare la confisca dei beni è stata necessaria una mobilitazione popolare con una raccolta di firme. Oggi possiamo dire che abbiamo la legislazione antimafia più progredita al mondo. Per questo non va tanto modificata quanto rafforzata per adeguarla all’evoluzione che sta subendo il fenomeno mafioso”.

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“Questa ricorrenza mi ha fatto tornare alla mente che io svolgo la funzione da pubblico ministero proprio da 34 anni – ha ricordato Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia – La Rognoni – La Torre era una legge difficile da applicare, anche perché all’epoca non c’erano gli strumenti, non sapevamo come dare attuazione alle confische, per cui c’è voluta la legge del 2010. Nel 1982 capivamo già che le mafie si stavano evolvendo, aumentando il loro potere attraverso le relazioni esterne che creavano, ma ci rifiutavamo di pensare che un professionista potesse far parte di un’associazione di tipo mafioso. La storia giudiziaria ci ha poi dimostrato che questo è ben possibile e che le mafie si sono evolute proprio grazie a queste professionalità. Per alcuni è ancora difficile prendere atto che la corruzione è lo strumento privilegiato dalla mafia, ma noi dobbiamo disporre, per combattere la corruzione, degli stessi strumenti con cui siamo soliti combattere la criminalità organizzata. Se oggi possiamo parlare di questi argomenti, con questa conoscenza e consapevolezza, è grazie a Pio La Torre e alla sua legge”.

“E’ importante ricordare una data così importante per il nostro Paese – ha evidenziato Roberto Montà, Presidente di Avviso Pubblico –  Nella legge è presente il tema del capitale mafioso, che va colpito assieme alla dimensione sociale del fenomeno mafia, un argomento che riguarda il sistema Paese. Il tema del ruolo delle classi dirigenti è stato posto in maniera significativa in quel periodo, ma è ancora attuale. Ci deve essere uno scatto importante nel formare classi dirigenti che abbiano consapevolezza della loro rete di relazioni e delle responsabilità che portano avanti. Credo che oltre alla legislazione ci sia bisogno di politiche su questo argomento, perché le leggi da sole non bastano. Dobbiamo infine porci il tema delle risorse e creare le condizioni affinché questi beni e queste aziende diventino un punto importante dell’agenda politica, altrimenti continuiamo ad alimentare un dibattito che si riduce, pur nella sua importanza, a dei tecnicismi di difficile comprensione”.

“Quella legge e, successivamente, il provvedimento sui beni confiscati che venne fuori dalla raccolta firme di Libera, sono qualcosa di fondamentale, hanno fatto fare al nostro Paese e alla società dei passi avanti decisivi – evidenzia Francesca Chiavacci, Presidente ARCI –  La cultura ha un ruolo molto importante in questo ambito, perché tra le vittime della mafia ci sono anche giornalisti, scrittori, uomini e donne che hanno semplicemente espresso idee”.

dsc_0052“La legge che oggi vogliamo celebrare è un patrimonio comune del Parlamento e della politica italiana – dichiara Rosy Bindi, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia – Vorrei sottolinearlo con molta forza, perché la mafia è stata nel nostro Paese anche uno strumento di lotta tra le forze politiche. Al di là dei comportamenti delle singole persone, di reticenze, penso che si possa affermare che la lotta alla mafia oggi può unire la politica italiana e ci sono le condizioni per poterlo fare. Sono stati fatti dei passi in avanti molto importanti, sui quali credo si possa costruire anche un impegno futuro. Oggi la potenza delle mafie risiede nella capacità di corrompere la politica di questo Paese. Il movimento antimafia deve saper contrastare la mafia che fa affari senza ammazzare, ed è più difficile rispetto al passato. La legge Rognoni – La Torre ci ha dato in mano uno strumento preziosissimo per colpire il metodo dell’essere mafiosi in sé. Sulla riforma del Codice Antimafia non si pensi che la Commissione che ha partorito la legge sia ancorata al testo. Si può migliorare, siamo disponibilissimi. Ma per fare questa riforma servono degli investimenti”.

“Quella legge costituì un elemento di contrasto alla criminalità organizzata ma anche un’affermazione di carattere costituzionale.  Si coglie nella legge una profonda fiducia nella politica – è il pensiero di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia – Credo che oggi, più che in altre stagioni, ci sia bisogno di rafforzare il contrasto, richiamando simboli e ragioni della lotta contro le mafie. I dirigenti come quelli che hanno prodotto questa legge si sono formati all’interno di percorsi di formazione. Bisogna rivalutare la centralità della politica e mettere in discussione l’antipolitica.  Perché non va avanti l’idea della Procura europea? Perché se c’è un tema su cui i Paesi europei frenano è quello sulla cooperazione penale”.

“La Rognoni – La Torre segna un cambiamento anche culturale nel modo di affrontare il tema della criminalità organizzata – dichiara Susanna Camusso, Segretario generale CGIL – Non c’è solo il tema dei rapporti con la politica ma anche quello con gli imprenditori. Il lavoro ha bisogno di legalità. Questo ci dà la dimensione dell’importanza che il movimento antimafia abbia un aspetto sociale. Oggi parte della classe dirigente o si chiama fuori e fa finta di non essere classe dirigente o si usa l’antipolitica come strada di riforma della politica. L’antipolitica ha prodotto l’idea che la rappresentanza e la democrazia sono prodotti che si possono tagliare, riducendoli a oggetto d’uso invece che alle basi fondanti. Essere mafioso è un modo di essere, corrompi le forme della società, non c’è bisogno di uccidere qualcuno. Tutte cose che sono indicatori della qualità della democrazia di un Paese”.

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